2 agosto 2007

"Avvenire" a Prodi: no ad una morale ad intermittenza


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I «richiami» alla Chiesa

La morale? Non a intermittenza

Carlo Cardia

La nostra società sembra avere un bisogno crescente di impegno etico da parte dei cittadini. Gli esempi sono innumerevoli. Quando scoppia uno scandalo finanziario tutti reclamano da finanzieri e uomini politici comportamenti coerenti con elementari princìpi morali. In questi giorni si è chiesto alla Chiesa di impegnarsi contro l'immoralità dell'evasione fiscale. Addirittura nelle vicende di Calciopoli si sono avuti insistiti richiami ai doveri di lealtà, fedeltà, correttezza da parte di manager e arbitri.

Ci si dovrebbe rallegrare vivamente di questa riscoperta dell'etica in ambienti e settori così diversi, se non ci fosse la sensazione che si ricorre all'etica e alla Chiesa solo per raggiungere alcuni obiettivi, mentre in altre più importanti occasioni la Chiesa è ignorata, criticata, non di rado fustigata proprio per il suo magistero etico.

La Chiesa tende alla formazione dell'uomo nel suo complesso, e si sofferma spesso anche su aspetti particolari del vivere civile. Il dovere di pagare le tasse rientra nel dovere di rispettare il bene comune e obbedire alle leggi. Pochi sanno che di recente un importante documento del Pontificio Consiglio della pastorale per i migranti e gli itineranti (Orientamenti per la pastorale della strada) si è soffermato sui doveri degli automobilisti, perché non vengano posti a rischio i diritti degli altri (a cominciare dalla vita) anche nel traffico. Chi frequenta le chiese sa quale sia l'impegno di clero e religiosi nella formazione dell'uomo e della sua sensibilità morale.

Ma c'è un punto da chiarire. L'etica non è un mosaico di norme nel quale si può scegliere il tassello che più aggrada. Né la Chiesa è un supermercato al quale si può attingere quando torna comodo, e che si chiude o si deride quando non c'è più interesse a tenerlo aperto. La Chiesa offre, per compito istituzionale, un progetto etico che mira alla formazione della persona nel suo complesso, anche se poi è pronta a comprendere le debolezze uman e per le cadute individuali che possano verificarsi. Altrimenti non sarebbe maestra di vita e conoscitrice della natura umana.

Per questo motivo non ci si può ricordare della Chiesa soltanto quando qualche emergenza lo richiede, e scordarsene quando la stessa Chiesa proclama e difende i princìpi morali più importanti che riguardano la vita, dall'inizio fino al suo compimento naturale, la struttura familiare della società, la formazione delle nuove generazioni.

Sono questi insegnamenti che danno coerenza e credibilità a una visione armonica della persona. Se invece la società, e molti politici, sostengono continuamente che i princìpi etici in realtà non esistono, variano secondo il momento storico e dipendono dalla volontà individuale, come lamentarsi poi se alcune persone li prendono sul serio e si comportano di conseguenza? Come lamentarsi se qualcuno piega i princìpi ai propri interessi particolari dopo essere stato educato al più totale relativismo etico?

Per quanto riguarda la Chiesa si deve ricordare che quando parla della vita, della malattia, della famiglia, si sente dire che in questo modo deborda dal proprio campo, vìola la laicità dello Stato, coarta la coscienza dei cittadini. Mentre oggi la si invoca perché contribuisca a formare dei buoni cittadini. Chi non vede tra queste due posizioni uno stridore assoluto?

Tutto ciò non significa che la Chiesa rifiuti certe sollecitazioni per l'esplicazione del suo magistero morale, anche perché tale magistero viene già svolto autonomamente. Si vuol dire una cosa più semplice e decisiva. La nostra società, che sempre più avverte il bisogno etico per sé, per i propri cittadini e per le nuove generazioni, deve sapere che la dimensione morale ha una sua completezza e armonia, e non può essere spezzettata o utilizzata solo quando torna comodo. Se si comprende questo dato fondamentale, l'esigenza di moralità che tutti sentono può trovare accoglienza e soddisfazione prima nelle coscienze individuali poi nella collettivi tà nel suo insieme.

© Copyright Avvenire, 2 agosto 2007

2 commenti:

Anonimo ha detto...

Cara instacabile Raffaella,non si finirebbe mai di scrivere per discutere delle tematiche anticlericali oggi così diffuse. Hai tutto il mio apprezzamento. E io ancora mi ritrovo a scivere un commento ad un post allo scopo di incoraggiare il nostro Santo Padre Benedetto XVI. Dunque: quando si parla di etica, per una persona che si professa credente e praticabile, questo valore non è negoziabile. Perché o si ha la fede o non la si ha. Il credente nel Cristo Risorto e nella Chiesa apostolica, non può dire: io credo in Cristo, ma rispetto le scelte degli altri, anzi le favorisco perché non vi è posto per la fede negli affari di Stato. Tanti esempi possono essere portati a testimonianza di questo, ma ne cito solo uno: la legge ex Dico voluta e compilata anche da componenti politici che si dichiarano cattolici, vedi r. bindi. Questo è quello che si chiama uno stato laicista, dove le scelte politiche non devono essere condizionate dalla verità della fede; è lo stato tanto amato dal sig. prodi romano, che si dichiara cattolico praticante. Forse sarebbe ora che qualche importante esponente ecclesiale desse qualche lezione di catechismo a questo signore. Gesù dice: “Date a Cesare quel che è di Cesare…”. Giusto! Io do a Cesare perché Cesare faccia qualcosa per il bene della collettività, e che non vada contro di essa, per cui il cristiano ha il dovere di rifiutarsi di favorire leggi che non siano eticamente accettabili. Gesù dice: “Chi non è con me, è contro di me”, “Non si può servire a due padroni…”. Quindi invito il sig. prodi romano a rileggere il Vangelo - semmai lo avesse fatto seriamente – e a riflettere sulle sue idee, a suo dire, irrinunciabili, di uno Stato laicista. Meglio se questa riflessione la faccia prima di entrare in chiesa e avvicinarsi all’Eucarestia.

Anonimo ha detto...

Sottoscrivo, caro Antonio :-)