4 luglio 2007

Rassegna stampa del 4 luglio 2007


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Cari amici, oggi iniziamo la rassegna stampa con gli articoli che riguardano la manifestazione contro la persecuzione dei Cristiani, promossa da Magdi Allam. Poi ci occuperemo del bilancio 2006 della Santa Sede e di altri argomenti interessanti.
Raffaella


In piazza per i cristiani perseguitati, sostegno del Vaticano

L'arcivescovo Sandri: non possiamo abbandonare i nostri fratelli in Medio Oriente. Stasera la manifestazione a Roma

Luigi Accattoli

CITTÀ DEL VATICANO — Dopo quello del cardinale Ruini la manifestazione «Salviamo i cristiani» — promossa da Magdi Allam e in programma per stasera a Roma — ha ottenuto un altro sostegno ecclesiastico, stavolta da parte di un capo-dicastero della Curia Romana, l'arcivescovo Leonardo Sandri prefetto della Congregazione per le Chiese Orientali.
«Speriamo che la manifestazione dia dei risultati positivi per la Terra Santa, per i cristiani in Iraq e in Iran, e che essi non si trovino a dover fuggire dalla loro patria» ha detto l'arcivescovo che fino al nove giugno ricopriva la carica di sostituto alla Segreteria di Stato vaticana.
Ieri in mattinata Sandri nella sede della Congregazione di cui è prefetto ha acceso una «lampada di speranza» per la pace in Medio Oriente alla presenza di numerosi ambasciatori dell'area e ha detto che «laggiù la situazione dei cristiani è molto grave e la mia intenzione, accendendo la fiamma di questa fiaccola, è di tenere sveglia la nostra coscienza e la nostra attenzione, perché non possiamo abbandonare i cristiani del Medio Oriente ma dobbiamo fare qualcosa di concreto».
Interrogato dai giornalisti sull'atteggiamento vaticano riguardo alla «Manifestazione nazionale contro l'esodo e la persecuzione dei cristiani in Medio Oriente, per la libertà religiosa nel mondo» che si tiene stasera alle 21 a piazza Santi Apostoli, l'arcivescovo argentino ha citato l'apostolo Paolo «quando afferma che tutto coopera al bene» ed ha concluso che «quindi» tutto quello che si fa «per poter aiutare questi nostri fratelli, anche se non è ufficialmente fatto da noi, va sostenuto ».
Un analogo sostegno all'iniziativa del vicedirettore del Corriere della Sera aveva espresso il 21 giugno il cardinale Camillo Ruini vicario di Roma, quando aveva fatto «appello alla solidarietà concreta e pubblica verso i cristiani

IRAQ
Nel 2003, alla vigilia della guerra, i cristiani erano circa 1,5 milioni.
Oggi, dopo un massiccio esodo, si stimano in non più di 500 mila

LIBANO
I cristiani residenti sono circa un milione e mezzo, cui si aggiungono i 6 perseguitati in Medio Oriente e altrove nel mondo», esprimendo consonanza con «l'invito a una manifestazione pubblica di cui si è fatto promotore Magdi Allam».
Il cardinale ne aveva parlato al termine di un intervento all'«Incontro europeo dei docenti universitari» che si apriva quel giorno alla Pontificia Università Lateranense: «Nello stesso spirito con il quale lavoriamo per la pace e la fraternità tra gli uomini e i popoli di ogni religione, non possiamo restare indifferenti al destino di popolazioni che chiedono soltanto di poter rimanere nelle proprie terre, fedeli a Gesù Cristo ».
Tra gli aderenti alla manifestazione riportati dal sito che la pubblicizza — www.salviamoicristiani.com — figurano suore e preti, il direttore di Avvenire Dino Boffo, Giancarlo Cesana di Comunione e Liberazione, i due portavoce del «Family Day» Savino Pezzotta ed Eugenia Roccella e tre vescovi: Luigi Negri di San Marino-Montefeltro, Giancarlo Vecerrica di Fabriano-Matelica, Rodolfo Cetoloni di Montepulciano- Chiusi.
Il sito della manifestazione ha il sottotitolo «Padre Bossi libero!» ed ha avuto anche l'adesione ufficiale della «Congregazione delle Salesiane dei Sacri Cuori» e del «Movimento dei laici di don Orione». Una voce critica è venuta dal decano della Facoltà Valdese di teologia Daniele Garrone per il quale «non si dovrebbe isolare il problema della persecuzione dei cristiani dalla più ampia persecuzione che in quei paesi riguarda ogni altro discriminato: ebrei, omosessuali, donne e dissidenti ».
Riccardo Pacifici della Comunità ebraica romana si dice invece convinto che la manifestazione di oggi «sarà anche un segnale per aiutare i musulmani che sono oggetto delle tirannie nei Paesi arabi». E il portavoce dell'Ucoii (Unione delle comunità islamiche in Italia) afferma che «è giusto lavorare tutti insieme per far sì che ad ognuno sia garantita la libertà di espressione e di professare la propria
milioni di profughi dispersi nel mondo

EGITTO
I copti all'inizio del secolo scorso erano il 15-20 per cento della popolazione, oggi sono il 6 per cento
fede».

© Copyright Corriere della sera, 4 luglio 2007


IL TESTO

«Libertà in pericolo» L'appello contro «l'islamismo violento»

MILANO — Insieme per la libertà religiosa nel mondo. È rivolto a tutti — «laici, religiosi di ogni fede, donne e uomini di ogni appartenenza» — l'appello firmato da Magdi Allam, Claudio Morpurgo e Giorgio Vittadini a sostegno della manifestazione «Salviamo i cristiani ». «Bisogna esserci », chiedono gli estensori dell'appello. Esserci questa sera a Roma, in piazza Santi Apostoli, per chiedere a gran voce che «l'esodo e la persecuzione dei cristiani in Medio Oriente» vengano fermati.
«Viviamo in un'epoca dove si uccide in nome di Dio — si legge nell'appello — dove prevale un'impostazione integralista dello stare insieme.
La libertà religiosa è in troppe zone del mondo in pericolo, così come è costantemente minacciato chi crede che, proprio dalla libertà di professare un'appartenenza religiosa, derivino la pace e la salvaguardia dei diritti fondamentali dell'uomo, primo fra tutti quello della sacralità della vita umana». Il Medio Oriente, secondo Allam, Morpurgo e Vittadini, dove «sempre più prevale un islamismo violento che non accetta le differenze e il dialogo», è l'emblema di questa «povertà esistenziale» e rischia di diventare «il simbolo di un "pensiero unico" che, abusando del nome di Dio, genera morte, terrore e un conflitto di civiltà latente di cui anche in Europa si vedono tracce di devastante pericolosità».
«Popolazioni, storie, tradizioni millenarie non hanno più la loro casa. Come accaduto agli ebrei dei paesi arabi, oggi sono i cristiani ad essere minacciati nel loro diritto di esistere, nella loro volontà di rimanere fedeli alla propria tradizione». Ecco perché — continua l'appello — è giunto «il momento dell'azione ». Un'azione che sia «laica» e «responsabile» e lontana da ogni integralismo.

© Copyright Corriere della sera, 4 luglio 2007


Vernetti: giusto aderire, in Italia troppo timore su questi temi

Gianna Fregonara

IL SOTTOSEGRETARIO
ROMA — «Io aderisco con convinzione perché penso che ci sia un problema di libertà religiosa nel mondo e di persecuzione dei cristiani». Arriva anche dalla Farnesina, dal sottosegretario Gianni Vernetti, il sì alla manifestazione di questa sera proposta sul Corriere da Magdi Allam. Sì da Vernetti perché «difendere i cristiani significa difendere la libertà di religione, cioè la democrazia».

Eppure dei cristiani perseguitati non si parla molto.

«Ma basta leggere i dati del rapporto sulle libertà religiose del mondo o i monitoraggi dei diritti umani per sapere che il problema esiste. I cristiani in Iraq sono passati da un milione a ventimila in dieci anni, poi ci sono i cristiani in Palestina — un tema che non viene quasi mai affrontato dalle cronache — che all'inizio del Novecento erano il 25 per cento e dopo gli accordi di Oslo sono in fuga sistematica. A Betlemme negli Anni Cinquanta erano più dell'80 per cento, oggi non sono più del 10. Poi ci sono le persecuzioni nel Sud del Sudan: in vent'anni c'è stato un milione di cristiani morti. E come dimenticare le condizioni dei copti in Egitto o gli omicidi sistematici della minoranza cristiana in Indonesia?».

Appunto, perché c'è silenzio?

«Da noi c'è un forte limite ed è quello di un eccesso di timore ad occuparsene. Dovremmo intraprendere una campagna sul tema della reciprocità: le democrazie liberali rendono possibile l'edificazione di qualsiasi edificio di culto e danno il titolo di proprietà».

Lei propone di non aprire più moschee in Italia se non si possono aprire chiese nei Paesi musulmani?

«No, noi dobbiamo continuare a garantire la libertà di religione. È un bene, ma dobbiamo chiedere che lo stesso avvenga anche nei Paesi a maggioranza musulmana. Io, che sono favorevole all'ingresso della Turchia, riconosco che va sciolto senz'altro prima il problema del titolo di proprietà degli edifici di culto ai cristiani, oggi negato ».

La Farnesina è sotto accusa dal centrodestra per il rapimento di padre Bossi: non si è fatto abbastanza.

«Non è vero. Abbiamo fatto tutto il fattibile, né più né meno che negli altri casi di rapimento. Non servono strumentalizzazioni».

Però non c'è lo stesso clima di emergenza che c'è stato per i rapimenti in Iraq e in Afghanistan...

«Forse nella società civile e nei mezzi di comunicazione non c'è stato questo clima, ma credo che con la manifestazione di stasera si possa recuperare il ritardo».

© Copyright Corriere della sera, 4 luglio 2007


I separatisti chiedono un riconoscimento dal governo filippino

Padre Bossi, la guerriglia sospende le ricerche

Il fratello: brutta notizia. Partita missione dall'Italia

Mariolina Iossa

LA SCOMPARSA Il 10 giugno scorso sull'isola di Mindanao, nelle Filippine, Padre Giancarlo Bossi, 57 anni, missionario, viene costretto a salire su un battello da un commando armato: da allora non si hanno sue notizie

RAPITO Padre Giancarlo Bossi, 57 anni, mentre celebra la messa nella sua missione, nelle Filippine

ROMA — È stata una brutta giornata, la peggiore forse da quando padre Bossi è stato sequestrato, lo scorso 10 giugno nel Sud delle Filippine. Sicuramente la giornata più difficile, e proprio nelle ore in cui è partita verso il Paese asiatico una missione italiana di funzionari dell'unità di crisi della Farnesina, che ha accompagnato la deputata di Forza Italia Margherita Boniver. I separatisti del Fronte di liberazione islamico Moro, Milf, hanno infatti dichiarato di aver sospeso le ricerche del sacerdote. E si sono «dissociati» dalle iniziative dell'esercito filippino. «Una brutta notizia — ha commentato il fratello di padre Giancarlo, Marcello Bossi —, se non c'è collaborazione tra le forze in campo si rischia di andare verso il peggio ». Dalla Farnesina, tuttavia, non pensano che la rottura del Milf faccia precipitare la situazione. Di fatto, per il momento, resta tutto uguale. I rapitori non si sono fatti vivi perché non hanno trovato il canale «sicuro» per avviare la trattativa.
Quanto ai guerriglieri islamici, che di fatto controllano il Sud del Paese a maggioranza musulmano, probabilmente anche a causa del clamore che la vicenda suscita in Italia, a loro interessa soprattutto, in cambio di una ripresa della collaborazione, una sorta di legittimazione da parte del governo filippino.
I rapitori, dicono alla Farnesina, si sentono col fiato sul collo, e sarà difficile avviare una trattativa senza la collaborazione del Milf in quell'area del Paese. Non va poi dimenticato che padre Bossi non è il primo religioso italiano sequestrato nelle Filippine: per liberare padre Benedetti nel '98 ci sono voluti tre mesi, e sei mesi per padre Pierantoni nel 2001. Il governo italiano, dice il viceministro degli Esteri Franco Danieli, continua «a lavorare con determinazione, non ci interessano le polemiche, la vicenda è seria e, come tutti i casi analoghi, richiede unità d'azione, senso di responsabilità, sobrietà e discrezione, e non sterili clamori». Dopodomani cominciano i colloqui di Boniver, il cui arrivo è atteso con speranza dal primo segretario dell'ambasciata d'Italia a Manila, Mario Alberto Bartoli, perché la deputata italiana, «aggiungerà peso politico, visto l'ottimo rapporto che la lega al presidente Gloria Macapagal-Arroyo».
Resta teso in Italia il clima politico sulla vicenda di padre Bossi, e ancora ieri Forza Italia e Democrazia cristiana per le autonomie hanno chiesto in conferenza dei capigruppo del Senato che il governo riferisca in aula.

© Copyright Corriere della sera, 4 luglio 2007


Credere a rischio della vita viaggio tra i cristiani di Kabul

Nella capitale ci sono dodici chiese clandestine con un indirizzo provvisorio
I fedeli sono come membri di una setta segreta ripudiare l´Islam è un reato


RENATO CAPRILE

DAL NOSTRO INVIATO
KABUL - Uno stanzone di otto metri per quattro con le finestre schermate, spoglio ad eccezione di un leggìo e di una cinquantina di sedie disposte in due file. Si chiama "Nur", luce in lingua dari, la più grande delle dodici chiese cristiane di Kabul. Tutte ovviamente clandestine, underground. Chiese senza campanili né croci né arredi sacri. Anonimi luoghi di culto il cui indirizzo non solo è un segreto per pochi iniziati, ma è anche, e soprattutto, provvisorio. Oggi qui, domani altrove, sempre ammesso che ci sia un domani.
Ripudiare l´islam in Afghanistan è infatti un «reato», un´offesa gravissima alla religione di Stato, un peccato mortale, un autentico tentato suicidio. Basti ricordare il caso di Abdul Rahman, prima processato per apostasia, poi condannato a morte e infine salvato, adesso è al sicuro Italia, grazie alle pressioni della comunità internazionale.
Sono per lo più protestanti gli afgani convertitisi al cristianesimo. Hazara in maggioranza, ma anche pashtun, tagiki, uzbeki. Non più di trecento famiglie, all´incirca tremila persone. Un numero così esiguo che equivale a meno dell´0,1 per cento, lo 0,012 a voler essere precisi dell´intera popolazione (25 milioni). Un´irrilevante minoranza, dunque. Un niente statistico di uomini e donne che vive nell´incubo costante di esser denunciato. Da un vicino, da un compagno di lavoro, perfino da un fratello o dal padre, che ha paura di mandare i figli piccoli a scuola perché basta poco per tradirsi, anche una sola parola, un semplice accenno.
"Karte se", quartiere tre, pieno centro di Kabul, non lontano dall´Università. È questo l´ultimo domicilio conosciuto di "Nur".
Una stradina di pretenziose villette che ospitano società e organizzazioni internazionali. "Nur", nascosta in mezzo a loro, non ha insegne. Potrebbe essere una casa, un magazzino, un ufficio, un appartamento sfitto. Comunque è qui che alle 8 del mattino di ogni domenica si raduna un po´ di gente. Venti, trenta persone in tutto che cercano di non dare nell´occhio, che prima si guardano intorno e poi furtivamente, ma sempre non più di uno alla volta, trovano il coraggio di bussare al cancello. Un cancello che si apre soltanto se ci si è fatti riconoscere.
Come membri di una setta segreta, i cristiani afgani diffidano di chiunque non faccia parte del loro gruppo. Che poi è quasi sempre molto piccolo. Una sorta di famiglia allargata, l´unica della quale ci si possa davvero fidare. La regola numero uno è infatti che meno gente sa di te, più sei al sicuro. Per darsi appuntamento evitano di parlarsi al telefono, meglio farlo di persona e di notte, quando per le strade non c´è più nessuno. E non si fa fatica a capire il perché. Una piccola croce che l´ingegner Aziz, 45 anni, non aveva fatto in tempo a nascondere lo ha costretto a fuggire in Pakistan. Ma quelli che ce l´avevano con lui si sono vendicati ammazzando il figlio dodicenne. È successo appena due mesi fa.
Il capo dei cristiani di Kabul è un professore. Chiamiamolo Ahmed anche se non è il suo vero nome. Alto, barbuto, una sessantina d´anni, ex docente universitario, Ahmed dopo aver avuto garanzie che non lo tradiremo, finalmente accetta di parlare. È un ruolo importante il suo: forma le nuove leve. In tre, massimo sei mesi di corso, che è un po´ lettura dei testi sacri e un po´ interrogatorio per sondare non solo la buona fede di chi vuole convertirsi, ma anche l´effettiva volontà di imboccare una strada che può essere senza ritorno. «Essere cristiani in un paese come il nostro - spiega il professore - è una scelta che ti cambia la vita. Non ti fidi più di nessuno, sobbalzi tutte le volte che bussano alla tua porta, sei costretto a mentire ogni giorno a parenti, amici e colleghi, e per forza di cose ti isoli. Non è un bel vivere. Ci vuole coraggio e soprattutto una grande motivazione».
Barat è invece cattolico e per dimostrarlo tira fuori da uno scomparto segreto del suo portafogli un´immaginetta di Padre Pio che chissà come sarà arrivata qui a Kabul. Venticinque anni, hazara, originario di Gazni, studente di lingua e letteratura dari, Barat si è convertito nove anni fa. Il fanatismo dei Taliban, certo, ma anche la scelta del suo migliore amico lo hanno convinto a intraprendere il cammino di un´altra fede. La sua famiglia ovviamente non sa nulla. «Mio padre che è un musulmano osservante - spiega Barat - non esiterebbe un attimo a uccidermi con le sue mani». Non torna a casa da oltre un anno perché ha ricevuto ripetute minacce via e-mail e sulla segreteria del telefonino. Ha già cambiato numero più di cinque volte, ma non è servito a molto: quegli insulti e quelle promesse che «prima o poi la pagherà cara», continuano ad arrivare. Sembra sereno, però. Sogna di venire a studiare in Italia, a Perugia, non prima però di essere stato a Roma per vedere il Papa.
Una trentina di chiese in tutto - ce ne sono anche a Jalalabad, Mazar el Sharif, Herat, Bamian, Logar - che sono poi appartamenti in fitto, un paio di pubblicazioni e un centro-studi hanno sicuramente un costo. E allora è lecito chiedersi chi sia a pagare i conti. Qualcosa arriva dall´Europa - Germania e Olanda soprattutto - ma il grosso, si fa per dire, viene dall´America e cash insieme a giovani predicatori che cercano tra mille difficoltà di fare proseliti. Hanno ovviamente una copertura anche loro. Si celano dietro una ong - "Stella del mattino" - che ha sede al centro di Kabul. Forse non sono tutti autentici missionari, ma chi li conosce è disposto a giurare che il loro vero intento è soltanto uno: diffondere anche qui la parola di Cristo.

© Copyright Repubblica, 4 luglio 2007


La Regione vota contro la libertà religiosa

di Diego Pistacchi

Cristiani massacrati e perseguitati nel mondo? Chissenefrega. La Regione Liguria fa spallucce, non trova neppure il tempo di votare un ordine del giorno di adesione alla manifestazione organizzata da Magdi Allam, il vicedirettore del Corriere della Sera. Per meglio dire, la Regione non vuole trovare il tempo, preferisce evitare il discorso. E ora tocca al Comune vedere se ci sarà la possibilità di dedicare qualche minuto di consiglio al rapimento di padre Giancarlo Bossi, da settimane prigioniero di estremisti religiosi, così come chiesto dagli eletti della Lista Biasotti.

Quello che è accaduto ieri in Regione sembra assurdo. Nei giorni in cui una giovane donna marocchina viene minacciata e picchiata per aver voluto testimoniare al processo contro gli assassini di Hina, ragazza uccisa dai parenti perché vestiva all’Occidentale; nei giorni in cui si teme per la sorte di padre Bossi, ci sono stati consiglieri che avevano firmato l’ordine del giorno e che ieri hanno votato contro, o che si sono astenuti. Assenze tattiche e ripensamenti dell’ultim’ora hanno fatto in modo che neppure si sia potuto discutere della richiesta di adesione della Liguria, anche solo moralmente, «alla manifestazione nazionale promossa da Magdi Allam contro l’esodo e la persecuzione dei cristiani in Medio-Oriente e per la libertà religiosa nel mondo». Tutto qui, il testo da approvare. Non si chiedeva neppure il gonfalone.

Dopo la prima firma di Gianni Plinio, capogruppo di An, c’erano quelle di altri 14 consiglieri, tra cui 5 di maggioranza. C’erano i nomi e le firme dei cattolici Fabio Broglia, Michele Boffa, Roberta Gasco e Giovanni Paladini, di Luigi Patrone dell’Italia di Mezzo. Ma di loro, solo la Gasco, Udeur, in aula ha trovato la forza di rispettare la sua posizione. E così l’assemblea ha deciso di non mettere neppure in calendario il documento. Non prima di uno scambio di battute al veleno. Con Plinio che conclude con un’accusa pesantissima alla maggioranza: «Sono dei barbari, è come schierarsi dalla parte dell’intolleranza religiosa».

Si era cominciato dal fatto che Mino Ronzitti, presidente dell’assemblea legislativa della Liguria, non aveva inserito l’ordine (...)

© Copyright Il Giornale, 4 luglio 2007

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