10 luglio 2008

Monsignor Fisichella sul caso En­glaro: «Questa è eutanasia, sentenza impugnabile» (Daloiso e Negrotti)


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«Questa è eutanasia, sentenza impugnabile»

Monsignor Fisichella: il giudice non è il legislatore

DA MILANO VIVIANA DALOISO

«Un’azione di eutanasia». Di morte. Che, in quanto tale, «può essere impugnata presso una Corte superiore», capace di ragionare sulla vicenda «con serenità e meno emotività». Le parole del presi­dente della Pontificia Accademia per la Vita, Rino Fisichella, investono di pe­rentoria chiarezza ogni possibile inter­pretazione della vicenda di Eluana En­glaro, la ragazza di Lecco in stato vegetativo da se­dici anni e su cui ieri mat­tina la Corte d’Appello ci­vile del Tribunale di Mi­lano si è espressa a favo­re dell’interruzione di a­limentazione e idratazio­ne artificiali. Perché Eluana è ancora u­na ragazza in vita e, ha spiegato monsi­gnor Fisichella, «il coma è una forma di vita. Nessuno può permettersi di porre fi­ne a una vita personale». E poi perché è impossibile che un giudice si sostituisca in una decisione come questa alla per­sona coinvolta e al legislatore: «Non mi risulta – ha precisato l’arcivescovo – che in Italia ancora ci sia una legislazione in proposito».
Che la decisione dei giudici milanesi le­gittimi, a tutti gli effetti, l’uccisione di un essere umano è stato peraltro eviden­ziato con forza anche da Radio Vaticana e in una nota da Scienza & Vita, che ha sottolineato come, fino a quando esista vita biologica, quella sia sempre e co­munque una «vita personale», espres­sione «di una dignità che interpella in modo forte le coscienze e la responsa­bilità di tutti». Indignazione, dunque. Ma anche preoc­cupazione: «I rischi che la sentenza pos­sa determinare uno scivolamento verso la legalizzazione del testamento biolo­gico e addirittura dell’eutanasia nel no­stro Paese sono enormi», ha ricordato sempre ai microfoni di Radio Vaticana Gianluigi Gigli, direttore di neurologia dell’ospedale Santa Maria della Miseri­cordia di Udine. E prova ne siano le nu­merose dichiarazioni rilasciate dai so­stenitori delle pratiche in questione – sia in campo politico che scientifico –, che già nel pomeriggio di ieri sventola­vano la bandiera della sentenza Englaro come il lasciapassare per l’introdu­zione del testamento biologico.
Critiche alla decisione della Corte d’Ap­pello di Milano sono arrivate anche dal Centro di bioetica dell’Università Catto­lica: «Sospendere trattamenti ordinari come quelli somministrati a un pazien­te in stato vegetativo a motivo di una de­cisione che non ha fondamento clinico– si afferma nella nota del centro – signifi­ca di fatto scardinare il dovere fonda­mentale del prendersi cura dei pazienti che non sono in grado di intendere e volere». Del­la stessa opinione il pre­sidente dell’Associazio­ne dei medici cattolici (Amci), Vincenzo Sara­ceni: «È il nostro codice deontologico a stabilire il principio assoluto della difesa della vi­ta. Qualora si trovi innanzi alla richiesta di applicare simile sentenza, ogni medi­co ha il diritto e il dovere di mettere in pratica l’obiezione di coscienza. Anche se non è cattolico».
«Eluana non va guardata come un caso clinico su cui discutere, né tantomeno va strumentalizzata per finalità del tutto estranee alla sua vicenda umana», ha precisato in serata una nota della Curia di Milano, che ha commentato in ma­niera critica la sentenza. «Non entriamo nel merito dei sentimenti altrui, né e­sprimiamo giudizi sulle persone, che spettano ultimamente a Dio – continua il documento –. Eluana è una persona vi­va, non dipende da nessuna macchina, né riceve cure straordinarie. Ha soltanto necessità di alcuni aiuti per alimentarsi ed essere accudita. Ne danno testimo­nianza silenziosa e amorevole, da ormai quattordici anni, le Suore Misericordine e il personale sanitario della clinica di Lecco».
Perplessità sui criteri seguiti dal tribu­nale di Milano nello stabilire la veridicità delle dichiarazioni di Eluana riportate dal padre sono arrivate anche dal mon­do laico e in particolare dal vicepresi­dente del Comitato nazionale di Bioeti­ca Lorenzo D’Avack: «L’irreversibilità di uno stato vegetativo è scientificamente inaccertabile ed è altrettanto difficile ri­costruire la volontà di Eluana in assenza di dichiarazioni scritte di suo pugno. I giudici di Milano si sono mossi seguen­do criteri deduttivi».

© Copyright Avvenire, 10 luglio 2008

Un po' striminzita la reazione della curia di Milano nella cui giurisdizione ricade Lecco.
Fra l'altro la nota non e' nemmeno firmata. Confidiamo in una maggiore incisivita' nelle prossime ore
.
R.

«I pazienti in stato vegetativo? Sono vivi. E vanno curati»

Parla il geriatra Giovanni Guizzetti: «I giudici hanno trasformato Eluana in una malata terminale»

Enrico Negrotti

DA MILANO

«Provo un senti­mento di angoscia e, come me­dico, credo che questa sentenza svaluti com­pletamente il senso della attività mia e della mia équipe». Giovanni Battista Guizzetti, geriatra, da 12 anni è respon­sabile del reparto Stati vegetativi al Centro Don Orione di Bergamo: «Credo che sia difficile im­maginare un atto più crudele nei confronti di un essere umano innocente». La sentenza della Corte d’Appello di Milano au­torizza a sospendere alimentazione e idrata­zione a Eluana Englaro. Evidentemente ritiene, come voleva la Cassazione, che lo stato di in­coscienza sia irreversibile. È possibile stabilire questo parametro?
Lo stato vegetativo è una condizione difficile da definire e diagnosticare. Uno studio britannico (pubblicato sul British Medical Journal) indica­va nel 43% la quota di diagnosi errate, perché la condizione di stato vegetativo può essere stabi­lita solo con osservazioni ripetute, non attra­verso esami strumentali. E la task force di esperti che nel 1994 ha definito (sul New England Jour­nal of Medicine) gli aspetti medici dello stato ve­getativo ha puntualizzato che la diagnosi di per­manenza non ha valore di certezza, ma è solo di tipo probabilistico. In altri termini, nessun medico potrebbe dire una parola definitiva sul­la prognosi di un paziente in stato vegetativo, an­che se è vero che dopo un anno dall’evento ini­ziale le probabilità di una ripresa si riducono progressivamente. Esistono però casi riportati di tanto in tanto di persone che si sono riprese dopo decenni.

Si fa spesso riferimento allo stato di coscienza. Come si può determinare se e cosa sentono le persone in stato vegetativo?

È praticamente impossibile saperlo. Lo scorso anno lo psichiatra Owen, di Cambridge, ha pub­blicato su Nature i risultati di uno studio con la risonanza magnetica funzionale, che indicava come una donna in stato vegetativo, cui veniva chiesto di muoversi per casa sua, pur senza da­re segni esteriori di capire, in realtà aveva in al­cune aree corticali le stesse reazioni di un sog­getto sano. Del resto anch’io ho assistito a casi di ripresa della coscienza anche a distanza di anni.

Che assistenza date ai vostri pazienti?

Non hanno bisogno di alte tecnologie, ma ven­gono seguiti con amore da tutta l’équipe, in par­ticolare dagli infermieri, che li lavano, li muo­vono, li nutrono, li profumano, li accudiscono: portano anche le mollette per fare la perma­nente. Anche i parenti, che sono sottoposti a stress fortissimi, si accorgono che negli anni il nostro impegno di cura verso i loro cari non vie­ne mai meno. Credo che tra gli scopi di un in­tervento medico non ci sia solo la guarigione, ma anche il mantenere in vita ed evitare peggiora­menti. Comunque esploriamo la possibilità di togliere la cannula tracheale, curiamo i decubi­ti, studiamo terapie innovative. La nostra è una riabilitazione estensiva: si punta a migliorare il confort di una persona indipendentemente dal suo deficit e mantenerlo nel tempo.

Fondamento della sentenza c’è il ritenere l’ali­mentazione artificiale un atto medico che si può rifiutare. Cosa ne pensa?

Che si tratta di un artificio, non è un trattamen­to che possa essere sospeso per nessun pazien­te. Anzi, è evidente che proprio la migliore assi­stenza possibile (che comprende l’alimenta­zione) è condizione necessaria, anche se non sufficiente, per lavorare a un recupero della co­scienza.

I giudici forniscono anche indicazioni prati­che: togliere il sondino nasogastrico in un ho­spice, somministrare sedativi, idratare le mu­cose e prevenire «l’eventuale disagio da caren­za di liquidi», curare l’igiene e l’abbigliamento. Che cosa vogliono dire?

La morte per disidratazione è dolorosa. Quindi si pensa di dare morfina. E il riferimento all’ho­spice è indicativo: non è una paziente termina­le, viene obbligata a diventarlo. Ma se lavorassi in un hospice, mi ribellerei dicendo: qui non ammazziamo la gente. Non si può chiedere que­sto a un medico, e poi dire che la paziente può avere il rossetto. Quanto al sondino nasogastri­co, mi meraviglio che dopo tanti anni non le sia stata praticata la Peg, intervento minimamen­te invasivo ma che evita inutili sofferenze.

I medici quindi potrebbero ricorrere all’obie­zione di coscienza?

Direi di sì perché si tratta di un’azione malvagia: non riesco a definire diversamente l’uccisione di un essere umano innocente.

© Copyright Avvenire, 10 luglio 2008

Chiaramente sussiste il diritto di obiezione di coscienza.
R.

Politici divisi tra sconcerto e voglia di «testamento»

Viviana Daloiso

Una decisione «abnorme» e «un pericolosissimo precedente». È unanime il giudizio della maggioranza sulla decisione della Corte d’Appello di Milano in merito alla vicenda di Eluana. A partire dall’azzurro Murizio Lupi, vicepresidente della Camera: «Non esiste la possibilità che uno Stato democratico sancisca con la legge il diritto alla morte – ha dichiarato – Questa decisione non deve diventare il grimaldello per riaprire dibattiti che hanno a cuore più le battaglie ideologiche che l’inviolabilità e l’unicità della vita di ogni uomo».
Grande preoccupazione esprime il sottosegretario al Welfare con delega alla Salute, Eugenia Roccella, secondo cui la sentenza milanese sarebbe l’esito dei criteri «inquietanti» stabiliti dalla Cassazione: «Si può decidere – ha spiegato – di interrompere una vita umana sulla base della ricostruzione di una volontà presunta, desunta da dichiarazioni generiche, legate a carattere e stile di vita». Dello stesso parere Domenico Di Virgilio (Pdl) secondo cui la decisione dei giudici sulla base di testimonianze «che possono essere ricostruite sulla base delle nostre conoscenze dei desideri e delle aspettative che il paziente avrebbe potuto avere può coinvolgere anche i dementi in fase avanzata, ben più numerosi dei pazienti in stato vegetativo». «Siamo davanti a una lesione inaccettabile dei principi posti a tutela della vita umana», ha poi dichiarato Alfredo Mantovano, sottosegretario del ministero dell’Interno. «Nella vicenda Eluana Englaro – ha continuato – sono stati scavalcati i limiti che in passato gli stessi sostenitori dell’eutanasia avevano indicato». Incisivo Luca Volonté (Udc): «Quella del Tribunale civile di Milano è un omicidio autorizzato che pone fine alla vita di una persona».
Sull’altro fronte, quello del Pd e dei radicali, si registra invece il plauso a una sentenza «rigorosissima», che segnerebbe «la fine di un calvario». È il parere, per esempio, di Anna Finocchiaro, capogruppo del Pd al Senato, secondo cui «questa sentenza è assolutamente rigorosa e rispettosa del diritto del paziente all’autodeterminazione» e «serve al più presto una legge sul testamento biologico». Sulle stesse posizioni Ignazio Marino, capogruppo Pd in commissione sanità al Senato: «La decisione del Tribunale Civile di Milano è rilevante e giusta. La sospensione della nutrizione implica inevitabilmente la fine della vita, ma si tratta di una fine naturale. Si tratta di non accanirsi più». Unica outsider, la senatrice del Pd Emanuela Baio, che ha definito «sconfortante» la sentenza milanese: «Seppure in una situazione di difficoltà reale e prolungata, quella di Eluana Englaro è comunque una vita».

© Copyright Avvenire, 10 luglio 2008

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