2 agosto 2007
Messa tridentina: si puo' parlare di "non possumus" di Martini e di altri vescovi?
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Luigi Ferlazzo Natoli
Con il «Motu proprio» «Summorum Pontificum» del 7 luglio Benedetto XVI ha riproposto la liturgia tridentina nella celebrazione della Messa e in buona sostanza la facoltà di celebrare la messa utilizzando la lingua latina. Come ha affermato Papa Ratzinger «si tratta di giungere a una riconciliazione interna nel seno della Chiesa».
In un recente intervento il cardinale Carlo Maria Martini ha apprezzato la funzione ecumenica del «Motu proprio», ma ha anche dichiarato che non celebrerà la Messa in latino. E, invero, come ricorda Giovanni Santambrogio, è stato Paolo VI nel 1970 a promulgare il Messale «riformato a norma dei decreti del Concilio», «che punta sulla liturgia nazionale e sulla valorizzazione dell'assemblea dei fedeli. Il sacerdote non dà le spalle ai partecipanti ma si rivolge loro rendendoli protagonisti del rito».
Orbene, all'apparire della notizia relativa al «Motu proprio» ratzingeriano, non tanto ho pensato alle finalità ecumeniche del Papa, quanto, appunto, all'ipotetico vulnus che il ritorno – sia pure facoltativo – alla Messa in latino avrebbe potuto arrecare alla rivoluzione apportata alla liturgia della Messa da parte del Concilio Vaticano II.
Prendo la parola, oggi, perché i miei dubbi trovano riscontro nell'intervento autorevole del cardinale Martini, il quale, pur essendosi formato come religioso allo studio della lingua latina, dalla prima Comunione all'ordinazione sacerdotale, dichiara che non celebrerà la Messa con l'antico rito, pur ribadendo di non avere alcuna difficoltà a predicare in questa lingua.
Personalmente ricordo che la Messa in latino non era mai stata compresa da tutti e che la gente non colta (azzarderei: la maggioranza) ripeteva meccanicamente espressioni latine, quasi per assonanza, non comprendendo e storpiando le parole.
E Martini ricorda al proposito che Monsignor Olgiati, uno dei fondatori dell'Università Cattolica del Sacro Cuore, citava «la storpiatura di un conosciutissimo canto che diceva «Procedenti ab utroque compar sit laudatio» così: «Accidenti come trotta il caval di sor Laudazio».
E, allora, dei tre motivi del non possumus martiniano quello forse più importante consiste nel ritenere che «con il Concilio Vaticano II si sia fatto un bel passo avanti per la comprensione della liturgia e della sua capacità di nutrirci con la parola di Dio, offerta in misura molto più abbondante rispetto a prima».
Con il ritorno al latino sembra, quindi, che si ritorni a una sorta di conventio ad excludendum di coloro (e sono la maggior parte) che non conoscono il latino. Si pensi, per esempio, alla diminuzione quantitativa e qualitativa dello studio del latino nelle scuole e, quindi, a quanti giovani finiranno col capire ancora meno la liturgia della messa.
E ancora afferma Martini:...«non posso non risentire quel senso di chiuso, che emanava dall'insieme di quel tipo di vita cristiana così come allora lo si viveva, dove il fedele con fatica ritrovava quel respiro di libertà e di responsabilità di vivere in prima persona... Sono assai grato al Concilio Vaticano II che ha aperto porte e finestre per una vita cristiana più lieta e umanamente più vivibile».
In definitiva, se quello di Benedetto XVI è un intento puramente ecumenico per aumentare il dialogo all'interno della Chiesa, venendo incontro alle richieste di reintrodurre il latino nella Messa, nulla quaestio.
Ma, se ciò dovesse rappresentare un segno di cambio di direzione e più precisamente di un révirement nei confronti delle novità democraticamente introdotte dal Vaticano II per aumentare la capacità di ascolto, di comprensione e, quindi, di potere dell'assemblea dei fedeli rispetto al sacerdote officiante, allora potrebbero cominciare a sorgere molti distinguo e prese di posizione da parte di coloro che hanno abbracciato le mirabili novità introdotte dal Concilio voluto da Giovanni XXIII e portato a compimento da Paolo VI.
© Copyright Gazzetta del sud, 2 agosto 2007
Sempre le stesse cose ma comunque apprezzabili!
Tutto giusto, tutto espresso in modo cortese e gentile, ma c'e' un piccolo particolare: il motu proprio non obbliga nessuno ad assistere alla Messa tridentina. La celebrazione ordinaria, secondo il "Messale di Paolo VI" rimarra' la forma tipica di celebrazione.
Nessuno obbliga nessuno a fare alcunche': questa e' la "rivoluzione democratica" di Benedetto XVI. Veramente non capisco tutto questo "terrore" che si va diffondendo in vista di settembre. Non credo che al cardinale Martini farebbe piacere questo articolo che lo indica come il portavoce del "non possumus" contro il Papa :-).
Raffaella
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