4 settembre 2008

Preghiera vera corrente ad alta tensione nello stile di San Paolo (Sequeri)


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NELLO STILE DELL’APOSTOLO PAOLO

PREGHIERA VERA CORRENTE AD ALTA TENSIONE

PIERANGELO SEQUERI

Non mi piacciono le preghie­re ' dei fedeli' che somiglia­no a monizioni ' stile Onu' (con tutto il rispetto, naturalmente). La preghiera deve essere semplice, diretta e venire da una stretta al­lo stomaco, da un brivido alla nu­ca, da una trafittura del cuore. « Ti preghiamo di tenere una mano forte sulla testa dei nostri figli. Ti supplichiamo, fallo, senza riguar­di per noi, o sono perduti » .
«Fai arrivare ai nostri fratelli e sorelle dell’India la voce del nostro can­to di supplica – sì, del nostro can­to! – che sentano distintamente la nostra gratitudine per quello che essi rappresentano per noi, e per la nostra fede agiata e debole » . Punto e « Amen » .
Il resto – doma­ni – sia digiuno e silenzio: un po’ imbarazzato per la nostra mag­giore protezione, e molto com­mosso per la testimonianza altrui che ci ammaestra.
La passione per l’umano avvili­mento – indiscutibile – di uomini e donne e bambini che portano il segno del cristianesimo, non è al­la moda per il mainstream del po­liticamente e culturalmente cor­retto. L’avvilimento che porta il segno cristiano, invita i registi del­le emozioni collettive a una sin­golare cautela. Per evitare danni maggiori? Può darsi. Ma a chi? La tentazione di approfondire è for­te, lo confesso. In ogni caso, anche la testimonianza più tenace, nel­l’autentico stile cristiano, vuole stare alla larga dalla equivoca as­similazione con le facili auto- esi­bizioni vittimarie, troppo abil­mente orchestrate, che tolgono la scena alla dignità di prevaricazio­ni ben più profonde e sostanzia­li. La preghiera ci deve tenere al riparo anche da questo genere di ambigua competizione, certa­mente. La sua intenzione deve es­sere onorata, anzi, dallo sviluppo di una migliore coscienza degli autentici legami- di- chiesa, che farà bene anche a noi.
Rileggiamo, con questo sguardo, le lettere di Paolo. La vedete la fit­ta trama di affezioni e di passio­ni, di attenzioni e di preghiere, nelle quali Paolo incalza i suoi fi­no alle lacrime, perché portino gli uni i pesi degli altri? Questa trama collega punti minuscoli: irretisce di amori, che riscattano i dimen­ticati della terra, una enorme por­zione dell’Impero ostile. Ed è so­lo l’inizio. La preghiera umile e in­fuocata di Paolo immette in que­sta nervatura corrente ad alta ten­sione, che ridicolizza le distanze geografiche, i confini etnici, le geometrie politiche. Brucia di­stanze ed estraneità. Brucia an­che – di vergogna – l’astrusità di futili contese di legittimazione e le chiusure di autoreferenzialità cor­porativa, che perdono di vista l’or­todossia della comunione e della missione: la dilatazione della fra­ternità a tutti coloro per il quali 'il Cristo è morto'. Riempirei con le loro foto la chiesa dove preghia­mo, fosse per me. E poi incomin­cerei a fare un sacco di telefona­te, e inviti, lettere e scambi di do­ni. E vorrei che i miei rimanesse­ro abbracciati ai loro racconti di vita e di morte. E che nessuno di ' loro' si sentisse solo ' di noi'.
Le farei vivere di questo, oggi, le nostre vecchie parrocchie d’Eu­ropa, che si sentono così spesso povere di tutto. La notte ci si il­luminerebbe, con questi capilla­ri della fraternità in tensione. E crepe nel cemento post-cristiano della nostra indifferenza ingor­da e risentita, si aprirebbero. Tut­to questo vorrei che chiedesse – e promettesse – la nostra pre­ghiera.

© Copyright Avvenire, 4 settembre 2008

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