6 luglio 2007

Intervista a Padre Twomey, ex studente del professor Ratzinger


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La coscienza dei nostri tempi

Intervista a padre Vincent Twomey

MAYNOOTH (Irlanda), giovedì, 5 luglio 2007 (ZENIT.org).- La coscienza, nella sua concezione moderna, si riduce a un mero meccanismo giustificatorio, secondo il quale la persona non può mai sbagliare, poiché qualunque cosa essa ritenga giusta viene considerata anche come cosa giusta in sè, ha affermato padre Vincent Twomey.

Padre Twomey, professore a riposo di Teologia Morale dell’Università cattolica “St. Patrick's College” di Maynooth (Irlanda), è autore del libro “Pope Benedict XVI: The Conscience of Our Age”, pubblicato quest’anno da Ignatius Press.

In questa intervista rilasciata a ZENIT, egli spiega come il Santo Padre si adoperi per indicare la strada verso un ritorno ad una concezione più profonda e autentica della coscienza e del suo ruolo.

Lei ha svolto il dottorato come studente di padre Joseph Ratzinger. In che modo questa esperienza l’ha preparata a scrivere questo libro?

Padre Twomey: Ho partecipato al colloquio dottorale con il professor Ratzinger nella primavera del 1971 e ho studiato sotto la sua supervisione per il dottorato che ho ottenuto nel 1979.
Sin dalla sua elezione come Arcivescovo di Monaco nel 1977, ogni anno egli incontra i suoi studenti dottorandi e dottorati per un colloquio nel fine settimana, un’abitudine che ha mantenuto anche dopo la sua elezione al Soglio Pontificio.
Con questa esperienza, credo di poter vantare una conoscenza personale del Papa in qualche modo unica.
Sedere accanto a lui come studente, studiare le sue opere e partecipare a discussioni con lui per oltre 36 anni mi ha dato una certa familiarità con il suo pensiero che ha influenzato profondamente la mia impostazione teologica.

Quali sono, secondo lei, i tratti più caratteristici degli scritti di Joseph Ratzinger, oggi Benedetto XVI?

Padre Twomey: Le principali caratteristiche che emergono dai suoi scritti sono l’originalità, la chiarezza e un eccellente stile letterario che non è facile conservare nelle traduzioni.

Ratzinger è più di uno studioso e un accademico: è un pensatore geniale.

Egli possiede il tocco di Mida, nel senso positivo di chi sa trasformare in oro qualunque cosa tocchi; su qualunque argomento esamini, ha sempre qualcosa di nuovo e di entusiasmante da dire, sia che si tratti di dogmi della Chiesa, di un mosaico in un’antica chiesa romana, o di bioetica. E sa scrivere con incredibile chiarezza.

Riferendosi al suo stile, il Cardinale di Colonia Joachim Meisner ha definito Ratzinger come il Mozart della teologia: riesce a scrivere dei capolavori senza eccessivo sforzo.
Riguardo al contenuto, come lo stesso Ratzinger ha detto di sé: “Dio è il vero tema centrale dei miei lavori”.
Non esiste praticamente tema teologico – dogma, morale, politica, bioetica, liturgia, esegesi, musica, arte – che egli non abbia esaminato in modo approfondito. E ogni cosa che esamina, lo fa dal punto di vista di Dio, come se si trattasse proprio di scoprire la luce che la rivelazione – Scritture e Tradizione – può dare ad ogni questione particolare.
D’altra parte, la sua riflessione teologica è fermamente radicata sull’esperienza contemporanea: le questioni esistenziali poste dalla modernità e dalla postmodernità dei pensatori contemporanei e dagli eventi epocali dei nostri tempi.
Tuttavia i suoi doveri pastorali e amministrativi come Arcivescovo e Prefetto della Congregazione della Dottrina della Fede sono stati tali da impedirgli di dedicare molto tempo a scrivere monografie più approfondite, tanto che gran parte dei suoi scritti sono di natura frammentaria. Ma che frammenti!
Ognuno di questi ha la capacità di convogliare quella profondità di verità che tocca la mente e il cuore del lettore, e che può provocare un mutamento nel cuore.

Lei descrive Benedetto XVI come chi non teme di sbagliare e che “ha il coraggio di sapersi imperfetto”. Ci può spiegare meglio cosa vuole dire?

Padre Twomey: Avere il coraggio di sapersi imperfetto va oltre il non avere paura di sbagliare. Alla base di questo approccio alla vita e alla teologia vi è l’assunto che solo Dio è perfetto e che l’opera umana è sempre imperfetta.
Il perfezionismo di qualsiasi sorta è nemico dell’uomo, ma lo è soprattutto nell’ambito della politica. La maggior parte delle ideologie politiche mirano a creare un mondo perfetto, una società perfetta e solitamente finiscono per portare l’inferno sulla terra.
Questo è un tema ricorrente nei suoi scritti sulla politica. Ma anche con riferimento allo sforzo umano nella teologia. Anche questo sarà sempre un’opera incompiuta, sempre soggetta a miglioramenti, correzioni e approfondimenti.
Noi non possiamo sapere tutto, meno che mai tutto di Dio e del suo disegno sull’uomo. Ho parlato della “frammentarietà” dei suoi scritti. La maggior parte di essi non sono finiti, come il suo classico “Introduzione al Cristianesimo” e più di recente il suo “Gesù di Nazaret”. Eppure egli ha il coraggio di pubblicarli anche nella loro forma incompiuta.

Questo atteggiamento conferisce a Joseph Ratzinger quella calma interiore e quel distacco che il mondo oggi riconosce in Benedetto XVI. Ma esso, probabilmente, è anche il segreto del suo atteggiamento gentile e brillante.

Lei ritiene che vi sia stata una distorsione nella coscienza del mondo. In cosa consiste tale distorsione e in che modo ha avuto un impatto anche sulla Chiesa?

Padre Twomey: Il punto di partenza è la nozione tradizionale di cosa sia una coscienza erronea, che in seguito alle polemiche suscitate dalla “Humanae Vitae” è stata erroneamente intesa nel senso che non importa cosa si fa, a condizione di essere sinceramente convinti che sia giusto.
La sincerità diventa quindi il criterio della moralità e, portata alla sua logica conclusione, sarebbe impossibile condannare Hitler o Stalin poiché si potrebbe affermare che anche essi agivano secondo le proprie “luci”, secondo le loro sincere convinzioni.
L’insistenza sul primato della coscienza, ancorché erronea, ha portato ad una nuova nozione, quella della “coscienza infallibile”, secondo la quale la coscienza non può sbagliare e ciò che tu pensi sia giusto è in effetti giusto.Questo significa ridurre la coscienza ad un meccanismo giustificatorio. Ed è una nozione che trova conferma, se non proprio la sua ispirazione, nel relativismo che domina nella nostra epoca moderna.
Si afferma talvolta oggi che ciascuno ha il diritto di aderire ai principi morali che sceglie di voler adottare. Questi sono quindi il frutto di una scelta consapevole, compiuta dopo aver considerato tutte le possibili alternative.
Si tratta certamente di una teoria molto attraente. Ma in definitiva significa che ognuno può determinare per sé cosa sia giusto e cosa sbagliato: la tentazione di Adamo ed Eva nell’Eden.
Spesso si parla di Cattolicesimo “a la carte”, in cui ciascuno si sceglie cosa gli fa più comodo. La moralità viene quindi ridotta ad una mera preferenza personale.
Questa concezione di coscienza, oggi prevalente, ha avuto un effetto devastante nella Chiesa e nella vita cristiana.

Lei descrive Benedetto XVI come una guida per la coscienza nell’epoca attuale. In che modo ritiene che questo si verifichi?

Padre Twomey: Anzitutto, come teologo e poi come Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, Ratzinger ha rappresentato la voce della coscienza della Chiesa, affermando la verità oggettiva quando questa veniva negata sia nella teoria che nella pratica.
Colpisce vedere che alcuni pensatori laici, che stanno fuori dalla Chiesa, sembrano riconoscere questo fatto più di quelli che stanno dentro. Così, per esempio, l’Accademia francese lo ha insignito come successore di Andrey Sacharov, il fisico nucleare che è stato dissidente durante la tirannia dell’Unione sovietica.
Sacharov è stato riconosciuto come un pensatore coraggioso e come il grande “dissidente” della “dittatura del relativismo” che ha imperversato in Europa e in America nel corso dell’ultimo mezzo secolo.
In secondo luogo, la coscienza non è solo un tema centrale dei suoi scritti: egli ha anche apportato un notevole contributo alla correzione di questa erronea concezione della coscienza sopra descritta, a cui ho dedicato un intero capitolo del mio libro.

In che misura l’esperienza di vita di Joseph Ratzinger nella Germania nazista lo ha preparato al Papato? Quali lezioni particolari ha imparato allora, che a tutt’oggi continua a mettere in pratica?

Padre Twomey: La risposta a questa domanda si trova in un’intervista rilasciata nel 1999 in cui ha confessato di aver imparato una sana diffidenza nei confronti delle ideologie dominanti, come conseguenza di aver vissuto il periodo nazista.
Evidentemente, con il termine “ideologie” egli ha voluto intendere anche quelle che sono presenti all’interno della Chiesa e che riflettono le ideologie del mondo attuale.
La sua esperienza di vita sotto una ideologia politica e il suo apparato statale lo ha reso molto sensibile alla necessità che ciascuno eserciti la propria responsabilità morale e in particolare coloro che ricoprono incarichi pubblici nello Stato o nella Chiesa. La responsabilità morale è solo un altro termine per indicare la coscienza.
Il suo scetticismo nei confronti delle Conferenze Episcopali si radica nell’esperienza dei Vescovi tedeschi che, come organo collettivo, non hanno saputo essere all’altezza della testimonianza individuale di alcuni Vescovi come Clemens von Galen di Muenster e l’Arcivescovo Michael Faulhaber di Monaco.
Egli fa quindi appello a tutti i Vescovi perché diano una testimonianza in prima persona e perché non aspettino le riunioni della Conferenza per sigillare qualche documento predisposto da una anonima commissione.
Analogamente, la sua teologia è stata segnata da una ricerca personale della verità, sollecita dalla sua coscienza. Tutta la sua vita egli ha esercitato la sua personale responsabilità morale, anche a costo di vedersi bollato con l’appellativo di “rottweiler” o di “grande inquisitore”, o ancora di “nemico dell’umanità” come un giornalista ha voluto scrivere.

Parlare della verità con amore significa spesso porsi in opposizione alle tendenze prevalenti e quindi rendersi impopolare.

Oggi, anche nella veste di Benedetto XVI, egli continua ad esercitare quella sua responsabilità morale, non da ultimo scrivendo di suo pugno la maggior parte dei suoi discorsi, che parlano al cuore dei suoi ascoltatori, perché nascono dal suo cuore e non da uno schema preconfezionato.

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