26 ottobre 2008

Il card. Scola: "Dal Sinodo è emersa la necessità di approfondire il rapporto tra Dio che parla, la Persona di Cristo, la Tradizione e la Scrittura"


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Il cardinale Scola: dal Sinodo è emersa la necessità di approfondire il rapporto tra Dio che parla, la Persona di Cristo, la Parola di Dio, la Tradizione e la Scrittura

Il Sinodo dei Vescovi sulla Parola nella vita e nella missione della Chiesa si è dunque concluso. Ieri - lo ricordiamo - sono state votate le proposizioni finali ed il Papa ha autorizzato la pubblicazione di una loro bozza in lingua italiana. Si tratta di 55 Proposizioni, due in più rispetto alle 53 presentate nella bozza iniziale. I suggerimenti aggiunti riguardano la lettura patristica della Scrittura e il rapporto tra la Parola di Dio e i presbiteri. Su queste indicazioni si sofferma al microfono di Isabella Piro, il cardinale Angelo Scola, Patriarca di Venezia:

R. – Penso che si sia vista la grande importanza di immergersi nella grande epoca patristica nella quale realmente l’evento di Gesù Cristo, testimoniato dalla Tradizione della Scrittura, è l’orizzonte pieno entro il quale veniva vissuta tutta la Liturgia, tutta la vita cristiana. E quindi, da questo punto di vista, il riferimento ai Padri è un paradigma fondamentale. Per quanto riguarda i sacerdoti, la grande centralità della celebrazione eucaristica, in modo particolare della proclamazione della Parola e di Dio e dell’omelia, ha fatto emergere questo invito pressante ad un paragone quotidiano vissuto nella Chiesa, personalmente e comunitariamente, con l’avvenimento di Gesù Cristo che si testimonia nella Parola di Dio, autenticamente documentata nella Tradizione delle Scritture e interpretata dal Magistero.

D. – Il testo contiene anche un appello agli agenti di vita pubblica e sociale perché guardino alla Dottrina sociale della Chiesa …

R. – C’è stato un grande sforzo in questo Sinodo di mantenere in unità questo tema decisivo e delicato per la vita della Chiesa, con tutti gli aspetti della vita cristiana. Ciò che è difficile, soprattutto in questa epoca, è evitare la frammentarietà. Noi tutti siamo esposti ad un grande rischio di frammentazione e allora spesse volte, anche nel nostro modo di vivere la vita cristiana, sia personale sia comunitaria, tendiamo ad accentuare un aspetto, magari esagerandolo a scapito di altri. Quindi ci sono molte proposizioni che cercano di equilibrare la dimensione della Parola di Dio con la Liturgia, con la catechesi, con la dottrina sociale, con l’impegno di carità, con la missione, con la cultura perché tutti gli aspetti della vita cristiana che consentono al soggetto di esprimersi in maniera armonica, siano presi in considerazione in gerarchia e in modo equilibrato.

D. – E’ stato ribadito più volte il legame tra Parola di Dio ed Eucaristia, quindi il legame tra l’attuale Sinodo e quello del 2005 …

R. – Questo è un aspetto decisivo, perché la Liturgia – e in modo particolare l’Eucaristia e la Liturgia delle Ore – è il modo più immediato, forte e diretto, in cui si incontra la Parola di Dio, come l’episodio paradigmatico dell’incontro di Gesù con i due discepoli di Emmaus documenta e testimonia.

D. – Un Sinodo sulla Parola di Dio è un Sinodo molto vicino ai fedeli. Come aiutarli a vivere veramente nella vita quotidiana il Verbo divino?

R. – Questa è stata una delle grandi preoccupazioni di questo Sinodo, che è emersa soprattutto nella prima parte delle proposizioni, quando si è cercato di mettere a fuoco il rapporto molto stretto che esiste tra la Persona di Cristo, la Tradizione, la Sacra Scrittura; Persona che va incontrata dentro la realtà della Chiesa, vissuta liturgicamente, portata nella vita attraverso una meditazione orante della stessa Sacra Scrittura. Questa preoccupazione deve essere – a mio modo di vedere – l’inizio anche di una seconda, nuova fase dopo la grande Costituzione conciliare “Dei Verbum”, nel vivere questa dimensione così capitale nelle nostre comunità, nelle nostre chiese. E’ auspicabile che incominci un lavoro di revisione perché si dia un’intensificazione nel modo di rapportarsi alla Parola di Dio, che ha bisogno della consistenza del soggetto comunitario. Infatti, bisogna leggere con la mente e con il cuore i Sacri Testi, e per questo bisogna che la comunione sia sperimentata e vissuta, che questa lettura sia una lettura orante, che la Liturgia nell’unità con l’Eucaristia la documenti e la manifesti. Quindi, io credo che ci sarà un grande ed affascinante lavoro da compiere nelle nostre comunità.

D. – Se lei dovesse tracciare un primo bilancio di questo Sinodo, cosa direbbe?

R. – Direi che sono contento. Era un Sinodo molto difficile; io ho vissuto come relatore generale il Sinodo sull’Eucaristia che presentò a prima vista problemi concreti. Questo Sinodo sembrava – come dire – più ovvio, più scontato, perché realmente in questi 40 anni l’approccio alla Parola di Dio nella Chiesa si è molto diffuso. Ma si è visto, come le prime proposizioni dimostrano, che c’è una grande necessità di approfondire meglio il rapporto tra Dio che parla, la Persona di Cristo, la Parola di Dio, la Tradizione, la Scrittura, e di spiegare bene ai fedeli le diverse articolazioni. E poi, c’è un lavoro di orientamento pastorale pratico, nel quale emergono le grandi ricchezze di esperienza delle diverse Chiese. Quindi, io sono contento del risultato che si sta ottenendo, proprio perché era un Sinodo molto impegnativo. In fondo, se questo tema è un tema che è vivo nella Chiesa dall’inizio, da 2000 anni, è fuori dubbio che è solo dopo il Concilio che noi ci siamo coinvolti e quindi, tutto sommato, si può dire – per un certo verso – che è un tema giovane.

D. – E qual è quindi l’auspicio che venga fuori da tutto ciò?

R. – Io credo che l’auspicio sia che la Chiesa, in forza di questa ri-immersione nella sua profonda identità, sia sempre più testimone della bellezza e della convenienza della sequela di Cristo, a tutti i nostri fratelli-Uomini.

Per un commento sull’Assemblea sinodale, ascoltiamo mons. Ermenegildo Manicardi, rettore dell’Almo Collegio Capranica ed esperto al Sinodo dei Vescovi, intervistato da Fabio Colagrande:

R. – L’atmosfera è stata di grandissima fiducia. Pare che l’episcopato nel mondo intero sia molto impegnato a portare il popolo di Dio ad un ascolto sempre più profondo della Parola del Signore attraverso le Scritture. E a 40 anni dalla ‘Dei Verbum’, che ha messo in luce l’importanza del dono della Bibbia fatto dal Signore alla Chiesa, c’è da rimanere contenti dei primi frutti. Sono tutti convinti che si possa fare molto di più, però lo sguardo è molto positivo per quello che si è già fatto e per le possibilità che ancora sono da esplorare. Io ho ripensato tante volte alla ‘Dei Verbum’, mentre ascoltavo i Padri, dove si sottolineava come nel passato dalla rinnovata devozione all’Eucaristia siano venuti grandi frutti; così dopo il Vaticano II sono da attendersi grandi frutti dalla accresciuta venerazione della Parola di Dio, che rimane in eterno e che ci è comunicata attraverso le Scritture.

D. – Riavvicinarsi alla Parola di Dio vuol dire favorire il dialogo ecumenico, favorire il dialogo interreligioso. E’ emerso questo dal Sinodo?

R. – Per quel che riguarda il dialogo ecumenico, è evidente che la Scrittura è una radice comune talmente forte, per cui le Chiese, le comunità cristiane più approfondiscono la Parola di Dio attraverso le scritture, più si troveranno vicine. Certamente, si tratta di approfondire le scritture non in un punto ‘zero’, ma dentro le tradizioni diverse che le Chiese hanno. Forse molto intensa è anche la percezione che sia possibile un dialogo maggiore con il popolo ebraico, con gli ebrei credenti di oggi. Esiste il documento della Pontificia commissione biblica “Il popolo ebraico e le sue Sacre Scritture” che è stato ripresentato con un intervento magistrale dal cardinale Vanhoye; qui c’è qualche grossa novità. Oggi c’è una consapevolezza della Chiesa cattolica molto più grande della possibilità di un’interpretazione ebraica della Scrittura, che ha una sua legittimità e che è molto interessante anche per i credenti. Oggi noi ci percepiamo con più chiarezza in continuità con il popolo ebraico. Il dato della continuità è di estrema importanza. Al Sinodo è stato ripetuto più volte che Gesù è ebreo e che la terra d’Israele è la terra nativa del cristianesimo. Quindi, rendere più forte questo rapporto permette a noi di essere anche in comunione più forte con i nostri fratelli maggiori.

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