9 agosto 2007
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Cambiano i vertici degli uffici culturali della Santa Sede. Al posto del cardinale Paul Poupard arriva il biblista Gianfranco Ravasi. E anche "L'Osservatore Romano" avrà un nuovo direttore: Giovanni Maria Vian. Un profilo dei due personaggi
di Sandro Magister
ROMA, 9 agosto 2007 – Con un papa professore come Benedetto XVI, in Vaticano è scoccata l’ora propizia per gli uomini di studio in sintonia con lui.
A ciascuno la sua promozione. A monsignor Gianfranco Ravasi, luminare delle Sacre Scritture, la presidenza del pontificio consiglio della cultura.
Al professor Giovanni Maria Vian, filologo della letteratura cristiana antica, la direzione dell’”Osservatore Romano”.
Al salesiano Raffaele Farina, altro studioso dei primi autori cristiani, la carica di archivista e bibliotecario di Santa Romana Chiesa.
A monsignor Cesare Pasini, viceprefetto della Biblioteca Ambrosiana e cultore di manoscritti greci e latini, la prefettura della Biblioteca Apostolica Vaticana.
Al benedettino americano Michael John Zielinski, cresciuto tra codici e incunaboli, la presidenza delle pontificie commissioni per i beni culturali e l’archeologia sacra.
All’oratoriano anglotedesco Uwe Michael Lang, discepolo del grande umanista e teologo John Henry Newman e autore di un saggio sull’architettura liturgica con prefazione di Joseph Ratzinger, l’arte e la musica sacra.
A Farina e Pasini i nuovi ruoli sono già stati assegnati lo scorso 25 giugno. Per gli altri le nomine ufficiali sono in arrivo. Di tutte la più importante è quella di Ravasi. Ad essa Benedetto XVI non ha dato soltanto il suo benestare. L’ha personalmente voluta, vincendo le resistenze di oppositori e rivali.
Perché sono anni che Ravasi è candidato a tutto; lo è stato anche ad arcivescovo di Milano, la sua diocesi. Ma finora era sempre rimasto al palo.
Nel 2005 sembrava fatta, per lui era pronto il vescovado di Assisi, la città di san Francesco: diocesi piccola ma grande tribuna mondiale.
Quando però, il 25 giugno, la congregazione vaticana che si occupa della nomina dei nuovi vescovi riunì i suoi membri per l’esame finale, sul tavolo comparve il ritaglio di un articolo pubblicato da Ravasi il 31 marzo del 2002 sul supplemento domenicale del quotidiano economico e finanziario “Il Sole 24 Ore”. L’articolo era sulla Pasqua e il titolo redazionale diceva: “Non è risorto, si è innalzato”. Qualcuno aggrottò le ciglia, altri dissero che lì si intaccava la retta dottrina. Il cardinale Giovanni Battista Re, prefetto della congregazione, ritirò la candidatura.
Tra gli uomini di Chiesa, Ravasi è uno dei più popolari. È da diciassette anni una star di Canale 5, l’ammiraglia delle tv di Silvio Berlusconi. Ma mai una volta ha fatto capolino in qualche spettacolo frivolo. La sua trasmissione di successo è una sola: “Le frontiere dello spirito”, che va in onda la domenica mattina senza che gli spot pubblicitari interrompano mai, per contratto, le sue letture commentate della Bibbia.
Con le sue esegesi, Ravasi affascina anche strati di pubblico che alla messa non vanno mai e con la Chiesa hanno della ruggine. E così le sue conferenze: tanto richieste in ogni angolo d’Italia che per averle occorre mettersi in fila con uno o due anni di anticipo.
Ravasi è un formidabile predicatore cristiano, è un Bernardino da Siena, un Paolo Segneri, un Bossuet in versione moderna e mite. Quando tiene un discorso non legge, sembra che ogni volta improvvisi, ma il suo periodare ha l’infallibile scansione di un libro stampato. Spazia con competenza su qualsiasi tema, e per ogni cosa ha pronta la citazione di un autore illustre, sempre però con la Bibbia come origine e fine di tutto.
È un’enciclopedia vivente da prima che inventassero i computer. E anche dopo la loro invenzione continua a scrivere a penna, senza correzioni, con tanto di note a piè di pagina. Un Pico della Mirandola del terzo millennio.
Eppure, da piccolo, non aveva nulla del bambino prodigio. Studiava tanto quanto i compagni di scuola, ma immagazzinava incredibilmente di più, senza darlo a vedere. Il greco cominciò a impararlo dopo la quinta elementare, da solo, tanto lo attiravano – disse – “quelle 64327 parole che compongono i quattro Vangeli in lingua originale”.
Poi venne l’ebraico, e poi una dozzina di altre lingue antiche e moderne. Ma anche durante gli studi teologici, nel seminario di Venegono, i primi della classe erano altri, non lui. La diocesi di Milano lo mandò a completare gli studi a Roma, al Pontificio Istituto Biblico dove insegnava il suo futuro arcivescovo Carlo Maria Martini.
I suoi primi libri furono di esegesi biblica pura. Come i tre imponenti tomi del suo commentario ai Salmi. Opere dottorali, per specialisti, però scritte con uno stile elegante e avvincente su cui gettarono gli occhi i grossi editori. Una più breve versione del commento ai Salmi entrò nella collana della Biblioteca Universale Rizzoli, destinata al grande pubblico.
E fu la rivelazione del Ravasi grande divulgatore. Se oggi le Sacre Scritture sono diventate familiari a molti, in Italia, lo si deve in buona parte a questo prete nato in Brianza, a Merate, nel 1942.
Anche come professore di esegesi alla facoltà teologica di Milano Ravasi apparve subito fuori del comune. Mentre i suoi colleghi teologi, teste fini, scodellavano ai loro alunni lezioni e testi di scoraggiante complicazione concettuale e linguistica, lui no, sapeva farsi capire da tutti, con parole semplici eppure piene di sostanza, dentro e soprattutto fuori dalle aule accademiche.
La sua fortuna come conferenziere e scrittore decollò veloce. Oggi è collaboratore fisso di “Avvenire”, il giornale della conferenza episcopale italiana, e del laico “Il Sole 24 Ore”. Ma come firma occasionale se lo contendono tutti. I suoi corsivi quotidiani sulla prima pagina di “Avvenire”, dal titolo “Mattutino”, sono raccolti man mano in volumi di successo.
Quando nel 1989 la carica di prefetto della Biblioteca e della Pinacoteca Ambrosiana, a Milano, rimase sguarnita, era quindi naturale che fosse conferita a lui, grande intenditore non solo di libri antichi e moderni, ma anche di arte e di musica. Con Ravasi prefetto, l’istituzione fondata nel 1607 dal cardinale Federigo Borromeo ha ottenuto un supplemento di celebrità senza eguali, nei suoi quattro secoli di storia.
Ma l’Ambrosiana è un’istituzione non solo per la letteratura e per l’arte, con capolavori come il “Codice Atlantico” di Leonardo da Vinci o la “Natura morta” di Caravaggio, ma anche per la Chiesa. Prima di Ravasi furono suoi prefetti cardinali insigni e persino un futuro papa, Achille Ratti, anche lui nato in Brianza, divenuto arcivescovo di Milano nel 1921 e successore di Pietro nel 1922 col nome di Pio XI.
I suoi critici accusano Ravasi di vendere fumo per ingraziarsi il favore di tutti. Ma all’occorrenza egli sa sfoderare gli artigli. Sui temi cruciali dell’aborto, dell’eutanasia, della vita nascente, quando sono in gioco i principi ultimi, si fa tagliente come una spada. Predica rispetto assoluto della vita d’ogni uomo in ogni momento, “per lo stesso motivo per cui si deve rispetto anche all’uomo peccatore”.
Anche per questo non c’è mai stata molta sintonia tra lui e il cardinale Martini, suo arcivescovo per più di vent’anni, più problematico e sfumato nell’applicare i principi alla complessità della vita reale.
Da Roma, invece, l’intransigente Joseph Ratzinger ha sempre avuto una forte stima di Ravasi. Da papa ha delegato a lui il compito, lo scorso venerdì santo, di scrivere i testi della Via Crucis al Colosseo: segno di sicura predilezione.
Ora lo vuole vicino a sé come presidente del pontificio consiglio per la cultura, al posto del cardinale Paul Poupard.
Ma c’è di più. Tra i biblisti di fama mondiale, Ravasi è quello che da più tempo sostiene che di Gesù bisogna parlare senza separare l’uomo da Dio, come tendono a fare i moderni tra i quali anche molti esegeti, ma in modo unitario.
In concordia perfetta con il “Gesù di Nazaret” scritto da Benedetto XVI.
Uno storico dei papi per il giornale del papa
Nelle edicole “L’Osservatore Romano” vende poche centinaia di copie. Anche a questo l’ha ridotto la direzione di Mario Agnes, lì piazzato nel 1984 dall’allora capufficio dell’informazione vaticana Crescenzio Sepe, oggi arcivescovo di Napoli e cardinale.
Riportare “L’Osservatore” all’altezza del suo storico prestigio sarà quindi un duro compito per il successore designato di Agnes, il professor Giovanni Maria Vian, 55 anni, docente di filologia della letteratura cristiana antica all’università “La Sapienza” di Roma e firma nobile del quotidiano della conferenza episcopale italiana, “Avvenire”.
Vian ha un piede in Vaticano dal 1999, da quando è membro del pontificio comitato di scienze storiche presieduto dal tedesco Walter Brandmüller. Un suo fratello, Paolo, è “scriptor” della Biblioteca Apostolica Vaticana e capo del dipartimento dei manoscritti. Nell’annuario pontificio ufficiale le note storiche all’elenco cronologico dei papi da san Pietro a Benedetto XVI sono opera di Giovanni Maria, aggiornate di anno in anno secondo gli ultimi studi. È da lui che sappiamo, ad esempio, che un papa Giovanni XX non è mai esistito e che il celebre papa Borgia non avrebbe dovuto chiamarsi Alessandro VI ma V.
Per l’enciclopedia dei papi edita in Italia dalla Treccani il prossimo direttore dell’”Osservatore Romano” ha scritto le voci di Paolo VI e Giovanni Paolo II. Anche di Benedetto XVI scriverebbe volentieri il profilo, tanto lo ammira.
Non ha mai nascosto le sue critiche di fondo all’impostazione storica della “scuola di Bologna” di Giuseppe Dossetti, Giuseppe Alberigo e Alberto Melloni, che vede nel Concilio Vaticano II un “nuovo inizio” della storia della Chiesa alternativo alla vituperata Chiesa “costantiniana”.
Sulla “donazione di Costantino”, secondo cui quell’imperatore avrebbe conferito a papa Silvestro e ai successori il dominio su Roma, l’Italia e l’Occidente, Vian ha pubblicato nel 2004 un libro per l'editrice il Mulino, nel quale non solo smaschera questo falso storico, ma rivaluta Costantino con le parole di Paolo VI: “Questo imperatore oggi tanto avversato da quelli stessi che patrocinano la libertà religiosa da lui inaugurata”.
La nomina di Giovanni Maria Vian a direttore dell’”Osservatore Romano” è in calendario per metà settembre.
www.chiesa
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