2 agosto 2007

Conclave: le ragioni di un ritorno alla tradizione


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Riportiamo un articolo che Sandro Magister ha pubblicato nel suo blog e una riflessione di Ladislas Örsy sui possibili rischi di un'elezione papale per cui sia sufficiente la maggioranza semplice.
Tutto ruota intorno al motu proprio "De aliquibus mutationibus" di Benedetto XVI con cui il Santo Padre ha ristabilito la regola della maggioranza qualificata dei due terzi per l'elezione del Pontefice.
Vorrei premettere che non sono d'accordo con il fatto che Magister abbia pubblicato le indiscrezioni (e relativi voti) sull'ultimo conclave cosi' come pubblicati dalla rivista Limes in uno speciale a cura di Lucio Brunelli (il vaticanista del Tg2).
Questa ricostruzione e' stata smentita dal cardinale Tarcisio Bertone, Segretario di Stato di Sua Santita' e Camerlengo di Santa Romana Chiesa, che, in una conferenza stampa in Cadore, ha definito false tutte le indiscrezioni sulle votazioni che hanno portato all'elezione del cardinale Ratzinger.
Personalmente credo ciecamente al cardinale Bertone e non al porporato che, violando il suo giuramento solenne davanti a Dio, passibile di scomunica, ha spifferato ad un giornalista numeri e indiscrezioni, per di piu' false
!
Per gli stessi motivi mi astengo dal commentare l'articolo di Melloni.
Raffaella

Conclave: la rivincita della tradizione

Benedetto XVI ha ripristinato l'antica regola dei due terzi dei voti, che Giovanni Paolo II aveva per la prima volta intaccato dopo secoli. I progressisti applaudono. E un grande canonista, Ladislas Örsy, spiega perché

di Sandro Magister

ROMA, 2 agosto 2007 – Lo scorso mese di giugno Benedetto XVI ha emesso un "motu proprio" che fissa le regole per eleggere un papa.

Il "motu proprio" ha avuto una scarsa risonanza nei media. Eppure esso incide su un momento chiave della vicenda della Chiesa. Basti vedere lo straordinario interesse che circonda ogni conclave.

Lo scorso 18 agosto, a una conferenza stampa del cardinale segretario di stato Tarcisio Bertone, non è mancata una domanda sul conclave che il 19 aprile 2005 elesse papa Joseph Ratzinger.

Bertone ha risposto: "So che i numeri riportati dalla stampa non sono esatti e voglio ribadirlo".

Alla successiva domanda se i voti per Ratzinger fossero stati maggiori o minori di quelli circolanti, ha aggiunto: "Non ricordo più niente, abbiamo bruciato le schede".

Curiosamente, le indiscrezioni più accreditate sull'ultimo conclave hanno per autori due vaticanisti molto in confidenza proprio col cardinale Bertone che le ha definite "non esatte": Andrea Tornielli del quotidiano "il Giornale" – autore quest'anno anche di una apprezzata biografia di Pio XII – e Lucio Brunelli del secondo canale della tv italiana di stato, nonché collaboratore della rivista di geopolitica "Limes".

Secondo tali indiscrezioni Ratzinger avrebbe ottenuto 47 voti nel primo scrutinio, 65 nel secondo, 72 nel terzo e 84 nel quarto, su 115 votanti. Mentre i voti dei suoi oppositori si sarebbero riversati soprattutto sul cardinale argentino Jorge Mario Bergoglio, nella misura di 10 voti nel primo scrutinio, 35 nel secondo, 40 nel terzo e 26 nel quarto.

Nel conclave del 2005 la maggioranza necessaria per l'elezione a papa era inizialmente di due terzi, pari a 77 voti. Ma dopo 34 scrutini infruttuosi, di voti ne sarebbero bastati 58, la metà più uno: così stabilivano le regole per il conclave promulgate nel 1996 da Giovanni Paolo II.

Lo scorso 11 giugno, data del "motu proprio", Benedetto XVI ha cancellato la possibilità di questo abbassamento del quorum. Ora di nuovo per eleggere un papa sono necessari i due terzi dei voti, sempre.

Gli esperti hanno sùbito colto l'importanza di questa decisione. Ma i commenti sono stati sporadici. Il più interessante è uscito in questi giorni sull'ultimo numero della rivista "il Regno", edita a Bologna dai religiosi dehoniani. Ne è autore uno studioso di fama internazionale, Ladislas M. Örsy, gesuita, professore di diritto canonico e di filosofia del diritto alla Georgetown University di Washington, D.C.

Örsy appartiene al campo progressista, è stato fin dagli inizi una firma di spicco della rivista teologica internazionale "Concilium", rivale dell'opposta rivista "Communio" di cui Ratzinger è stato uno dei fondatori. Ma per il "motu proprio" sul conclave egli tributa a Benedetto XVI un apprezzamento caloroso. Proprio per aver ripristinato l'antica regola dei due terzi dei voti per eleggere un papa.

Che dal campo progressista si applauda all'attuale papa per aver ripristinato la tradizione è paradossale. Ma la cosa si fa più comprensibile se si guarda ai potenziali effetti dell'innovazione introdotta da Giovanni Paolo II.

Örsy fa un'ipotesi: se il conclave del 1978 si fosse svolto con le regole poi stabilite da Giovanni Paolo II, l'eletto sarebbe stato non Karol Wojtyla, ma il cardinale ultraconservatore Giuseppe Siri.

E nel conclave del 2005, in cui tali regole erano in vigore, quale effetto ebbero?

Questo Örsy non lo dice. Ma un altro esponente di rilievo del campo cattolico progressista, lo storico del cristianesimo Alberto Melloni, l'ha messo per iscritto sul "Corriere della Sera" del 27 giugno: i 40 voti andati a Bergoglio al terzo scrutinio "in altri tempi avrebbero fatto cadere la candidatura" di Ratzinger; se ciò non avvenne, è proprio perché i cardinali sapevano che "anche con la maggioranza semplice Ratzinger sarebbe salito al trono di Pietro".

Melloni non sottoscrive del tutto questa lettura dei fatti. Dice che sarebbe più importante sapere "chi, come e che cosa abbia spostato un ulteriore pacchetto di voti su Ratzinger" nel pomeriggio del 19 aprile 2005, consentendogli di superare i due terzi. Il sottinteso è che a far ciò sia stato il cardinale progressista Carlo Maria Martini, al fine di sventare “una soluzione di carattere politicistico ancor più temibile": leggi l'elezione del cardinale Camillo Ruini.

In ogni caso, sostiene Melloni, sull'elezione di Ratzinger a papa pesa "un'ombra":

"È evidente dalla odierna riforma che Benedetto XVI vuole liberare da questa ombra il successore e in certo modo anche se stesso".

Il "motu proprio" dell'11 giugno, mentre da un verso ripristina la tradizione dei due terzi dei voti, per un altro verso però innova. Dopo 34 votazioni a vuoto, solo i due candidati che avranno ricevuto il maggior numero di voti nel precedente scrutinio potranno essere da lì in avanti votati, fino a che uno dei due non raggiunga i due terzi richiesti.

Nel sistema tradizionale i cardinali sarebbero stati liberi di abbandonare entrambi i candidati e di cercarne uno nuovo.

Invece, introducendo il ballottaggio, l'intenzione di Benedetto XVI è di prevenire un eccessivo prolungamento del conclave. Nel testa a testa finale i due candidati dovranno astenersi dal voto: per cancellare il sospetto che l'eletto abbia votato per sé.

Ecco qui di seguito il commento pubblicato da Örsy sul numero del 15 luglio 2007 di "il Regno":


Le ragioni di un ritorno alla tradizione

di Ladislas Örsy


Il 27 giugno 2007 papa Benedetto XVI ha stupito la Chiesa con una lettera apostolica emanata "motu proprio", cioè "di propria iniziativa", riguardo ai voti richiesti in un conclave per la valida elezione del papa. Il documento è breve, il linguaggio è limpido e il suo contenuto è semplice e chiaro: in tutte le circostanze sono richiesti i due terzi dei voti dei cardinali per la valida elezione del papa. Perché c'era bisogno di questa decisione?

Ce n'era bisogno perché Giovanni Paolo II aveva rotto con un’antica tradizione. Il 22 febbraio 1996 egli aveva emanato una costituzione apostolica intitolata "Universi dominici gregis". In essa egli stabiliva che nel caso temuto di un’impasse del conclave, i cardinali potessero decidere a maggioranza assoluta (la metà dei voti più uno) di abrogare il requisito tradizionale dei due terzi e di procedere quindi all’elezione del nuovo papa attraverso la stessa maggioranza assoluta.

Più precisamente, se dopo due settimane circa e 34 scrutini nessun candidato avesse ottenuto la maggioranza dei due terzi richiesta, allora – con le parole di Giovanni Paolo II – "i cardinali elettori saranno invitati dal camerlengo a esprimere parere sul modo di procedere, e si procederà secondo quanto la maggioranza assoluta di loro avrà stabilito. Tuttavia non si potrà recedere dall’esigere che si abbia una valida elezione con la maggioranza assoluta dei suffragi" (n. 75).

Questa è stata un’innovazione e una rottura rispetto a una tradizione antica; non si può negare. Non sorprende che ciò abbia causato insoddisfazione tra i competenti della materia. Benedetto XVI nel suo "motu proprio" vi fa riferimento: egli afferma che al papa allora regnante erano state rivolte "richieste molto autorevoli" perché disfacesse ciò che aveva fatto.

Ma per il largo pubblico il significato delle nuove norme non era così evidente; la stampa, di solito avida di sensazioni, ne aveva parlato molto poco. Dopo tutto, nelle recenti elezioni papali, quante volte il conclave era arrivato a un’impasse? Sembrava che Giovanni Paolo II non avesse fatto altro che prevedere la soluzione per un evento improbabile; e che al di fuori di questo il cambiamento non fosse significativo.

Lo scopo di questo articolo è di mostrare invece come la modifica introdotta da Giovanni Paolo II sia stato un atto di rilievo del suo pontificato e come abbia avuto il potenziale per porre la Chiesa su un nuovo – e forse pericoloso – corso.

Benedetto XVI ha ripristinato il regolare flusso della storia. Per comprenderlo occorre rifarsi alla tradizione.

UNA REGOLA FISSATA DALLA TRADIZIONE

Fin dai primi secoli abbiamo prove del fatto che quando i fedeli e il clero di Roma si riunivano per eleggere il loro vescovo, essi cercavano un candidato che potesse raccogliere il consenso. Volevano qualcuno che godesse della fiducia di tutta la comunità; la mancanza di questo requisito avrebbe reso difficile il suo compito di governo e avrebbe potuto sollevare dei problemi all’unità della Chiesa.

Alla fine del primo millennio, la procedura informale di elezione degenerò in disordini caotici che dischiusero la porta all’intervento dei potentati secolari, che tentarono d’imporre i loro candidati. Per mettere fine agli abusi, i papi Nicola II nel 1059 e Alessandro III nel 1179 decisero e ordinarono che solo i cardinali della santa romana Chiesa (facenti parte clero della diocesi di Roma) avessero il diritto esclusivo di eleggere il papa. Per onorare e preservare in termini legali il valore tradizionale del consenso, quei papi stabilirono che per un’elezione valida fosse necessaria una maggioranza di due terzi.

Nel secondo millennio vi furono ancora delle crisi (per gli stessi cardinali si rese necessario un regolamento migliore), ma in mezzo a tutte le vicissitudini della storia il requisito dei due terzi rimase una costante. Era un sistema per garantire delle elezioni eque e giuste, ed era un modo per salvaguardare l’unità della Chiesa. Chiaramente i papi che avevano emanato queste regole avevano compreso che il vescovo di Roma, principio di unità per l’intera Chiesa, ha bisogno di un sostegno molto ampio. Un conclave spaccato a metà può dare ricetto ai semi di uno scisma.

L'INNOVAZIONE DI GIOVANNI PAOLO II

Giovanni Paolo II ha dunque rovesciato una tradizione assestata. Ma il potenziale nascosto di questa innovazione non è stato immediatamente evidente. Dopo tutto, la costituzione apostolica del 1996 conservava il requisito dei due terzi per circa 34 scrutini, che possono durare circa due settimane. Nei tempi moderni, nessun conclave è mai durato così a lungo. Ed è improbabile che ciò avvenga, anche perché tutto il mondo è in attesa impaziente della fumata bianca.

Tale aspettativa pone però sui cardinali una pressione psicologica che supera anche la protezione delle sacre pareti della Cappella Sistina. La consapevolezza che tutto il mondo attende impazientemente spinge gli elettori ad affrettare i tempi; può accelerare il conclave molto più efficacemente di quanto non abbia mai fatto la minaccia di una dieta a pane e acqua. Proprio perché un lungo conclave è ancor più improbabile, la nuova legislazione di Giovanni Paolo II è stata letta come un provvedimento in vista di un’emergenza improbabile.

Ora, però, sappiamo dallo stesso Benedetto XVI che "numerose richieste molto autorevoli" erano state rivolte a Giovanni Paolo II per chiedergli di cambiare idea. Perché?

Non sapremo mai le intenzioni degli autori di tali richieste, ma possiamo anche noi fare qualche ragionamento, immaginando che siano in vigore le regole del 1996.

UNA "IPOTESI DI SCUOLA"

Poniamo, come "ipotesi di scuola", che una buona parte degli elettori abbia un candidato, e che proprio al primo scrutinio egli ottenga la metà dei voti più uno.

I suoi sostenitori sanno fin da subito che – se non gli tolgono il loro sostegno – egli sarà eletto. Se occorreranno due settimane, che sia pure. Mettiamo ora anche che questi elettori, già in maggioranza assoluta, comunichino agli altri in modo discreto che essi non cambieranno parere. Nessuna regola esclude una simile comunicazione al conclave.

In questo caso la minoranza (ampia quanto si voglia) è costretta in una posizione molto scomoda. Può naturalmente resistere, ma a che pro? Se la maggioranza assoluta persevera, la sconfitta della minoranza è assicurata.

Che cosa può fare allora la minoranza? È chiaro, per essa le opzioni sono limitate.

O si arrocca e forza la maggioranza a una futile maratona di scrutini per due settimane; ma in questo caso rischia di alienarsi la maggioranza vincente e il futuro papa, inutilmente in quanto la sconfitta è certa, e con in più il biasimo per il prolungamento forzato del conclave.

Oppure capitola senza indugio, fondendo la propria volontà con quella della maggioranza e accelerando in questo modo l’elezione, con l’aiuto al raggiungimento dei due terzi richiesti.

In pratica, una minoranza sensibile e saggia che cosa farà? Ammetterà la sconfitta e voterà per il candidato della maggioranza. Potrà essere un gesto triste per chi lo compie, ma è giustificabile in base all’esigenza dell’unità. Ed è anche un modo per offrire sostegno al futuro papa.

Nel sistema precedente alla "Universi dominici gregis", un gruppo che potesse contare sulla maggioranza assoluta ma non sui due terzi dei voti doveva essere pronto a un compromesso. Con le norme introdotte da Giovanni Paolo II non più. Era questo il potere nascosto della nuova regola: in teoria il requisito dei due terzi rimaneva in vigore per le prime due settimane; in pratica, la sufficienza della maggioranza assoluta poteva diventare effettiva non appena un candidato raccoglieva più della metà dei voti, o poco meno.

Sarebbe interessante e istruttivo esaminare alcuni conclavi del recente passato con poche domande ipotetiche in mente: se le regole di Giovanni Paolo II fossero esistite quando questi conclavi ebbero luogo, quali sarebbero stati i risultati? I cardinali avrebbero eletto un altro papa? La storia della Chiesa avrebbe preso una direzione diversa?

Domande che possono sembrare sciocche, dal momento che non è possibile verificare le risposte. E tuttavia allenandoci con tali domande e risposte – ben consapevoli di quello che sono – possiamo imparare moltissimo: possiamo imparare a essere saggi e a esercitare la prudenza.

SE NEL CONCLAVE DEL 1978...

Per fare un esempio, torniamo al conclave che elesse Giovanni Paolo II nel 1978. Certamente non abbiamo la certezza assoluta della sua storia interna, purtuttavia possiamo fare riferimento a indiscrezioni, provenienti da persone che erano nella condizione di avere una conoscenza diretta dei fatti, e questo per il nostro scopo è sufficiente.

Il numero degli elettori era di 111 cardinali, e di conseguenza i due terzi richiesti dei voti, più uno, ammontavano a 75. Per la maggioranza assoluta non occorrevano che 57 voti. Uno dei candidati "papabili" era il cardinale Giuseppe Siri, ben noto per la sua posizione fortemente conservatrice al Concilio. Con una crescita graduale, secondo quanto riportato, egli sarebbe arrivato, nel quarto scrutinio, ad avere 70 voti.

A quel punto, tuttavia, fu anche chiaro che non avrebbe potuto guadagnare alcun ulteriore appoggio. I suoi sostenitori non avevano scelta, la regola dei due terzi li costringeva a cercare un altro candidato, qualcuno che fosse meglio accettato dalla minoranza. Come sappiamo, lo individuarono nella persona del cardinale polacco di Cracovia, Karol Wojtyla. Questi inizialmente non aveva avuto che una manciata di voti, ma presto iniziò ad attrarne nella lenta formazione di un consenso. All’ottavo scrutinio fu eletto papa e scelse il nome di Giovanni Paolo II.

La domanda interessante nasce qui: Wojtyla sarebbe diventato papa se la nuova regola di Giovanni Paolo II fosse stata in vigore nel 1978? O piuttosto sarebbe stato eletto Siri?

Non lo sappiamo, ma siamo ragionevolmente certi del fatto che se Siri fosse stato eletto, la storia della Chiesa cattolica negli ultimi decenni sarebbe stata diversa.

È noto che Siri definì pubblicamente il Concilio Vaticano II un "disastro", e che nel 1980 pubblicò un libro intitolato "Getsemani: riflessioni sul movimento teologico contemporaneo", nel quale copriva di condanne molti teologi di valore che avevano fatto da periti del Vaticano II e avevano collaborato alla formulazione delle sue decisioni. Non occorre aggiungere altro.

PER PRESERVARE L'UNITÀ DELLA CHIESA

Da tutte queste considerazioni e "ipotesi di scuola" emerge una conclusione inevitabile: la questione del numero di voti richiesto per l’elezione di un papa tocca il cuore del funzionamento interno della Chiesa.

La regola introdotta da Giovanni Paolo II non era tale da favorire l’unità all’atto pratico, poiché consentiva a una stretta maggioranza (ciò che in realtà è una maggioranza della metà più uno) di sopraffare una minoranza significativa. Non favoriva una diversità legittima; in modo sottile apriva la porta all’imposizione di una direzione della Chiesa universale sbilanciata da una sola parte. Se fosse stata in vigore per molti conclavi, la regola avrebbe avuto il potere di rimodellare la storia della Chiesa per secoli a venire, con l’esclusione sistematica di una significativa diversità.

Benedetto XVI, attraverso il suo "motu proprio", non ha fatto né più né meno che preservare "una regola ratificata dalla tradizione", una regola che aveva funzionato bene per venti secoli.

Certamente ha aiutato a proteggere l’unità della comunità. Ha portato molti buoni frutti: è il segno di un dono dello Spirito.

© Copyright Il Regno

www.chiesa

3 commenti:

Anonimo ha detto...

è una balla colossale che ci sia un'ombra sull'elezione di ratzinger perchè i cardinali non avevano altra scelta per la regola della maggioranza semplice.
se si da retta fino in fondo al cardinale giuda si capisce che martini sperava che ratzinger non sarebbe stato eletto. non si capisce allora perchè avrebbe dovuto dirottare i voti sul suo avversario.
leggere per credere.
http://chiesa.espresso.repubblica.it/dettaglio.jsp?id=40137

il cardinale giuda non voleva l'elezione di ratzinger e leggete bene magister per capire il perchè.
la ragione che lo ha spinto a mentire sui voti ottenuti da ratzinger è il suo disappunto per l'elezione di uno che gli ha messo in passato i bastoni fra le ruote.

Anonimo ha detto...

Mille grazie cardinalessa o più semplicemente don ...! Davvero un bell'articolo chiarificatore!!!

Il Blogh ha detto...

"Non lo sappiamo, ma siamo ragionevolmente certi del fatto che se Siri fosse stato eletto, la storia della Chiesa cattolica negli ultimi decenni sarebbe stata diversa. "

altri spunti come questo in questo post.

Tuttavia vanno fatte due importanti precisazioni:

1)Il Concilio Ecumenico Vaticano II, oggettivamente, -va detto-, è stato importantissimo e necessario per la Chiesa.
Tutti i papi succeduti dopo Giovanni XXIII e Paolo VI l'hanno ribadito.
Benedetto XVI anch'esso.
Lui come il predecessore e molte altre personalità, intuisce è stato un'aggiornamento difficile e che alcuni lo possono interpretare non correttamente.
Cosa voglio dire..
che dev'esserci più mitezza nel descrivere i cardinali, primo fra tutti il cardinal Siri di cui la frase citata sopra sembra dargli -nel caso in cui fosse stato eletto- la responsabilità di una chiesa diversa da quella di oggi.
Ovvietà, ovvità e ovvietà...
Ma bisogna essere più miti poi nel dire "ultraconservatore"! erano altri tempi, non anni, MA TEMPI. E' chiaro che avrà avuto molte difficoltà nel comprendere alcune cose, e così anche il cardinal Benelli e la sua parte nel non riuscire ad trovare il significato della tradizione liturgica.

2) Ricordo che per chi si ritiene un fedele della Chiesa che il conclave -seppur nelle sue modalità potrebbe sembrare ai nostri occhi umani un qualcosa di "gestito"- dev'essere una lettura divina di quello che è un volere divino.
Quindi TROPPI SONO I PETTEGOLEZZI (INTUTILI) CHE AL CONCLAVE DEL 1978 SONO ATTRIBUITI.

"Tacere" Rosmini, che anch'esso non è stato compreso ai tempi nonostante avesse avuto ggrandi intuizioni, eppure siccome amava la Chiesa, anche nella condanna, ha taciuto.
E ne è valsa la pena.