23 ottobre 2008
Sinodo, Cultura biblica a scuola e la Scrittura in ogni casa (Mazza)
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Cultura biblica a scuola e la Scrittura in ogni casa
Sinodo dei vescovi: Ravasi, presidente del Pontificio Consiglio della cultura, ha illustrato i temi del dibattito e delle 53 «proposizioni» che verranno consegnate al Papa
DA ROMA SALVATORE MAZZA
Trenta pagine per le 53 Proposizioni elaborate dai Padri sinodali, e che saranno consegnate al Papa.
In esse «c’è una grande ricchezza di temi», tra i quali «l’interpretazione biblica, cioé l’esegesi, rappresenta un elemento centrale in quanto gli esegeti sono invitati a tenere conto della conoscenza scientifica, ma senza prescindere da quella dimensione ulteriore della lettura biblica, che è la dimensione spirituale » . È in questo termini che, ieri mattina, il presidente del Pontificio Consiglio della cultura, l’arcivescovo Gianfranco Ravasi, ha presentato ai giornalisti il lavoro che sta occupando le ultime giornate della XII Assemblea del Sinodo, dedicato alla Parola di Dio.
Le proposizioni sono raccolte al momento in un Elenco unico che, da oggi, inizierà a essere sottoposto a esame nei circoli minori. Questa sera gli «Emendamenti collettivi » saranno affidati alla Commissione incaricata di preparare l’Elenco emendato delle Proposizioni, che verrà votato sabato, prima di essere consegnato al Papa. Anticipando alcune delle 'proposte' che «sicuramente verranno recepite» nell’elenco finale, Ravasi ha sottolineato l’appello che sarà lanciato a proposito delle omelie, che «costituisce un momento prezioso da valorizzare e sulla quale la formazione dei presbiteri potrebbe fare ulteriori passi in avanti, considerato che per molti cristiani la Messa costituisce il momento fondamentale per accostarsi alla Sacra scrittura». Scrittura che, ha ricordato il presule, secondo il Sinodo «dovrebbe essere presente in tutte le case», che in questo senso rivolgerà una delle sue sollecitazioni finali.
Ravasi non ha voluto anticipare più di tanto i contenuti dell’elenco provvisorio, né del Messaggio finale la cui bozza, come ha detto il portavoce per la stampa italiana, don Giorgio Costantino, «è stato salutato con lunghissimi applausi dall’Assemblea». Piuttosto, il presidente del Pontificio Consiglio della cultura ha voluto sottolineare come detto all’inizio i 'temi' emersi con più forza dall’assemblea. Primo fra tutti, appunto, quello dell’esegesi, le cui «nuove forme, quali quella semiotica, strutturalistica, psicologica, sociologica, che si sono affiancate alla esegesi storico-critica, vanno ulteriormente affiancate a una rinnovata lettura teologico-spirituale, che in questi ultimi tempi è stata meno oggetto di scavo da parte degli studiosi». Circa il dibattito in aula sulla cultura biblica, Ravasi ha poi sottolineato che «sono emerse esperienze molto belle e valide presenti in numerosi nazioni e contesti continentali, dalle comunità di base alle scuole bibliche.
Per noi cattolici questo è uno stimolo molto forte, perché ad esempio protestanti e ortodossi trovano una unità reale anche se non piena proprio attorno alla Bibbia». Del resto, ha aggiunto, questa fa strettamente parte della nostra esistenza, al punto che «magari tutti i giorni si infrange il decalogo, ma esso rimane una componente essenziale della nostra cultura ed identità». Per questo, ha aggiunto, l’insegnamento della religione cattolica (il riferimento era a una proposta rivolta all’ex ministro dell’Istruzione De Mauro) «sarebbe da allargare a un insegnamento soprattutto biblico per favorire la comprensione degli elementi essenziali della nostra cultura. La Bibbia infatti, con i suoi soggetti, simboli, figure, costituisce un 'grande codice' di cui l’occidente è intriso». Il Sinodo ha parlato anche dei giovani, ha poi proseguito, il rapporto con i quali «è uno dei temi decisivi» anche se pone un non certo trascurabile problema di linguaggio. Quello dei giovani infatti «già ha una grammatica diversa e sta acquistando forme sempre più nuove rispetto al normale linguaggio della nostra comunicazione. Non parlo – ha precisato Ravasi – di forme comunicative come i messaggini, di sms, ma di un linguaggio molto connotato. Se devo dunque pensare ad una pastorale della Bibbia per giovani il primo terreno è il linguaggio ». L’esigenza, infatti, «è quella di custodire il contenuto ed il messaggio. Non basta fare una cosa spumeggiante per attirare l’attenzione dei giovani, devo riuscire ad essenzializzare il contenuto delle Scritture in un linguaggio più ristretto. Se dieci anni fa i giovani avevano un vocabolario di 800 parole ora ne hanno uno di meno di 400, quando l’italiano ha 150 mila parole. La sfida sta qui: come fare per comprimere in questi 400 vocaboli la ricchezza del messaggio biblico. Credo che su questo campo le chiese dovranno impegnarsi molto».
© Copyright Avvenire, 22 ottobre 2008
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