6 luglio 2007

Rassegna stampa del 6 luglio 2007


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Messa tridentina: intervista a Padre Rinaldo Falsini

Messa tridentina: Melloni perde le staffe ed insulta il Papa




Carissimi amici, iniziamo a leggere la rassegna stampa odierna, che completeremo in serata. Purtroppo dovro' assentarmi fino al tardo pomeriggio. Spero che nel frattempo non accada nulla di eclatante :-))
Prometto di fare piu' in fretta possibile ;-)
Un abbraccio ed un ringraziamento a tutti gli amici del blog, scriventi e leggenti.
Invito tutti a prendere visione dell'iniziativa di cui ci ha parlato Alexander a commento del post "Melloni perde le staffe ed insulta il Papa".
A piu' tardi
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Raffaella

Iraq, caccia ai cristiani in fuga

Quattro che avevano rifiutato la conversione rapiti sulla via di Kirkuk

A Bagdad e Mosul minacce e ultimatum ai caldei. "Via entro tre giorni o vi uccideremo"
L´ex vice presidente Tareq Aziz accusato di aver ordinato uccisioni di ulema


RENATO CAPRILE

È più che un grido di dolore. È un Sos disperato al mondo che arriva da Bagdad e Mosul: «Salvateci - dice - finché siete in tempo. Firmato: i cristiani iracheni». I pochi sopravvissuti a vessazioni, minacce d´ogni genere, conversioni forzate, rapimenti e omicidi di massa. Non c´è più posto per loro nell´Iraq del dopo Saddam. Glielo scrivono sui muri delle loro case, dei loro negozi, delle loro chiese. Non resta che fuggire, dunque. Perché chi non ce l´ha ancora fatta, rischia ogni giorno la vita.
E dire che un tempo che sembra lontanissimo erano il 3 per cento dell´intera popolazione: sette, ottocentomila persone. Commercianti, professionisti, funzionari dello Stato e addirittura un vicepresidente della Repubblica - Tareq Aziz, ora sospettato di uccisioni di esponenti religiosi islamici - che nessuno si azzardava a toccare, che potevano liberamente andare a messa la domenica e mandare in giro le loro donne a capo scoperto. Oggi non è più cosi. A Bagdad, metropoli di cinque milioni d´abitanti, i cristiani erano cinquecentomila e oggi ne è rimasta la metà. Vecchi per lo più, che se ne stanno rintanati soprattutto in tre quartieri - Haj al Wadd, al Sinaa e Neeria. In attesa anche loro del momento propizio per poter fuggire. Verso il nord prima e poi verso qualunque altra destinazione che li allontani da questo inferno.
A Georges Isaak e suo figlio Stuart, a Shaqat Youssif e Martin Yacoub, gli ultimi di una lunga serie, tutto questo però non è riuscito. Sono stati bloccati e sequestrati ieri a 120 chilometri da Kirkuk e dalla libertà. Volevano raggiungere il villaggio di Daiabun nel Kurdistan iracheno. Una decisione sofferta, ma ineluttabile. Li avrebbero uccisi, infatti, se non avessero lasciato la capitale. Le minacce erano troppo esplicite per poterle ignorare.
Rivolgersi alla polizia non sarebbe servito a nulla. Nell´Iraq dell´odio interconfessionale tra sciiti e sunniti, di una guerra civile che è sempre meno strisciante, chi volete che si preoccupi di una minoranza così irrilevante? E allora non ci sono che quattro alternative. La prima, e tutto sommato la migliore, è andarsene. Ma senza portare via niente altro che ciò che si ha indosso. La seconda: pagare una tassa di mille dollari al mese ai miliziani di Moqtada per essere protetti. Condizione provvisoria, però quanto rischiosa. La terza: dare una propria figlia in sposa a un musulmano. La quarta ed ultima: convertirsi all´islam.
Le chiese, a Bagdad ce ne sono parecchie, sono sempre più vuote. «L´ultima volta che ci sono andato - racconta al telefono Morin - c´erano meno di dieci persone».
A Mosul, nel nord, siamo a circa 400 chilometri dalla capitale, per certi versi è ancora peggio che a Bagdad. Lì i cristiani devono vedersela col gruppo jihadista dell´Emirato islamico che ha dato loro addirittura un ultimatum: tre giorni di tempo per lasciare la città, altrimenti saranno uccisi. Identico il tono del messaggio rivolto a studenti e impiegati cristiani dell´università. L´agenzia di stampa cristiana basata in Svezia, «Stella orientale» lancia l´allarme: «Mosul è tappezzata di manifesti grondanti odio e negli ultimi giorni vi sono stati sette diversi omicidi mirati contro cristiani».

© Copyright Repubblica, 6 luglio 2007


LA RIVISTA

Shoah, la provocazione dei gesuiti "No all´uso politico della memoria"

Civiltà Cattolica: "Il negazionismo non si combatte varando leggi repressive"
L´allarme: certi eccessi rischiano di essere controproducenti e di generare un rigetto
La polemica: troppo spesso l´Olocausto è strumentalizzato, pro o contro Israele


MARCO POLITI

ROMA - Il negazionismo si combatte con la cultura, non con il carcere. Lo afferma Civiltà Cattolica, mettendo i piedi nel piatto di un dibattito acceso che ha agitato l´opinione pubblica in vari paesi europei. La riflessione sull´orrore della Shoah, aggiunge ancora la rivista dei Gesuiti le cui bozze vengono riviste dalla Segreteria di Stato vaticana, va tenuta alta senza lasciare che un «eccesso di memoria», superficialmente brandito, possa diventare controproducente.
Questione delicata, ma oltremodo attuale. Dal momento che l´Olocausto rischia spesso di essere usato come arma impropria per contese geopolitiche, la rivista richiama la necessità di preservarne la memoria al di là di strumentalizzazioni. È un concetto che, d´altronde, una personalità ebraica come Abraham Foxman, presidente dell´Anti Defamation League, ha espresso altre volte con un motto pregnate: «Salvaguardare la memoria della Shoah come se non ci fosse Israele, difendere Israele come se non ci fosse la Shoah».
Un eccesso di memoria, afferma l´editoriale del prossimo numero della rivista, può diventare una «trappola» proprio per coloro che lavorano per la pace e si adoperano per superare antagonismi e paure del passato. Civiltà Cattolica affronta il tema con grande franchezza, denunciando un certo tipo di battage mediatico, che si esprime in maniera sloganistica quasi ossessiva, generando a tratti una «sorta di rigetto psicologico del messaggio». Con effetti controproducenti nei confronti della causa che si vuole sostenere.
Senza togliere nulla alla «terribilità assoluta» dell´esperienza devastante che ha portato alla morte sei milioni di ebrei europei - sottolinea la nota - affiora il sospetto che negli ultimi decenni vi sia stata una strumentalizzazione dell´Olocausto per fini politici «sia da parte di alcune organizzazioni ebraiche sia da parte dei negazionisti o riduzionisti, che mettono in dubbio la storicità della Shoah per combattere lo Stato di Israele».
«Siamo convinti - afferma Civiltà Cattolica - che la memoria, se malintesa e strumentalizzata, può diventare un elemento di divisione». Mentre la storia, libera da condizionamenti esterni o di fazione, può diventare un «elemento di unità» e uno strumento capace specialmente di contribuire alla formazione di una cultura della tolleranza, condivisa da tutti.
In questa prospettiva, che fa leva soprattutto sull´educazione delle giovani generazioni, la rivista giudica criticamente le legislazioni repressive sull´Olocausto, adottate in alcuni stati dell´Unione europea.
Civiltà Cattolica si schiera apertamente contro l´esportazione in Europa della legislazione contro il negazionismo della Shoah vigente in Germania (è una proposta del ministro della Giustizia tedesco Zypries). Né può piacere al quindicinale dei Gesuiti lo spirito della prima proposta Mastella, che nel gennaio scorso intendeva portare in tribunale chi negasse lo sterminio degli ebrei ad opera del regime nazista. Contro l´ipotesi di una verità storica imposta con le manette si ribellarono duecento storici ed intellettuali italiani. Nella giusta direzione si muove invece il successivo disegno di legge del Guardasigilli, approvato all´unanimità dal Consiglio dei ministri, che reintroduce il reato di «diffusione e incitamento» dell´odio razziale, etnico, religioso (ma anche il reato di discriminazione per l´orientamento sessuale).
Complessivamente la posizione di Civiltà Cattolica è esplicita: «Meno leggi, più cultura e qualità della informazione». È l´unico modo per costruire un sistema di tolleranza autentica.

© Copyright Repubblica, 6 luglio 2007


Radio Maria invita Rosy Bindi

di Francesco Vergani

“Ma chi si crede di essere, santa Caterina da Siena?". Nel suo Commento alla stampa di ieri, padre Livio Fanzaga ha tenuto a correggere (non troppo fraternamente) il ministro Rosy Bindi, rispondendo via etere a una sua battuta riportata dal "Corriere della Sera" (2/7). L'esponente cattolico-democratica, dal suo buen retiro nel monastero di Bose, esortava i “suoi” a una presenza più incisiva nella vita della chiesa, come laici "responsabilmente" impegnati in politica e nella società, rifuggendo il collateralismo con vescovi, movimenti e associazioni. "Non possiamo mica lasciare che sia Radio Maria, a formare le coscienze del popolo cristiano": così la titolare del dicastero per la famiglia, parlando davanti ad alcuni colleghi della medesima estrazione culturale ed ecclesiale, quella di antica scuola dossettiana. Letta la sortita, dal carismatico direttore dell'emittente erbese è giunta presto una replica al calor bianco: "Invitiamo la signorina Rosy Bindi ad ascoltare la voce del Papa e dei vescovi, come facciamo noi, anziché mettersi a discutere su chi debba essere autorizzato ad evangelizzare la gente. Anzi, invitiamo la Bindi a seguirci nei nostri frequenti pellegrinaggi a Medjugorje. Si fermi al cospetto della Regina della pace almeno per un mese, se non per un anno. E ascolti i messaggi che ci consegna la Madonna: l'ultimo predica giusto una santa professione d'umiltà". In realtà, dietro alla provocazione del ministro è possibile leggere anche un serio attestato al radicamento di Radio Maria nel territorio nazionale, riconosciuta la sua speciale diffusione presso alcuni strati della popolazione (anziani, bambini, target di bassa scolarità). Le rilevazioni Audiradio del primo semestre dell'anno registrano 1.806.000 ascoltatori il giorno medio, tra i fedeli alla stazione di padre Livio. Nella settimana il loro numero totale sale a 4.325.000.

© Copyright L'Opinione


BENEDETTO XVI ALLA CHIESA DOMINICANA: «DIFENDERE LA FAMIGLIA E EVANGELIZZARE LA CULTURA»

“L’obiettivo principale del vostro ministero pastorale deve essere che la verità su Cristo e la verità sull’uomo penetrino ancora più profondamente nei diversi strati della società dominicana” e questo lavoro, anche se non è esente da difficoltà, “si sviluppa in mezzo ad un popolo di spirito aperto e sensibile alla Buona Novella”. Lo ha detto, stamattina, il Papa, ricevendo la Conferenza episcopale dominicana (11 diocesi, 191 parrocchie, 440 sacerdoti), in visita ad limina. “È certo – ha continuato Benedetto XVI – che nel vostro Paese si fanno sentire anche i sintomi di un processo di secolarizzazione”, però, in fondo, “questo popolo ha un’anima profondamente cristiana”. Nella Repubblica dominicana, infatti, quasi il 90% della popolazione è cattolica. “La nuova evangelizzazione – ha evidenziato il Santo Padre – ha anche come obiettivo principale la famiglia. Essa è la vera ‘Chiesa domestica’, soprattutto quando è il frutto di comunità vive dalle quali scaturiscono giovani con una sincera vocazione al sacramento del matrimonio”. La famiglia non è lasciata sola nelle sue difficoltà. La Chiesa dà impulso affinché “la famiglia sia davvero il luogo dove la persona nasce, cresce e si educa alla vita”.

La famiglia, ha chiarito Benedetto XVI, è anche il luogo “dove i genitori, amando con tenerezza i figli, li preparano per delle sane relazioni interpersonali che incarnano i valori morali e umani in una società tanto segnata dall’edonismo o dall’indifferenza religiosa”. Di qui la necessità dell’impegno delle comunità ecclesiali “per salvaguardare la stabilità della famiglia e favorire il suo progresso spirituale e materiale”, ma anche l’auspicio che le Autorità dominicane “collaborino sempre più in questo irrinunciabile lavoro in favore della famiglia”. Il Papa ha parlato anche delle difficoltà che affronta la famiglia nella Repubblica dominicana, come “il dramma del divorzio e le pressioni per legalizzare l’aborto” o l’aumento delle unioni di fatto. Benedetto XVI ha, quindi, affrontato una serie di questioni come “la promozione delle vocazioni sacerdotali e religiose” e il problema delle migrazioni che coinvolgono tante famiglie. “Vi invito con tutto il cuore – ha affermato il Santo Padre - ad accompagnare con grande carità, come già state facendo, gli immigrati di Haiti che hanno lasciato il loro Paese cercando migliori condizioni di vita per essi e per le loro famiglie”. Inoltre, il Papa ha evidenziato la necessità di “evangelizzare la cultura” per promuovere “i valori umani e evangelici nella loro integrità”.

In questo senso, ha ricordato Benedetto XVI, giocano un ruolo anche i mezzi di comunicazione di massa. L’evangelizzazione della cultura, comunque, è una missione che spetta soprattutto ai laici, che hanno bisogno perciò di “una formazione religiosa adeguata”. Ai laici tocca anche “promuovere i valori umani e cristiani” per illuminare “la realtà politica, economica e culturale del Paese” con lo scopo “di instaurare un ordine sociale più giusto ed equo, secondo la Dottrina sociale della Chiesa”. Nello stesso tempo, in coerenza con le norme etiche e morali, devono dare “testimonianza di onestà e trasparenza nella gestione delle attività pubbliche, di fronte alla subdola e diffusa piaga della corruzione, che a volte colpisce le aree del potere politico ed economico, oltre ad ambiti pubblici e sociali”. I laici, ha concluso il Papa, “devono essere fermento nella società, operando nella vita pubblica per illuminare con i valori del Vangelo i diversi ambiti dove si forgia l’identità del popolo” e sforzandosi affinché “la coerenza della loro vita e fede sia un’eloquente testimonianza della verità del messaggio cristiano”.

Sir

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