2 settembre 2008

In Cappadocia sulle orme di san Paolo: "In pellegrinaggio nella natura di pietra" (Osservatore Romano)


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In Cappadocia sulle orme di san Paolo

In pellegrinaggio nella natura di pietra

di Mario Spinelli

Se il programma di un pellegrinaggio ai luoghi paolini della Turchia non include la Cappadocia, vi sconsigliamo caldamente di iscrivervi. È una terra troppo bella, troppo interessante e unica per rinunciare all'occasione di visitarla. E poi, anche se di memorie legate propriamente a san Paolo non vi è traccia sul posto, nel senso storico-archeologico del termine, è un fatto che quella regione centrale dell'altopiano anatolico fu evangelizzata in età apostolica ed era conosciuta dalle primissime generazioni cristiane, tanto è vero che il paese e il suo popolo vengono ricordati più di una volta nel Nuovo Testamento.
Esistono tradizioni antiche e orali sulla presenza di Saulo in Cappadocia, e le guide non mancano di indicare a turisti e pellegrini questo o quel luogo dove l'Apostolo dei Gentili avrebbe sostato e predicato. Per esempio la chiesa rupestre dei Quaranta Martiri, nei dintorni di Urgrup, scavata in cima a una scala di pietra, dentro uno di quegli stranissimi coni rocciosi che sono fra le componenti fondamentali del fascino e dell'originalità di questa terra straordinaria.
Arrivando al mattino presto in Cappadocia la prima cosa che colpisce sono le tante mongolfiere colorate che vedi fluttuare dolcemente nell'aria in lontananza, sospese sui monti e le vallate che per chi le ammira da quell'altezza si estendono a perdita d'occhio. Un modo originale e quasi poetico di fare turismo che è subito una promessa di novità, di bellezze e di insolite emozioni per il visitatore appena entrato nel paese. Promessa puntualmente mantenuta, per cominciare, dalla vista mozzafiato della valle di Göreme (sito Unesco dal 1985) che si gode dal picco di Uchisar. Sembra di affacciarsi sulla luna, con le sue algide estensioni e i suoi paesaggi scabri e silenziosi. Montagne, rocce, valloni ripidi e profondi, coni capovolti e ardite guglie di pietra che si inseguono per chilometri, torri, cime, gole, burroni e rocche imponenti che ricordano pure il mitico far west con le sue montagne rocciose, i canyons e la monument valley. E lontano lontano a nord-est, a dominare su tutto dai suoi quasi quattromila metri, la vetta sempre innevata del monte Argeo (oggi Erciyes Dagi), l'antico vulcano che assieme all'Hasan Dagi (a sud-ovest) con le sue eruzioni all'alba del mondo ha offerto la materia prima al paesaggio cappadoce. Al resto hanno pensato le piogge, le nevi, i venti, il gelo, i terremoti, i bradisismi e tutti gli altri agenti naturali e atmosferici, che hanno lavorato, eroso, modellato, ricamato e giocato per millenni con la lava leggera e il tufo vulcanico, realizzando alla fine l'incredibile scenografia che abbiamo davanti agli occhi.
Stesso spettacolo, stessa esperienza affascinante nella valle di Peristrema, a sud, attraversata dal fiume Melendiz, che la fa sembrare un po' il Grand canyon, con le tinte delle rocce - dalle forme più bizzarre - che trascolorano dal bianco al grigio, dal rosa al giallo, dall'ocra al malva, non solo per la diversità della pietra ma anche a seconda delle ore del giorno e di come vi batta la luce del sole. Il pellegrinaggio cristiano, paolino si fonde in Cappadocia con un pellegrinaggio nella natura, nella sua grandiosità, nelle sue infinite possibilità espressive e costruttive, nel suo estro e nei suoi capricci, nella sua inesauribile capacità di sbalordire e di conquistare. E questa scoperta, questa full immersion nella creatività della natura è la prima ragione per cui la Cappadocia, come scrivono i curatori delle guide, pure da sola "vale il viaggio".
Poi c'è la storia, la presenza dell'uomo nei secoli. A cominciare dalla Turchia di oggi, con i villaggi che oscillano fra tradizione e modernità, investiti dal turismo - mercatini, pullman, oggetti d'artigianato in onice, tappeti, quello che sopravvive di una rinomata ceramica - ma ancora legati al passato e alla loro origine nei ritmi di vita, nell'abbigliamento, nei dialetti, nella cultura montanara. Le città grandi sono più decisamente moderne, con traffico di auto, alberghi, servizi, infrastrutture. Cesarea è ancora il centro principale, come ai tempi di san Basilio. Quanto a Nissa, la città dove fu vescovo il fratello Gregorio, ora è Nevsehir, la seconda città del Paese, al confine ovest, sul pendio del monte Kahveci, con vestigia romane, un museo archeologico e la splendida moschea di Kursunlu.
Ma la vicenda storica dell'uomo in Cappadocia ha la sua traccia più importante, vistosa e originale - tutto, qui, è all'insegna dell'originalità - negli infiniti fori e pertugi che punteggiano le rocce. Sono gli accessi in stanze, in ambienti articolati o in vere e proprie città sotterranee scavate nella pietra come rifugio dalle genti locali in età precristiana, e utilizzate anche dai cristiani fra vii e x secolo per scampare alle incursioni arabe. Uno scenario che fa pensare ai Sassi di Matera, solo che qui le pareti rocciose traforate come alveari o termitai - dai piedi delle alture fino ai picchi più arditi - coprono l'intero Paese. Impressionanti specialmente Derinkuyu, Kaymakli, Mazi Köyü e Özkonak, città sotterranee dove nel buio totale rischiarato da poche lampade elettriche percorri gallerie interminabili, si passa da un vano all'altro, ci si piega sotto gli archetti che separano i locali, scendendo e risalendo di sei o sette livelli, fino a ottanta metri sottoterra. A Derinkuyu le gallerie scendono al ventesimo piano, e si calcola che il vastissimo ipogeo si sviluppava per quattro chilometri quadrati e ospitava duemila famiglie.
Poi il cristianesimo. Non solo la memoria di san Paolo, che probabilmente seminò il Verbo anche qui, ma anche la Chiesa patristica, la storia delle persecuzioni (Giuliano l'Apostata passò l'adolescenza a Macellum, in Cappadocia), i padri cappadoci, il monachesimo basiliano, le chiese rupestri, l'arte sacra bizantina pre e posticonoclasta restituiscono questa terra al percorso religioso e al pellegrinaggio anche cristiano. Polmone spirituale e culturale della Chiesa antica e della cristianità di Bisanzio, la Cappadocia è musulmana dall'inizio del ii millennio. L'ultima consistente presenza cristiana sparì nei primi anni Venti del Novecento con le riforme di Atatürk, la laicizzazione dello stato e della società turca e lo scambio di minoranze fra greci e turchi. Ma rimangono le radici, rimane la memoria storica, che vive appunto nei monasteri e nelle chiese scavate nella roccia, e vive nell'iconografia sacra. La valle di Göreme è pure da questo lato una miniera di tesori. C'è la Chiesa Oscura, una delle più belle costruite nel xii secolo, con la sua cupola su quattro colonne e le tre absidi. I vivaci affreschi dell'interno non sono sbiaditi grazie alla mancanza di luce solare (da qui il nome della chiesa). Dentro la cupola è rappresentato il Cristo Pantocrator, alle pareti l'ultima cena, la crocifissione, il battesimo nel Giordano, il tradimento di Giuda e gli evangelisti Marco e Giovanni.
Ci si avvicina a una chiesa rupestre come a una delle tante ruvide rocce scavate, quasi senza accorgersi di essere davanti a un edificio sacro, dove monaci e popolo hanno pregato per secoli. Ma una volta dentro si apre un mondo esuberante di immagini e di colori, con le scene più importanti della vita di Cristo e dei santi. Come nella chiesa dello Sguardo, o in quella della Vergine Maria, o in quella della Fibbia, con dipinti che esprimono la pietà mariana dei cappadoci (Annunciazione, Visita a Elisabetta, Verginità di Maria, viaggio a Betlemme, ossequio dei Magi e così via). Sono opere che datano per lo più dal ix secolo, e testimoniano il fervore e l'entusiasmo che hanno accompagnato la riscoperta dell'immagine sacra, dopo la crisi iconoclasta dei secoli precedenti. Natura e storia, arte, cultura e fede, e mille anni e più di cristianesimo, inaugurati da Paolo e dalla Chiesa apostolica. È questo il tesoro racchiuso fra i monti e le valli della Cappadocia.

(©L'Osservatore Romano - 1-2 settembre 2008)

FOTO: Veduta di Göreme

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