21 marzo 2008
CELEBRAZIONE DELLA PASSIONE: PADRE CANTALAMESSA, “L’UNITÀ DELLA CHIESA È UN DONO DA ACCOGLIERE”
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CELEBRAZIONE DELLA PASSIONE: PADRE CANTALAMESSA, “L’UNITÀ DELLA CHIESA È UN DONO DA ACCOGLIERE”
“La lieta notizia da proclamare il Venerdì Santo è che l’unità (della Chiesa, ndr), prima che un traguardo da raggiungere, è un dono da accogliere”. Lo ha affermato il predicatore della casa pontificia, Padre Raniero Cantalamessa, durante l’omelia della celebrazione della Passione del Signore, presieduta da Benedetto XVI nella basilica vaticana. Commentando un versetto del Vangelo di Giovanni (19,23-24), dove viene descritto quanto accade dopo la crocifissione di Cristo, padre Cantalamessa ha sottolineato che “la tunica” di Gesù “era senza cuciture”. Un fatto, questo, che – ha spiegato Cantalamessa – “simboleggia l’unità della Chiesa”. La tunica, ha aggiunto, “era l’indumento intimo, portato a diretto contatto con il corpo. Un simbolo anche questo. Noi uomini possiamo dividere la Chiesa nel suo elemento umano e visibile, ma non la sua unità profonda che si identifica con lo Spirito Santo. La tunica di Cristo non è stata e non potrà mai essere divisa”. Riflettendo ancora sull’unità, padre Cantalamessa ha detto: “Se l’unità deve servire da segno «perché il mondo creda», essa deve essere una unità anche visibile, comunitaria. È questa unità che è andata perduta e che dobbiamo ritrovare. Essa è ben più che dei rapporti di buon vicinato; è la stessa unità mistica interiore, in quanto accolta, vissuta e manifestata, di fatto, dai credenti”.
“Se l’unità dei discepoli deve essere un riflesso dell’unità tra il Padre e il Figlio – ha proseguito padre Cantalamessa - essa deve essere anzitutto una unità d’amore, perché tale è l’unità che regna nella Trinità”. Per Cantalamessa, “la cosa straordinaria, circa questa via all’unità basata sull’amore, è che essa è già ora spalancata davanti a noi. Non possiamo «bruciare le tappe» circa la dottrina, perché le differenze ci sono e vanno risolte con pazienza nelle sedi appropriate. Possiamo invece bruciare le tappe nella carità, ed essere uniti, fin d'ora”. A tal proposito, Cantalamessa ha portato l’esempio di Chiara Lubich, “fondatrice del Movimento dei focolari” che “questa settimana abbiamo accompagnato alla sua dimora eterna. Ella è stata una pioniera e un modello di questo ecumenismo spirituale dell’amore. Ha dimostrato che la ricerca dell’unità tra i cristiani non porta alla chiusura verso il resto del mondo; è anzi il primo passo e la condizione per un dialogo più vasto con i credenti di altre religioni e con tutti gli uomini che hanno a cuore le sorti dell’umanità e della pace”. Per il predicatore della casa pontificia, “ciò che potrà riunire i cristiani divisi sarà solo il diffondersi tra di essi, per opera dello Spirito Santo, di un’ondata nuova di amore per Cristo. È ciò che sta avvenendo nella cristianità e che ci riempie di stupore e di speranza”.
“La posta in gioco all’inizio del terzo millennio – ha evidenziato Cantalamessa - non è più la stessa che all’inizio del secondo millennio, quando si produsse la separazione tra Oriente e Occidente; neppure è la stessa che a metà dello stesso millennio, quando si produsse la separazione tra cattolici e protestanti”. Oggi, ha proseguito Cantalamessa, ci sono “due ecumenismi possibili: un ecumenismo della fede e un ecumenismo dell'incredulità; uno che riunisce tutti quelli che credono che Gesù è il Figlio di Dio, che Dio è Padre Figlio e Spirito Santo, e che Cristo è morto per salvare tutti gli uomini, e uno che riunisce tutti quelli che, in ossequio al simbolo di Nicea, continuano a proclamare queste formule, ma svuotandole del loro vero contenuto. Un ecumenismo in cui, al limite, tutti credono le stesse cose, perché nessuno crede più a niente... La fondamentale distinzione tra i cristiani – ha concluso Cantalamessa - non è tra cattolici, ortodossi e protestanti, ma tra coloro che credono che Cristo è il Figlio di Dio e coloro che non lo credono”.
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