8 settembre 2008
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A Cagliari, da piazza Yenne a largo Carlo Felice
Il volto giovane di una comunità che non si arrende
dal nostro inviato Mario Ponzi
Difficile dire quanti fossero i giovani schierati domenica pomeriggio lungo il vialone che congiunge piazza Yenne con largo Carlo Felice, a Cagliari. Certo hanno offerto al Papa la sintesi di tutto il bene e di tutta la sofferenza dell'isola.
Lo hanno accolto cantando "Tu sei l'Emmanuel".
Appena si è seduto, gli hanno raccontato tutte le loro angosce. Lo hanno fatto per loro Andreina Pintor e Antonio Cao alternandosi al microfono.
Gli hanno parlato delle trasformazioni della loro isola, trasfigurata in questi ultimi anni da un notevole quanto disordinato inurbamento che ha fatto sorgere frange di disadattamento, desuete forme di teppismo urbano, recrudescenza di fenomeni legati alla prostituzione e alla tossicodipendenza. Hanno denunciato soprattutto la mancanza di lavoro - le statistiche rilevano tra i più alti indici delle regioni Italiane - e di case. È per questo che non riescono a progettare il futuro.
Le scuole sovraffollate e sofferenti per annose questioni irrisolte sono il sintomo reale di quella "emergenza educativa" - il Papa ne avrebbe riparlato con loro poco dopo - di fronte al pericolo di veder scendere sotto il livello di guardia il loro potenziale formativo. Cadute le speranze di massiccia industrializzazione, saturato persino il settore del terziario, l'unica prospettiva che è rimasta sembra essere quella dell'emigrazione. Ma è una prospettiva che loro, i giovani, rifiutano. Vogliono crescere e far crescere la loro Isola.
Il Papa ha ben presenti questi aspetti della crisi di Cagliari e dell'intera Sardegna. Ma conosce bene anche le virtù di questo popolo e in particolare la sua capacità di esprimere una civiltà alimentata, oltreché da fattori giuridici, economici e culturali, da profonde motivazioni etiche e da altrettanto profonde convinzioni religiose.
Così le sue parole, ma soprattutto la sua presenza, per i giovani sardi hanno assunto realmente il senso di una spinta a proseguire, senza scoraggiarsi, su un cammino già identificato e con un bagaglio ben conosciuto.
Il Papa ha sintetizzato il concetto in un incoraggiamento che sulle sue labbra è risuonato come un'invocazione mariana, al termine di una visita che proprio in Maria ha avuto la sua fonte ispiratrice. E ai giovani ha consegnato, o meglio, ha rinnovato la consegna che, come ha ricordato egli stesso, oltre vent'anni fa lasciò per loro Giovanni Paolo II, come rotta da seguire: le tre "f", come ricordano da queste parti, cioè la famiglia, la formazione, la fede.
È tutto qui il significato di un incontro gioioso, pur se segnato dalle ombre di un futuro incerto.
Gli ingredienti della festa, i soliti di questi incontri: cori, striscioni, discorsi, confidenze, propositi ed alla fine certezze. Certezze ancorate a una parola, quella del Papa, che i giovani sanno ascoltare perché universalmente riconosciuta al di sopra delle parti. Del resto i giovani che si sono riversati in piazza Yenne, almeno per la stragrande maggioranza, erano giovani che hanno confidenza con la Parola. È una delle ricchezze di questa Chiesa. La pastorale giovanile ha prodotto, e continua a produrre, ottimi frutti. Provenivano da tutte le diocesi sarde, anche dai paesini più sperduti della Barbagia. E questo è un altro segno del lavoro che la Chiesa che è in Sardegna svolge in maniera capillare, su tutto il territorio. Sulle strade cagliaritane senza soluzione di continuità striscioni innalzati sulla folla indicavano la presenza di movimenti e associazioni giovanili di ogni natura. Ma accanto a loro c'erano anche tanti altri giovani che, pur senza appartenere ad aggregazioni particolari, si radunano nelle parrocchie e svolgono il loro apostolato al fianco dei loro parroci. E poi ancora tanti ragazzi, forse soltanto curiosi o forse alla ricerca di un ideale da seguire senza temere tradimenti. Erano tutti lì a far festa, tutti insieme attorno al Papa. Hanno raggiunto Cagliari con ogni mezzo disponibile. Le ferrovie hanno organizzato convogli speciali. In tanti sono arrivati sulle loro motorette. Hanno trascorso la notte vegliando e pregando dinanzi alla cattedrale.
"La sua scelta di venire tra noi - aveva detto Antonio concludendo il suo saluto al Pontefice - ci incoraggia e misteriosamente aumenta nel cuore la speranza in quel mondo migliore che vogliamo costruire. Grazie". Una speranza che il Papa ha messo con generosità nelle loro mani.
Toccante l'esecuzione dell'Ave Maria sarda offerta a Benedetto XVI da Maria Giovanna Cherchi, una tra le più note giovani cantanti folk dell'isola, a conclusione della festa.
Prima di presentarsi all'incontro con i giovani, Benedetto XVI si era incontrato con i sacerdoti nella cattedrale di Cagliari.
Si è trattato di un incontro per certi versi molto significativo. Davanti al Papa si è infatti presentata l'immagine di un clero estremamente composito, nel senso che è formato da sacerdoti di vecchio stampo, molto legati alla tradizione, e da sacerdoti giovani con uno stile pastorale decisamente improntato al Concilio. Il Papa ha unito le due componenti ricordando che l'unica cosa che conta realmente è "essere chicchi di buon grano" che caduti in terra portino comunque buon frutto. "Senza il seme del cristianesimo - ha aggiunto - la Sardegna sarebbe semplicemente più fragile e più povera". Dunque bisogna continuare a seminare. E bisogna farlo gettando il seme nel solco aperto dai tanti sacerdoti, noti e meno noti, che hanno arato questa terra evangelica nel tempo. L'esempio proposto è quello di don Graziano Muntoni, il vice parroco di Orgosolo freddato con un colpo di fucile la vigilia di Natale del 1998. Il Papa ne ha accostato il ricordo a un altro martire della Sardegna, padre Battore Carzedda, missionario del Pime ucciso dai fondamentalisti islamici a Mindanao, Filippine, nel 1992.
Durante il percorso dalla cattedrale al luogo dell'incontro con i giovani, il corteo papale è passato dinanzi al carcere circondariale del Buoncammino. Il Papa ha ricordato le lettere indirizzategli dai detenuti. Ha chiesto che il corteo rallentasse per consentirgli di benedirli, seppure da lontano.
Tre rappresentanti dei detenuti avevano ottenuto il permesso di uscire dal carcere al momento del passaggio del Pontefice per poterlo vedere almeno per un attimo e poi riportare all'interno, tra i loro compagni, l'esperienza di un incontro con l'uomo nelle mani del quale anch'essi rimettono le loro speranze di riscatto. Hanno assunto in quel momento un valore particolare le parole di una giovane, colta mentre rilasciava una dichiarazione ad una tv locale subito dopo aver sfiorato la mano del Papa, passato tra i malati che avevano assistito alla messa. "Per dirti quello che provo in questo momento - ha risposto all'intervistatore Federica Cocco che indossava il fratino giallo con la scritta indicativa "i volontari del Papa" - mi rifaccio ad un mito di tanti giovani in cerca di rivalsa, Martin Luther King. Più o meno dice così: "Non siamo ancora quello che vogliamo essere, ma non siamo più quello che eravamo e possiamo essere quello che vogliamo"".
(©L'Osservatore Romano - 8-9 settembre 2008)
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