15 aprile 2008

A colloquio con monsignor Donald William Wuerl, arcivescovo di Washington: "Una visita per ridare speranza alla Chiesa negli Usa" (Osservatore)


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A colloquio con monsignor Donald William Wuerl, arcivescovo di Washington

Una visita per ridare speranza alla Chiesa negli Stati Uniti

di Nicola Gori

L'arcidiocesi di Washington si prepara ad accogliere Benedetto XVI "con entusiasmo" e "con speranza", presentandogli la realtà di una Chiesa impegnata nel dialogo, nella carità verso i poveri, nella promozione della giustizia e della pace. Lo assicura l'arcivescovo monsignor Donald William Wuerl, in questa intervista a "L'Osservatore Romano" a poche ore dall'arrivo del Pontefice negli Stati Uniti.

Qual è il clima che si respira a Washington?

C'è grande emozione perché i cattolici guardano all'arrivo del Papa con gli occhi della fede, come la venuta del Successore di Pietro fra noi. E questo ha trasformato la visita in un momento di catechesi tra i più fecondi e positivi. È stata l'occasione per spiegare chi è il Papa, chi è Pietro, qual è il ruolo di Pietro nella Chiesa e perché il ministero petrino è così fondamentale per la vita della Chiesa. Abbiamo anche preparato delle guide parrocchiali per facilitare lo studio della Spe salvi. In risposta alle numerose richieste che abbiamo ricevuto, specialmente dai giovani, abbiamo fatto preparare anche un opuscolo, del quale verranno distribuite centomila copie. Questo è uno dei segni dell'entusiasmo e dell'autentica sete che molti giovani e adulti hanno di conoscere il Pontefice. Un altro segno di questo entusiasmo è la richiesta di biglietti per la messa che il Papa celebrerà giovedì 17. Per ogni posto di cui disponiamo - e ci sono quarantacinquemila posti al National park stadium - abbiamo almeno tre richieste, che giungono da ogni parte del paese. A concelebrare la messa ci saranno millequattrocento sacerdoti provenienti da tutti gli Stati Uniti. Probabilmente è il numero più grande di sacerdoti per una messa papale nella nostra nazione.

Lei è stato nei giorni scorsi a Roma per parlare del dialogo interreligioso come fondamento per la pace. La sua arcidiocesi ospiterà un incontro di leader delle diverse religioni. Che posto occupa questo dialogo nel suo ministero episcopale?

È una delle priorità. Ritengo che oggi sia molto importante, seguendo l'insegnamento del Papa, ampliare questo dialogo con tutte le comunità religiose. È fondamentale continuare il dialogo con i nostri fratelli e le nostre sorelle ebrei. Questo dialogo è proseguito in maniera feconda sin dai giorni della Nostra aetate ed è maturato nel corso di molti decenni. Dobbiamo continuarlo, ma attualmente dobbiamo anche concentrarci sul dialogo con il mondo dell'islam, perché si tratta di una realtà molto vasta e articolata, con la quale non abbiamo tanti contatti. Scopo del dialogo è, in generale, di costruire fiducia e comprensione reciproche, affinché le persone di fede diversa possano vivere e lavorare insieme in un'armonia radicata nella loro conoscenza reciproca.

La Casa Bianca è situata nel territorio della sua arcidiocesi. Che significato ha questa presenza per il vostro impegno pastorale?

Washington ospita il Governo nazionale: la Casa Bianca e il presidente, il Campidoglio e il congresso, e anche la Corte suprema. Tutti lavorano qui e quindi fanno parte dell'arcidiocesi, almeno in senso lato. Inoltre, diversi membri del Governo, del congresso, della Corte sono cattolici. Ciò significa per la Chiesa un'opportunità ulteriore di dialogare. In questo senso, penso che il ruolo dell'arcivescovo di Washington debba essere quello di continuare a presentare in modo chiaro la posizione della Chiesa e il suo insegnamento. Io personalmente ho cercato di essere un testimone che forma la coscienza dei cattolici, anche di quelli che fanno parte del Governo. Per noi è come una sfida avere la Casa Bianca nel territorio diocesano.

I mezzi di comunicazione hanno evidenziato molto le misure di sicurezza prese per la visita del Papa. È un aspetto che vi preoccupa?

Penso che il problema della sicurezza sia davvero concreto. Dall'11 settembre sono state aumentate le misure di sicurezza un po' ovunque nel Paese. È il risultato delle tensioni nel mondo in cui viviamo. Per il Papa vogliamo essere certi che tutto funzioni alla perfezione e tutto si svolga nella maniera più tranquilla possibile. È un ospite unico che visita il nostro Paese. Penso che questo spieghi l'intensità dei preparativi. Sarà qui con noi e ci saranno diverse occasioni in cui starà in pubblico, nella papamobile, in particolare durante la grande messa nel National stadium.

Lei pensa che questo provocherà disagi ai fedeli?

Forse. Ma i controlli sono necessari. L'apertura dei luoghi in cui si svolgono gli eventi è anticipata di tante ore proprio per consentire che tutto si svolga in ordine e in sicurezza. Ma non solo: arrivando con un certo anticipo c'è la possibilità di prepararsi a vivere l'evento nel giusto spirito.

Oggi l'arcidiocesi di Washington è il principale fornitore di servizi sociali nella regione. Che cosa significa?

Una delle realtà più significative della vita negli Stati Uniti è costituita dalle associazioni di fedeli che si dedicano in particolare al servizio sociale, come per esempio Catholic charities. La loro missione specifica è proprio quella di venire incontro alle necessità dei più bisognosi. A Washington sono numerosissime e forniscono una grande quantità di servizi sociali. Ecco perché si dice che l'arcidiocesi di Washington è il maggior fornitore di assistenza dopo il Governo federale. Lo scorso anno abbiamo aiutato centomila persone. Catholic charities può contare su circa ottocento membri. Inoltre ci aiutano 4.600 volontari. È un aiuto importante perché ci consente di assicurare un gran numero di servizi.
Siamo felici di poterlo fare poiché rispondiamo alla chiamata propria della nostra fede cattolica, cioè quella di servire il prossimo. Il Santo Padre ci ricorda continuamente i tre compiti che la Chiesa deve svolgere nella sua azione missionaria: proclamare il Vangelo, celebrare i sacramenti e compiere le opere di carità. Ed è questo che noi cerchiamo di fare.
Abbiamo poi accettato la sfida posta dalla presenza in territorio americano di un numero consistente di immigrati, provenienti per la maggior parte dall'America Latina, dunque di lingua spagnola. Vengono dal Messico, da El Salvador, dal Nicaragua, dal Perú e dal Brasile. Cercare di raggiungere tutte queste persone e aiutarle rappresenta una sfida particolare. Proprio qualche settimana fa abbiamo tenuto una serata di gala per raccogliere fondi per il Centro cattolico spagnolo che si prende cura, offre assistenza medica, servizi sociali e proposte educative a migliaia di immigrati di lingua spagnola che non sanno dove rivolgersi.

Voi integrate il sostegno dove la previdenza sociale non riesce ad arrivare?

Sì, perché il governo ha constatato che è molto più conveniente, e in realtà più vantaggioso in tutti i sensi, firmare contratti con i servizi sociali cattolici perché forniscano tali prestazioni. Così, le tasse che tutti versiamo al governo vengono ora usate per cercare di far fronte ai bisogni dei poveri. E negli anni il governo ha constatato che Catholic charities e tutti gli altri servizi sociali della Chiesa cattolica sono enti molto efficaci ed economicamente convenienti, il che è un incentivo al loro utilizzo. Non molto tempo fa qualcuno ha fatto notare che poiché la Chiesa cattolica, attraverso le offerte volontarie dei fedeli, paga buona parte delle strutture della Catholic charities, i soldi provenienti dai programmi governativi possono essere utilizzati direttamente per i programmi invece di usare gran parte di essi per creare le sovrastrutture.

Fonti di stampa hanno rivelato di recente che milioni di cittadini statunitensi avrebbero bisogno di chiedere un sussidio allo stato per comprare da mangiare.

Lei sta parlando di quelli che noi chiamiamo food-stamps (buoni alimentari). Una delle cose che si deve tener presente quando si parla di livello di povertà negli Stati Uniti è che si parla di un reddito relativamente alto. Ho avuto l'opportunità di visitare diverse parti del mondo dove la nostra diocesi opera a favore dei poveri e dove il livello di povertà nelle diverse parti del mondo è molto più basso. Quindi, quando si parla di un numero elevato di persone che ha bisogno di aiuto negli Stati Uniti, è vero che esiste, ma non si tratta del livello di povertà opprimente che si riscontra altrove nel mondo.
Ciò che siamo riusciti a fare - e questo va a onore del popolo degli Stati Uniti - è che, attraverso il Governo, possiamo elaborare un programma di distribuzione di cibo, in modo che quando il salario scende al di sotto di un certo livello, e a seconda del numero di persone a carico che ci sono in famiglia e il numero di figli, si ha diritto a questi food stamps, a questi buoni alimentari. Così è possibile integrare il reddito e fare in modo che ci sia da mangiare per la famiglia. Quando parliamo di milioni di cittadini statunitensi che devono chiedere un sussidio statale stiamo parlando di questo programma. In questo momento tutti stanno sentendo la crisi economica. In parte dipende dal costo del petrolio, della benzina. Usiamo un miliardo di prodotti per riscaldare le nostre case, per generare energia ed elettricità per le nostre macchine. L'altro giorno ho sentito un uomo alla radio, un camionista, il quale ha raccontato che quasi l'intero margine di guadagno se ne va con il costo del carburante. Ha un impatto su tutto, e quindi anche sui poveri. Questo è parte del problema, no? Mentre il prezzo dei beni di consumo aumenta, chi ha uno stipendio fisso o riceve un salario molto basso deve integrarlo in qualche modo, e penso che il nostro Governo per molti decenni ha risposto con il programma dei buoni alimentari.

Che cosa ci può dire delle vocazioni?

Penso che stiamo assistendo a un incremento davvero positivo e incoraggiante nell'ambito delle vocazioni. Lo scorso mese, a marzo, ho avuto l'opportunità di visitare alcuni dei seminari in cui l'arcidiocesi di Washington manda i suoi studenti. Abbiamo il nostro seminario Redemptoris Mater con trentacinque studenti, e poi abbiamo altri trentadue uomini in altri seminari, per esempio a Roma, nel Collegio Americano del Nord, e ancora ne abbiamo a Baltimora, nel Mount Saint Mary's seminary. Alcuni stanno al seminario dell'Immacolata Concezione a Newark mentre altri svolgono il programma del college o quello di pre-teologia a New York.
La risposta mi ha indicato che c'è una crescente apertura nei nostri giovani a servire Cristo. All'Università del Maryland, che non è cattolica, ma dove abbiamo un Catholic Newman centre, abbiamo organizzato degli incontri per invitare le persone a venire a messa e poi a un colloquio. I ragazzi che ne avevano voglia potevano fermarsi per parlare del sacerdozio con me e con i cappellani. Cinquanta giovani hanno approfittato di questa conversazione. Ritengo che stiamo assistendo a un rinnovamento delle energie, a un rinnovamento della fede che deve essere alimentato e coltivato, ma ciò avverrà gradualmente.

Quali effetti hanno avuto gli scandali per gli abusi sessuali nella vostra situazione locale?

Penso che lo scandalo degli abusi sessuali abbia avuto un impatto negativo sulla Chiesa. Ciò che è iniziato nel gennaio 2002 in New England è stato interpretato dai mezzi di comunicazione come un qualcosa che accadeva ovunque nella Chiesa. E quindi, dei fatti che possono essere accaduti nel 1960 o nel 1970 venivano raccontati come se stessero avvenendo in quel momento. Nell'arcidiocesi di Washington, grazie all'azione svolta a partire dall'inizio degli anni Ottanta, durante il governo episcopale del cardinale Hickey e poi del cardinale McCarrick, non abbiamo avuto le polemiche riscontrate altrove. Penso che lo stesso sia successo in molte Chiese negli Stati Uniti, in molte diocesi. Semplicemente, da noi non c'è stata questa grande polemica perché la Chiesa aveva affrontato il problema. Ciononostante l'impatto negativo c'è stato. Credo che dobbiamo lavorare duramente per ricostruire la fiducia e la confidenza della nostra gente.

E riguardo i seminaristi c'è stata un'influenza negativa?

Direi che non abbiamo riscontrato alcuna correlazione. Mentre affrontiamo le conseguenze e l'impatto degli scandali, constatiamo anche che il numero di giovani che rispondono è in aumento. E così penso che la grazia di Dio è all'opera anche dinanzi alle avversità.

Riguardo alla famiglia e al rispetto della vita nella vostra Chiesa?

Mi auguro che quando il Papa arriverà sentiremo da lui un'affermazione anzitutto sulla nostra fede, sull'importanza di credere e di vivere la nostra fede. Come dice nella Spe salvi, chi ha speranza vive diversamente. Spero anche ciò che vedremo e sentiremo dal Pontefice possa essere un sostegno per le famiglie, un sostegno per i giovani nella loro ricerca per rimanere forti nella fede, un sostegno per le persone che intendono servire Cristo nella vita religiosa o nel sacerdozio. Penso che sentiremo da Benedetto XVI parole che incoraggiano tutto ciò.

La Chiesa come vede l'impegno militare degli Stati Uniti in Iraq e in altri Paesi del mondo?

Ciò che ha affermato la Conferenza episcopale dei vescovi americani - che certamente condivido e che abbiamo più volte ripetuto - è che deve esserci un disimpegno responsabile dall'Iraq. Gli Stati Uniti sono lì, in una posizione molto forte. Dobbiamo riuscire a lasciare gradualmente l'Iraq, ma dobbiamo farlo in modo che, partendo, non causiamo più problemi di quelli che già affrontiamo e che il popolo iracheno sta affrontando. È questo, ritengo, ciò che la Conferenza episcopale intende con disimpegno responsabile.

(©L'Osservatore Romano - 16 aprile 2008)

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