22 luglio 2007
Il Papa e la Cina...in attesa della svolta
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La Chiesa e la Cina un duello di secoli
Il 30 giugno Benedetto XVI ha indirizzato una lettera ai cattolici della Repubblica popolare, uno Stato con cui il Vaticano non ha relazioni dal 1951. Si è rimessa così in movimento una storia di coraggio e di fede iniziata dai gesuiti alla fine del Cinquecento e precipitata duecento anni dopo in uno scontro che dura ancor oggi
Dopo Francesco Saverio e Matteo Ricci esplose nell´Europa della Controriforma una febbre delle vocazioni per generazioni di giovani sacerdoti attirati dall´Oriente
Con un editto del 1706 l´imperatore Kangxi respinse le richieste di papa Clemente XI e impose ai missionari l´obbligo del "piao", una licenza speciale concessa dal Figlio del Cielo
FEDERICO RAMPINI
PECHINO
Resiste in cima a una scalinata nel cuore di Macao: una superba facciata barocca che sembra appesa alle nuvole. Solo l´azzurro del cielo l´avvolge e buca le sue porte. Sta in piedi per miracolo, la facciata da sola. Dietro di lei la chiesa intera, le pareti, il soffitto, il tetto sono crollati da tempo, travolti da tifoni e incendi. È quel che resta di São Paulo, la più celebre cattedrale di tutta l´Asia quando Macao era una colonia del Portogallo e la "base" di penetrazione del proselitismo cristiano verso l´Estremo Oriente.
Nel collegio dei gesuiti di Macao studiarono alla fine del Cinquecento i missionari Matteo Ricci e Adam van Schall prima di andare a evangelizzare la Cina. Ai loro tempi la cattedrale era di legno e di terra, la facciata di pietra venne aggiunta dal gesuita italiano Carlo Spinola nel 1602. Degli artigiani giapponesi fuggiti da Nagasaki per le persecuzioni religiose la decorarono di curiose sculture, una loro visione originale del cristianesimo in Asia. La statua della Vergine Maria ha ai suoi fianchi una peonia che rappresenta la Cina, un crisantemo per il Giappone.
Quella facciata diroccata, fragile rovina abbandonata, racconta un pezzo di storia del cattolicesimo in Cina: l´impresa di missionari che quattro secoli fa vennero fin qui sfidando pericoli mortali, seminarono i germi di una nuova fede nel popolo cinese, per poi fuggire travolti da una drammatica crisi politica. All´avventura dei gesuiti lo storico americano Liam Brockey ha dedicato un nuovo saggio, Journey to the East. The Jesuit Mission to China, 1579-1724. Brockey ha riesumato i ricordi di un´antica processione che sfilò davanti alla cattedrale di São Paulo per festeggiare la beatificazione di Francesco Saverio, pioniere dei missionari in Asia e patrono di Macao. Nel pittoresco corteo i fedeli cinesi recitavano scene di teatro di strada, allegorie di storia vissuta. Un attore personificava la Cina dei Ming: vestita sontuosamente, con monili d´oro e argento e pietre preziose, lacrimava per aver chiuso le porte in faccia a Francesco Saverio: «Ecco l´Impero di Mezzo con tutte le sue vane ricchezze, condannato a piangere sui suoi sbagli». Ma errori, incomprensioni e incompatibilità ci furono da ambedue le parti, nel primo dialogo tra i vertici della Chiesa romana e il Figlio del Cielo, come si definiva il sovrano cinese.
Il tormentato rapporto tra la Cina e il Cristianesimo è tornato d´attualità il 30 giugno scorso quando papa Benedetto XVI ha indirizzato per la prima volta una lettera ai cattolici della Repubblica popolare: uno Stato con cui il Vaticano non ha più relazioni dal 1951. Agostino Giovagnoli, docente di storia all´Università cattolica di Milano, ricorda che «per molti decenni agli occhi del cattolicesimo mondiale è sembrato che in Cina prevalesse il concentrato di tutti i mali: era il solo Paese in cui il comunismo non solo perseguitava la Chiesa, ma riusciva anche a penetrare al suo interno, dividendola in fazioni e contrapponendo gli uni agli altri».
Lo scontro che da mezzo secolo oppone il regime di Pechino al Vaticano presenta delle singolari analogie con il braccio di ferro ai tempi della Controriforma e della dinastia Qing. Il comunismo all´epoca di Mao e della Rivoluzione culturale ha aggiunto di suo una virulenta persecuzione ateista contro tutte le religioni. Ma al cuore della crisi che Roma e Pechino oggi tentano faticosamente di superare, c´è una questione di potere quasi immutata da trecento anni.
La penetrazione dei gesuiti in Cina è associata indissolubilmente alla figura di Matteo Ricci, il maceratese che nel 1583 sbarcò vicino a Canton e nel 1601 ottenne udienza al Palazzo imperiale nella Città Proibita di Pechino. Ricci non era certo il primo cristiano in Cina (la presenza di nuclei di nestoriani si segnala fin dall´ottavo secolo dopo Cristo) e neanche il primo missionario visto che i francescani si erano affacciati alla corte del Gran Khan nel XIII secolo. Ma l´impatto intellettuale di Ricci è senza precedenti. Erudito e geniale, primo sinologo della storia, Ricci adatta il messaggio dei Vangeli all´etica confuciana e conquista il rispetto dell´alta burocrazia mandarina grazie alle sue conoscenze di matematica e astronomia. Crea un ponte tra due civiltà, offre all´Europa intera le chiavi di comprensione della millenaria cultura cinese.
Insieme a Francesco Saverio, Ricci diventa un mito per generazioni di giovani sacerdoti attirati dal proselitismo in Estremo Oriente. Passando in rassegna una vasta mole di documenti d´epoca, lettere e diari personali, Brockey ricostruisce un´autentica febbre delle vocazioni esplosa in Europa: la Compagnia di Gesù deve operare una selezione spietata, i candidati sono troppi, solo una minoranza viene prescelta per partire in Asia. A volte le strade dei missionari incrociano quelle dei mercanti europei, ma spesso i religiosi affrontano il pericolo da soli. Gli italiani non hanno dietro di sé una potenza coloniale. Anche i portoghesi, gli spagnoli, i francesi, una volta entrati nell´Impero di Mezzo non possono fare affidamento sulla protezione dei propri Stati. Il martirio non li spaventa: per alcuni, è la fine che sognano. Contrariamente agli stereotipi sulla Compagnia di Gesù, non cercano solo di convertire la classe dirigente, i colti e i potenti. In realtà i gesuiti conquistano una base popolare, nell´anno 1700 hanno duecentomila fedeli, diffusi anche tra i ceti umili e nelle regioni di provincia. Una traccia di questa devozione si ritrova in opere di artisti anonimi che applicano lo stile cinese ai soggetti cristiani: come una bellissima Madonna con Gesù bambino, tutti e due con gli occhi a mandorla, fisionomie e abiti inconfondibilmente locali, in un dipinto del XVII secolo ritrovato nel centro della Cina, nella provincia dello Shaanxi.
A conferma del loro successo, ben presto i gesuiti sono sopraffatti dal lavoro. Ci sono troppi fedeli rispetto al numero limitato dei missionari e formarne di nuovi richiede tempi lunghi. Si arrangiano con soluzioni originali, come l´uso della "confessione con l´interprete". Inoltre nel 1700 il gesuita José Monteiro inventa per i suoi confratelli il primo manualetto di conversazione rapida in mandarino. S´intitola Vera et unica praxis breviter ediscendi, ac expeditissime loquendi sinicum idioma, suapte natura adeo difficile (L´autentico e unico metodo breve, per imparare rapidamente a parlare la lingua cinese, per sua natura assai difficile). Contiene le frasi essenziali per catechizzare i cinesi, e anche qualche espressione utile per i bisogni più materiali della vita quotidiana: «Questa carne non è cotta abbastanza. Il riso è scotto. Le verdure non sanno di niente. Questo tè fa schifo».
I gesuiti applicano la lezione del loro pioniere per aprirsi un varco nella mentalità cinese. Ricci ha stabilito che il confucianesimo non va trattato da avversario, È un´etica che può conciliarsi coi principi cristiani, così come un europeo può apprezzare Aristotele senza essere sospettato di eresia. Dunque i cinesi convertiti vadano pure nei templi di Confucio: non è un idolo pagano, solo un maestro di vita. La stessa tolleranza viene applicata alla venerazione degli antenati, un culto che ha radici millenarie. Da questo pragmatismo nasce il cattolicesimo di "rito cinese". Diventa la pietra dello scandalo quando nell´Impero celeste nella seconda metà del XVII secolo affluiscono altre ondate di missionari. Domenicani e francescani attaccano la tolleranza dei gesuiti, denunciano le liturgie locali come idolatria. Scoppia la Questione dei Riti, che papa Clemente XI risolve nel 1704 dando torto alla Compagnia di Gesù.
La querelle dei riti ha avuto grande notorietà, ma non è lì che si consuma definitivamente il divorzio tra la Chiesa e la Cina. Lo scontro più importante è su un altro punto. La svolta decisiva avviene quando il Papa, per informare l´Imperatore della sua decisione sui riti, invia a Pechino un´ambasciata guidata da un giovane prelato piemontese, Carlo Tommaso Maillard de Tournon. De Tournon è ricevuto dall´Imperatore Kangxi nel dicembre 1705 e pone una condizione per stabilire relazioni dirette fra la Santa Sede e la dinastia Qing: il pontefice designerà un superiore di tutti i missionari cattolici in Cina. Per l´Imperatore la richiesta è inaccettabile. Egli non ammette che possa esistere sotto il suo regno una "gerarchia parallela", un´armata di sacerdoti che obbediscono a un sovrano straniero.
Con un editto imperiale del dicembre 1706 Kangxi stabilisce la regola opposta: i missionari cattolici per esercitare in Cina devono ottenere una licenza speciale, il piao. L´imposizione del piao, scrive Brockey, «è un esercizio del controllo imperiale sui missionari», non diverso dal principio di autorità a cui devono sottostare i monaci buddisti e taoisti. Diventa uno strumento per dividere i sacerdoti tra buoni e cattivi. La situazione precipita. Mentre de Tournon viene ricacciato a Macao, ai missionari presenti sul territorio cinese s´impone un´alternativa drammatica. Devono scegliere tra il Papa e l´Imperatore, ma anche fra continuare l´apostolato in Cina o rinunciarvi. Lasciare il Paese vuol dire abbandonare i propri fedeli. Fare atto di sottomissione a Pechino significa sfidare la condanna papale.
È un dilemma che anticipa quello che vivranno i preti cinesi nel 1957, quando Mao Zedong deciderà di istituire la "Chiesa patriottica", l´unica autorizzata dal Partito comunista, i cui vescovi e sacerdoti devono essere nominati dal governo e fare giuramento di fedeltà al regime. Come accadrà nella Repubblica popolare, anche tra i sacerdoti europei del Settecento la reazione non è compatta. Quarantuno domenicani partono in esilio, espulsi dai confini dell´impero dalla dinastia Qing. Una cinquantina di gesuiti seguaci dei "riti cinesi" ricevono il piao e decidono di rimanere, sperando di guadagnare tempo e di ottenere un ripensamento del Papa. Un manipolo di religiosi scelgono una terza via, rifiutano il piao ed entrano nella clandestinità, continuando a praticare di nascosto in alcune regioni rurali della Cina meridionale (proprio come i preti cinesi della "Chiesa sommersa" ai nostri tempi).
La crisi precipita con la morte di Kangxi e l´avvento al trono di suo figlio Yongzheng nel 1723. Il nuovo Imperatore promulga un editto in cui condanna il cattolicesimo come «setta perversa e dottrina sinistra». La repressione si scatena sui fedeli, chiese e seminari vengono sequestrati e convertiti ad altri usi: diventano scuole, ospedali, granai. Nella provincia del Fujian, con un crudele scherzo alla memoria di Ricci, le parrocchie cattoliche vengono trasformate in templi per il culto degli antenati. «Nell´ottobre 1724», scrive Brockey, «sedici anni dopo che i gesuiti hanno sfidato Clemente XI accettando il piao, vengono arrestati in massa dalle autorità imperiali, deportati a Canton, da lì imbarcati per l´esilio a Macao». Yongzheng fa sapere a Ignatius Koegler, un sacerdote tedesco che dirige il laboratorio astronomico alla corte imperiale, che i gesuiti devono considerarsi fortunati per essere stati cacciati da vivi. Nello stesso anno, in un giro di vite per riaffermare il suo controllo su tutti i culti, l´Imperatore ha «ordinato la distruzione in massa di molti templi buddisti e lo sterminio di oltre un migliaio di lama».
I missionari cattolici torneranno nel secolo successivo in una Cina indebolita e decadente, piegata dalla superiorità militare delle nuove potenze occidentali. Poi le porte si chiuderanno di nuovo con la rivoluzione comunista. Adesso la lettera di Benedetto XVI cerca una soluzione all´impasse: per la prima volta il Papa non disconosce la Chiesa patriottica, propone di fonderla con quella clandestina. Pechino deve ancora rispondere.
© Copyright Repubblica, 22 luglio 2007
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