10 luglio 2008

Il risultato finale di Piazza Navona? Classica figura dell’apprendista stregone per gli organizzatori (Avvenire)


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LA PIAZZA SVUOTATA

COME METTERE FUORIGIOCO UNA LEVA POLITICA

GIANFRANCO MARCELLI

Tra le macerie politiche, umane e cul­turali accumulate martedì sera a piazza Navona, al termine del cosiddet­to 'no cav day', emerge forse un solo dato istruttivo, che nell’odierna società dello spettacolo vale la pena annotare a futura memoria. E cioè che la fama più o meno meritatamente guadagnata cal­cando le scene teatrali o frequentando gli studi televisivi non garantisce, di per sé, nessuna particolare attitudine poli­tica superiore. Tanto meno una specia­le competenza a trattare questioni che impegnano in queste stesse ore le risor­se intellettuali, oltre alle legittime opi­nioni personali, di centinaia di uomini delle istituzioni, della magistratura e del­le professioni. Intendiamoci, non è che su certi temi abbiano il diritto di esprimersi solo gli addetti ai lavori, come si usa chiamarli. Né si può immaginare di lasciar fuori dal confronto civile, su argomenti di così va­sto impatto, quelle che un antico lessi­co di sinistra definiva le masse popola­ri. Ma almeno, ai tempi in cui quel lin­guaggio andava di moda, la mobilita­zione dal basso era finalizzata a tra­smettere argomenti e messaggi chiari, non solo invettive fini a se stesse. E in­vece questa volta, per giudizio quasi u­nanime, si è finito proprio col riempire la piazza di umori al prezzo di svuotar­la di contenuti.

Mentre conforta l’ondata di solidarietà espressa nei confronti del Quirinale e del Papa dai più alti vertici istituzionali e da quasi tutti gli schieramenti politici, resta il fatto che i promotori della kermesse romana, gente navigata quanto basta, hanno voluto a tutti i costi inserire nel­la 'scaletta' della loro manifestazione personaggi più adatti ad accarezzare, co­me è stato notato, gli istinti da 'trico­teuse' che l’altra sera circolavano in ab­bondanza nell’antico stadio di Domi­ziano.

Sperando forse di trasformare quel raduno nella prima tappa di una improbabile 'Bastiglia de’ noantri'. Ed è quindi legittimo interrogarsi sulle ra­gioni di una simile scelta, che i ramma­richi e le dissociazioni del giorno dopo non possono far sottacere.
Probabilmente, a tradire chi si aspetta­va di incassare dall’operazione ben al­tri dividendi è stata innanzitutto la vo­glia spasmodica di aggregare, di mette­re insieme tutto quanto era possibile re­perire sul mercato dello scontento, va­gheggiando una prima sonora rivincita sul 13 aprile. In tal modo accrescendo la propria personale visibilità e caratura rappresentativa. Ma i fatti hanno dimo­strato ancora una volta che la frustra­zione, per quanto diffusa, non è mai un buon terreno per costruire solide pro­poste alternative. Così come il livore per­sonale, spesso figlio dell’impotenza po­­litica, può al massimo ispirare qualche squallida 'performance' da avanspet­tacolo. Col risultato finale, per gli orga­nizzatori, di aver fatto la classica figura dell’apprendista stregone.
Non mancheranno tempo e modi per valutare le ricadute a più lungo termine di quanto è accaduto, sullo schiera­mento di opposizione e sui rapporti tra le sue diverse anime, messi duramente alla prova da un’evidente forzatura del­la componente dipietrista. Ricadute che l’aut-aut veltroniano di ieri sera all’ex Pm, e la piccatissima replica di que­st’ultimo, non fanno certo prevedere in­dolori.

Intanto è già abbastanza istruttivo pas­sare in rassegna certe valutazioni a fred­do sul 'pasticciaccio' di piazza Navona, con quel rincorrersi di condanne e di prese di distanze, di felicitazioni per lo scampato pericolo di chi non è andato e di rivendicazioni del 'buono' che è stato 'ingiustamente' sprecato per col­pa di pochi.

Per non parlare di chi se la prende con un’informazione definita parziale e più interessata agli scandali che alla sostanza o, addirittura, di chi in­vita a evitare rese dei conti interne, per­ché il 'nemico' comune è un altro. Ri­cadendo così proprio nell’insanabile vi­zio di origine della manifestazione.

© Copyright Avvenire, 10 luglio 2008

1 commento:

Anonimo ha detto...

Eheheheh! Imperdibile da L'Occidentale:
L'uovo di giornata 10 Luglio 2008
Travaglio, la Guzzanti e...il Sommo Poeta

Fino ad oggi avevamo evitato di calcare la mano sulle parole che Sabina Guzzanti aveva riservato a Papa Benedetto XVI a piazza Navona. Erano parole così incredibilemente piene d'odio che erano condanna a se medesime. In più era anche faticoso citarle tra virgolette visto il loro abominio.

Oggi però ci costringe a parlarne il "maestro dei fatti", Marco Travaglio, uno dei pochissimi che si è ostinato a difendere la Guzzanti. Anzi è lui ad accusare tutti gli altri, quelli che si sono tappati le orecchie, che sono fuggiti dalla piazza o hanno rigraziato il cielo d'esservi scampati.

Travaglio ci fa la sua spocchiosa lezioncina: "Possibile che non vi siate accorti che quella di Sabina era citazione? Dante condannò Bonifacio VIII per le stesse ragioni per cui la Guzzanti condanna Ratzinger: l'ingerenza nella politica".

Una citazione??? No, non ce ne siamo accorti. Forse Dante ha mai parlato di diavoli "frocioni e attivissimi" come punizione per un Papa agli inferi?

Dante si limitò a prevedere (Inf.canto XIX, 52-53) l'arrivo di Bonifacio VIII all'inferno (era infatti ancora in vita mentre Dante scriveva) nel girone dei simoniaci. In quel girone i condannati erano infissi a testa in giù nella roccia per aver comprato con il denaro beni spirituali. E ai tempi di Dante si diceva che Papa Bonifacio avesse "comprato" la tiara, inducendo l'abdicazione di Celestino V. Niente a che fare il "peccato", niente a che fare la condanna.

Dov'è dunque la citazione che avrebbe ispirato la forsennata esibizione della Guzzanti? Ma ammettiamo che ci fosse qualche vaga corrispondenza, basterebbe per dare un senso a quello sproloquio? La Guzzanti condanna Ratzinger come Dante eccetera eccetera, ma dov'è finito il senso della misura? E quello del ridicolo?

Travaglio s'impanca ogni giorno a richiamare ai fatti questo o quello, come se lui ne avesse l'esclusiva. Fa il giornalista, scrive libri forcaioli, va in tivvù da Santoro: in effetti non gli serve conoscere la Divina Commedia. Ma un bignami a casa ce l'avrà pure: prima di dare lezioni, verifichi i fatti.

Ciao
Alessia