5 novembre 2007

Chiesa e Stato (dalla rivista "30 giorni")


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Chiesa e Stato

Tra le date che mi sono rimaste impresse, lungo il corso della mia (ormai lunga) vita, spicca appunto il 25 marzo 1947, quando si votò l’articolo della Costituzione sui rapporti tra Stato e Chiesa. La Santa Sede (e specialmente la Segreteria di Stato) teneva molto all’esplicita menzione dei Patti Lateranensi del 1929 nella Costituzione della Repubblica

di Giulio Andreotti

Le recenti polemiche su una pretesa invasione del campo civile da parte della Chiesa riportano alla delicata situazione dell’immediato dopoguerra, quando il tema si articolò in modo particolarmente sottile, e si trovavano spunti sia della riconoscenza per quello che le parrocchie avevano fatto a sostegno della libertà sia di rigurgito di un forte anticlericalismo, nato a suo tempo nella disputa sulla fine del potere temporale.
Per fortuna vi erano stati i Patti Lateranensi del 1929.
Se avessimo dovuto affrontare noi democristiani il superamento del conflitto “temporale” tra Stato e Chiesa, sarebbe stato un guaio serio in ambo le direzioni.
Tra le date che mi sono rimaste impresse, lungo il corso della mia (ormai lunga) vita, spicca appunto il 25 marzo 1947, quando si votò l’articolo della Costituzione sui rapporti tra Stato e Chiesa.
La Santa Sede (e specialmente la Segreteria di Stato) teneva molto all’esplicita menzione dei Patti Lateranensi del 1929 nella Costituzione della Repubblica.

Premetto che monsignor Montini ci aveva molto aiutato affinché la protezione del Vaticano nel trattato di pace non fosse affidata agli Alleati. Sarebbe stata un’implicita sfiducia verso l’Italia e fummo lieti che fosse stata evitata.

Citare i Patti Lateranensi era visto da alcuni come un’implicita lode al governo del 1929, ma si trattava di una visione piuttosto meschina. Tuttavia i voti per far prevalere la dizione più giusta non c’erano e De Gasperi, in via eccezionale, si iscrisse a parlare per spiegarlo pubblicamente.
Al mattino Dossetti era andato a sua volta in Segreteria di Stato per dare spiegazioni, ma sul mezzogiorno venne al Viminale il giornalista Emilio Frattarelli, latore di un messaggio confidenziale di Togliatti, che annunciava il loro voto a favore, ma con embargo assoluto fino alle diciotto, ora di inizio della seduta. In effetti, quando si levò a parlare e annunciò questa... convergenza, dai banchi socialisti si levarono urla (l’onorevole Tonello, eccitatissimo, gridò: «Tradimento, tradimento!»).

Togliatti motivò la loro decisione con il rispetto di una larga parte degli italiani che volevano questo, anche a prescindere dal loro schieramento partitico generale.

Molti anni dopo riprodussi su 30Giorni questa dichiarazione di voto, storica ed esemplare.
Quello che oggi manca nella vita pubblica è un’ispirazione profonda. La propensione al pragmatismo – esaltandolo – potrebbe inaridire le radici storiche e culturali del sistema italiano.
È un rischio che, purtroppo, non molti avvertono.
Quando – molti anni fa – ero giovane ascoltavo con noia e spesso con insofferenza i giudizi riassuntivi secondo i quali alcuni vedevano un progressivo peggioramento dei costumi; mentre altri difendevano con convinzione l’attualità, traendone spunti di progresso.
In verità queste sintesi quasi statistiche sono difficili e spesso fuorvianti.
Spesso circostanze occasionali vi portano a conoscere – sorprendendovi – risvolti molto positivi quando non ve l’aspettavate. Ma è vero anche il contrario.
Questa constatazione può spingervi a un rassegnato qualunquismo e non sarebbe né giusto né obiettivo.
Ricordo l’insegnamento di un professore del liceo che ripeteva una massima, non so se propria o di altri: «Prima di fare di questo caso una esperienza, provalo e riprovalo due o tre volte (che» aggiungeva «dovrebbero essere mille)».
Attenzione: di questo atteggiamento prudente non bisogna esagerare, sospendendo all’infinito un giudizio su eventi o su persone.
Un mio amico magistrato mi disse di sentirsi molto umile perché la sua professione è l’unica per la quale la legge presuppone che possa sbagliare, prevedendo uno o più stadi di riesame per verificare congruità e attingere certezza.
Quello che però in materia – e specificamente sull’attività giudiziaria – provoca effetti negativi è la diffusa abitudine alle indiscrezioni. In una fase della vita nella quale dovetti occuparmi di questo tema rimasi sconcertato dal vedere sulla stampa notizie, anche dettagliate, di atti riservati, con anticipo di giorni (talvolta di settimane) rispetto alla divulgazione, come dovuta.
In passato si era più attenti. Ricordo che il ministro Gonella ottenne un piccolo supplemento di dotazione, nel bilancio della Giustizia, per spese postali, evitando l’invio degli atti in plichi aperti, la cui affrancatura costa meno.
Io stesso della settennale vicenda specifica nella quale mi sono trovato ho avuto la prima notizia da una indiscrezione dei giornali. Del resto non esistono, per quel che so, condanne per violazione del segreto istruttorio. Questo è molto grave. Perché secondo la tradizione, se una notizia compare sulla stampa (ancor più se nelle trasmissioni televisive), vi è una forte presunzione di veridicità. La frase tipica, del resto, è questa: «È vero, l’ho letto sul giornale».
Durante l’Assemblea costituente, a parte la normativa generale in proposito, si dette luogo a una legge speciale per contrastare la stampa oscena, equiparando a essa anche quella che può turbare la sensibilità degli adolescenti.
Questo risvolto cronistorico è da meditare. I costituenti non erano certamente né bacchettoni né scarsamente attenti ai diritti di libertà; e le norme che adottarono indicano una sensibilità, che deve essere riconquistata.
Connesse alle statistiche giudiziarie sono quelle sul ritorno a delinquere di persone che hanno beneficiato di provvedimenti di amnistia o di condono.
È un vecchio problema. Si dice che durante la monarchia, quando veniva annunciato lo stato di avanzata maternità delle principesse reali, aumentavano le contravvenzioni (specie per traffico illecito di tabacco) facendo conto appunto sul “condono” legato alle nascite.
In Parlamento dal 1946, ho più volte partecipato a provvedimenti di clemenza – e in un caso l’ho promosso io stesso. Non avverto disagio né mi pento.
Per connessione di materia, accenno al dovere dei cristiani di compiere “opere di misericordia”. E se per alcune di quelle che il catechismo prescrive l’applicazione non può che essere simbolica (come per il “seppellire i morti”), l’attenzione verso i carcerati va invece considerata alla lettera, sia pure nelle forme che le differenti circostanze implicano.
Circa l’attenzione sostanziale verso i poveri, occorre evitare che gli obblighi relativi previsti per le istituzioni pubbliche dalle legislazioni sociali contemporanee vengano interpretati come esonero alla carità individuale; che non è certo solo l’aiuto materiale ma è anche questo.
Non per i poveri ma per altra finalità collettiva è l’invito a contribuire per le missioni, che si fa nelle chiese ma anche – sia pure in forma ridotta oggi – con le piccole cassettine di raccolta di elemosine, poste nei pubblici esercizi, con il negretto che ringraziando china la testa. Un tempo queste raccolte erano ampiamente diffuse, anche nelle scuole.

Del mondo delle missioni, a parte le riviste specializzate, si parla poco, nonostante la materia si presti a richiami suggestivi. In molte aree, accanto alla predicazione evangelica – anche quella protestante – i missionari sono anche ampiamente presenti nelle strutture scolastiche e in quelle sanitarie.

Ho avuto io stesso occasione di incontrare un insediamento di suore cappuccine, reduci dalla Cina e residenti in una foresta sulla riva del famoso fiume Kwai. Mi commossero pregandomi di salutare Giorgio La Pira, che a tutte le claustrali del mondo inviava mensilmente una lettera enciclica.

Qualche anno fa si svolse una vivace polemica con quanti si opponevano all’ammissione della Santa Sede, come osservatrice, nell’ambito delle Nazioni Unite. L’argomento avanzato dai contrari era l’estraneità del soprannaturale nel contesto delle istituzioni civili. Molti non conoscono la socialità della Chiesa e delle sue ramificazioni.

Specie in Italia, alla comparazione obiettiva di questi problemi ha nuociuto a lungo la confusione con i risvolti della Questione Romana legata al Potere Temporale della Chiesa stessa.
Resta esemplare un documento del Parlamento italiano (sito allora a Firenze) nel quale, troncandosi un dibattito non proprio di una sede politica, si dice: «La Camera, nulla curandosi dell’infallibilità del Pontefice, passa all’ordine del giorno».
È un atto parlamentare da ricordare.

© Copyright 30 giorni, ottobre 2007

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