12 ottobre 2008

Nella basilica di San Paolo fuori le Mura per il vii Festival internazionale di musica e arte sacra (Osservatore Romano)


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Nella basilica di San Paolo fuori le Mura per il vii Festival internazionale di musica e arte sacra

di Marcello Filotei

La Nona Sinfonia l'ha chiamata Decima, ma è morto lo stesso. La versione ufficiale è che il titolo Nona, dopo Beethoven non si poteva più usare per deferenza. Sta di fatto che anche per Anton Bruckner è valsa la "regola" romantica secondo la quale più di nove sinfonie non si riescono a portare a termine. Nel caso specifico è rimasta incompleta anche la Nona, punto d'arrivo di un linguaggio armonico e melodico che rompe con la tradizionale concezione tonale e, prendendo atto della lezione wagneriana, prosegue per successivi e continui ampliamenti verso la conquista di un più vasto spazio sonoro.
Certo nel sinfonismo bruckneriano siamo ancora molto lontani dalle conquiste atonali prima e dodecafoniche poi di Schönberg, ma la tonalità è messa in seria crisi dal continuo susseguirsi di modulazioni, quei passaggi da un ambito di appartenenza all'altro per cui il riferimento sicuro a un punto d'ancoraggio tonale diventa problematico e resta più teorico che reale. La necessità di abbracciare uno spazio sonoro sempre più ampio richiede inoltre un allargamento dell'orchestra. Ecco perché le sinfonie del compositore austriaco assumono necessariamente una dimensione monumentale, che alcuni hanno ritenuto abnorme.
Senza pretese intellettualistiche, Bruckner si riallaccia alla tradizione austriaca. Arrecando più danni che vantaggi al pacifico organista di Sankt Florian, i suoi ammiratori, guidati dal critico Theodor Helm, lo contrapposero a Brahms, la cui schiera era capeggiata dall'autorevole critico antiwagneriano Hanslich. Il risultato fu un affossamento della carriera del compositore e un apprezzamento soprattutto postumo. In vita fu sostenuto da una cerchia di musicisti e direttori d'orchestra di altissimo prestigio, come Mahler - che diresse la prima esecuzione integrale della Sesta a Vienna il 26 febbraio 1899 - Levi, Nikisch, Mottl e Loewe, ma non bastò perché né i potenti Liszt e Hans von Bülow, né lo stesso Brahms mostrarono disponibilità nei suoi confronti.
Questo ostracismo relegò Bruckner in una posizione defilata, e alcune sue opere circolarono molto poco. Tra queste la Sesta sinfonia, che i Wiener Philharmoniker, diretti da Christoph Eschenbach, eseguiranno lunedì 13 ottobre presso la basilica di San Paolo fuori le Mura alla presenza di Benedetto XVI. Il concerto - inserito nell'ambito del vii Festival internazionale di musica e arte sacra e trasmesso in diretta dalla Radio Vaticana - è dedicato al Papa e all'Assemblea generale ordinaria del Sinodo dei vescovi, in corso in Vaticano.
Scritta tra il settembre del 1879 e lo stesso mese del 1881 la Sesta, mai ascoltata per intero dall'autore, secondo Machabey appare come "una continuazione di Beethoven, poeticizzato da Schubert, drammatizzato da Schumann e trasportato da Bruckner nel mondo agitantesi intorno e dentro di lui". Il riferimento a Beethoven è suggerito principalmente "dalla tendenza (insolita in Bruckner) a elaborare dei brevi frammenti, piuttosto che utilizzare delle frasi intere per gli sviluppi", spiega ancora il critico.
Il procedimento di derivazione beethoveniana, però, viene fuso a uno spiccato atteggiamento contrappuntistico, specialmente nello Scherzo, una delle pagine più originali mai uscite dalla penna del compositore, che evoca nel suo incantato fantasticare immagini derivanti dalla mitologia nordica. Nel finale, vivo e tempestoso, ritorna il tema principale esposto nel primo tempo e vengono ricapitolate le situazioni espressive precedenti: un tratto proprio del sinfonismo bruckneriano che mostra come il musicista concepisca la sinfonia come un'entità indivisibile, la cui unità si realizza mediante il predominio del motivo iniziale richiamato a suggello finale.
La Sesta sinfonia mantiene però un ruolo defilato rispetto alla produzione dell'autore e non sembra corrispondere a pieno all'idea di grandiosità e di potenza strumentale cui è affidata l'immagine di Bruckner. Non mancano certo momenti di densa polifonia o di solida disposizione contrappuntistica, ma il carattere generale è più dimesso che in altri casi, soprattutto a motivo di una intelaiatura strutturale frastagliata e di ripiegamenti intimistici più frequenti che in altri casi. Forse anche per questo capita raramente di ascoltarla.

(©L'Osservatore Romano - 12 ottobre 2008)

Un organista timido

Di origine contadina, Anton Bruckner - nato a Ansfelden nel 1824 e morto a Vienna nel 1896 - fu avviato agli studi musicali dal padre, che gli impartì le prime lezioni. Dopo avere completato gli studi nell'abbazia collegiale di Sankt Florian, approfondì in solitudine le sue conoscenze.
Fino all'età di circa sessant'anni rimase totalmente nell'ombra e solo dopo la composizione della Settima sinfonia, nel 1883, conobbe improvvisamente la celebrità. Fu considerato il continuatore di Wagner in campo sinfonico, in opposizione a Brahms che invece veniva ritenuto più ripiegato sul passato. La polemica, al quale il timido compositore restò personalmente estraneo, si trascinò per qualche decennio.
La sua formazione culturale attinge da un lato al barocco musicale austriaco e alla tradizione schubertiana, dall'altro al canto popolare. L'interiorizzazione romantica viene portata alle estreme conseguenze, sia da un punto di vista poetico, sia da quello strutturale e strumentale. L'orchestra subisce una dilatazione enorme, ripresa da Mahler, il linguaggio si fa estremamente espressivo, con elementi di concentrazione mistica.

(©L'Osservatore Romano - 12 ottobre 2008)

FOTO: Anton Bruckner

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