2 aprile 2008

Terzo anniversario della morte di Giovanni Paolo II: interviste ai cardinali Re e Sandri (Osservatore)


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Una vita donata per fare rientrare Dio in questo mondo

di Mario Ponzi

"Il suo sforzo più grande? Far rientrare Dio in questo mondo". Non ha dubbi il cardinale Giovanni Battista Re a proposito della caratteristica fondamentale del pontificato di Papa Wojtyla. Qualsiasi cosa dicano alcuni suoi presunti "profondi conoscitori", Giovanni Paolo II ha influito tanto profondamente nella storia della nostra epoca perché ha saputo fedelmente interpretare "i grandi compiti che la Provvidenza divina gli ha riservato". E se si è reso "protagonista" negli storici eventi che hanno portato al crollo del muro di Berlino, lo ha fatto certamente non per "motivi politici ma per motivi esclusivamente religiosi". Il cardinale Re, a lungo diretto collaboratore di Papa Wojtyla, in questa intervista offre alcuni ricordi personali dell'esperienza maturata accanto a un Pontefice che egli stesso non esita a inserire tra "i giganti della storia".

Tre anni fa moriva Giovanni Paolo II. Che cosa ricorda di quei giorni?

La malattia, l'agonia e la morte di Giovanni Paolo II hanno scosso il mondo e hanno fatto vivere a moltissime persone delle giornate che il trascorrere del tempo non ha fatto dimenticare. Mai si era vista una solidale vicinanza al Papa così ampia e convinta. Con l'esempio delle ultime settimane di malattia, l'amato Pontefice ha testimoniato che sia l'età avanzata, sia la malattia vanno accolte con serenità e ci ha insegnato che la vita è un dono che va vissuto fino in fondo, accettando quanto Dio dispone e sopportando con forza i disagi e le sofferenze che comporta. Papa Giovanni Paolo II ha vissuto la sua missione fino all'ultimo, cercando di non fare mancare del tutto la sua presenza ai riti della Settimana Santa di quell'anno e non nascondendo la debolezza del suo fisico. Il momento più drammatico della sua volontà di comunicare è stato vissuto in diretta televisiva il giorno di Pasqua (27 marzo 2005) quando egli, reduce dal decimo ricovero al Policlinico Gemelli, dopo l'intervento di tracheotomia, come tutti ricordiamo, ha cercato di farsi udire, ma chiaro è stato soltanto il gesto della benedizione. Col suo esempio, il compianto Papa ci ha insegnato come si percorre il cammino verso il mistero che ci attende quando per ciascuno di noi si apriranno le porte dell'eternità. È stato l'insegnamento ultimo di Giovanni Paolo II e il punto più alto del suo magistero, perché tutto il suo pontificato ha mirato a questo: indicare la via che conduce al cielo, alla salvezza eterna. Ed è stato un insegnamento da grande Papa.

Che cosa l'ha impressionata di più in quei giorni?

Il fatto che il Papa Giovanni Paolo II non aveva per nulla paura della morte. Per lui la morte era come passare attraverso la porta che conduce all'incontro con Dio. Nonostante la sofferenza e i disagi per i suoi gravi problemi di salute, attese la morte con serenità.

Quale fu il suo ultimo incontro col compianto Papa?

Fu la sera della vigilia della sua morte: alle ore 20 di venerdì 1 aprile uscendo dall'ufficio passai all'appartamento pontificio. Monsignor Stanislao mi introdusse nella camera del Papa. Sua Santità era cosciente, respirava con grande fatica, ma era sereno in volto. Mi fissò, non parlò.

Il suo pontificato ha inciso nella storia?

Direi che Papa Giovanni Paolo II ha saputo influire da protagonista sul corso degli eventi. La Provvidenza divina gli ha riservato grandi compiti nella storia della nostra epoca. Tuttavia, anche se è vero che Giovanni Paolo II ha inciso nella storia e negli avvenimenti che hanno portato alla caduta del muro di Berlino, come ha rilevato lo stesso Gorbaciov, la prima e fondamentale caratteristica del suo pontificato è quella religiosa. Il movente di tutto il pontificato, la radice della sua incontenibile energia, il motivo ispiratore di tutte le iniziative è stato religioso: tutti gli sforzi del Papa miravano a fare rientrare Dio in questo mondo. La fedeltà al Vangelo ha poi portato Giovanni Paolo II a difendere col vigore del lottatore i grandi valori umani e cristiani. Difese tali valori con importanti encicliche e innumerevoli interventi, facendo sentire la sua voce anche nelle conferenze internazionali. In tutti gli angoli della terra ha seminato ragioni di vita e di speranza e ha rivendicato la dignità di ogni uomo e di ogni donna e il rispetto della libertà e dei diritti umani. Ha indicato a tutti la via della verità e dei valori morali come unica strada che può assicurare un avvenire più umano, più giusto, più pacifico. In questa nostra epoca, nella quale ha lasciato un segno incancellabile, è stato il più strenuo e appassionato tutore dei valori che danno senso alla vita e che fanno parte del patrimonio della civiltà cristiana. È stato un grande messaggero di pace e un instancabile operatore per una convivenza tra gli uomini e i popoli all'insegna dell'armonia e della collaborazione.

Alcuni hanno giudicato quel pontificato per i suoi aspetti di lotta al comunismo. Le sembra una valutazione corretta? L'elemento qualificante del pontificato di Giovanni Paolo II è stata la fedeltà al Vangelo.

È vero che egli era contro il comunismo, però il motivo non era politico, ma essenzialmente religioso: egli operò con coraggio contro il comunismo perché era un sistema che professava l'ateismo e perseguitava la Chiesa, e in pari tempo opprimeva l'uomo, negandogli piena libertà. Era un motivo religioso quello che ispirava il Papa e che faceva seguito alle parole vibranti da lui pronunciate nella prima celebrazione in Piazza San Pietro: "Non abbiate paura! Aprite le porte a Cristo!".

Lei è stato per molti anni al suo fianco come assessore e poi sostituto della Segreteria di Stato: che cosa l'ha colpita di più?

Stando vicino a Papa Giovanni Paolo II colpiva la capacità che aveva di parlare alle folle e impressionava la ricchezza della sua umanità - il rapporto che stabiliva con le persone, il calore delle amicizie, la profondità del pensiero, la capacità di godere della bellezza della natura, della letteratura e dell'arte - ma ciò che sempre mi ha impressionato di più è stato il suo rapporto con Dio. Colpiva come egli si abbandonava alla preghiera: si notava in lui un trasporto che gli era connaturale e che lo assorbiva come se non avesse problemi e impegni urgenti che lo chiamassero alla vita attiva. Commuoveva la facilità e la spontaneità con le quali passava dal contatto umano con le folle al raccoglimento del colloquio intimo con Dio. Quando era raccolto in preghiera, ciò che succedeva attorno a lui sembrava non toccarlo e non riguardarlo. Egli si preparava ai vari incontri, che avrebbe avuto in giornata o nella settimana, pregando. Prima di ogni decisione importante Giovanni Paolo II vi pregava sopra a lungo. Più importante era la decisione, più prolungata era la preghiera.

Che cosa rimane della sua testimonianza nel cuore degli uomini e delle donne di oggi?

La sua fede, le sue certezze, il suo coraggio restano una testimonianza che parla al cuore di ogni uomo e di ogni donna, perché la sua vita è stata sempre in sintonia col suo messaggio. Questo Papa, sempre più debole e limitato nel suo fisico, è stato particolarmente forte nel suo coraggio, nella sua capacità di proclamare la verità sull'uomo e su Dio, nel donare se stesso. Molti hanno attinto da Giovanni Paolo II speranza e fiducia nella ricerca del senso della vita. Molti hanno appreso da lui la strada per ritrovare la via che conduce a Dio. Ora che ha varcato la soglia dell'eternità e contempla il volto di Dio, la sua luce non si è spenta ed egli continua a vivere nei cuori.

(©L'Osservatore Romano - 2 aprile 2008)


Un respiro a due polmoni: Oriente e Occidente

di Nicola Gori

È stato la voce di Giovanni Paolo II negli ultimi giorni in cui l'aggravarsi della malattia gli impediva di comunicare. Ed è stato anche colui che, la sera del 2 aprile 2005, vigilia della domenica della Divina Misericordia, annunciò in piazza San Pietro la morte del Pontefice. È legato anche a queste due esperienze il ricordo personale che il cardinale Leonardo Sandri, Prefetto della Congregazione per le Chiese Orientali, conserva di Papa Wojtyla a tre anni dalla scomparsa. In questa intervista il porporato ripercorre gli anni in cui ha lavorato fianco a fianco con Giovanni Paolo II, soprattutto dal 2000 come sostituto della Segreteria di Stato, partecipando, tra l'altro, personalmente alla preparazione e allo svolgimento dei viaggi apostolici in varie parti del mondo.

Nel terzo anniversario del ritorno alla Casa del Padre di Giovanni Paolo II, quali sentimenti accompagnano il suo ricordo?

Nella messa di suffragio che Benedetto XVI presiede mercoledì 2 aprile in piazza San Pietro troveranno espressione la gratitudine che dobbiamo a Dio per averci dato in Giovanni Paolo II un segno così luminoso della vicinanza del Buon Pastore; l'affetto dei figli per il Padre che li ha amati fino al suo ultimo respiro; la speranza di rimanere sempre con Cristo, il Crocifisso Risorto, al quale egli aveva consegnato se stesso in modo incondizionato. Sono questi i sentimenti che provo quando penso agli anni passati accanto al compianto Pontefice. Ritengo si tratti di una grazia speciale ricevuta dal Signore ed è confermata nella collaborazione che ho l'onore di poter offrire al suo Successore. La gratitudine, se è autentica, diventa atto di fede nel Cristo, nella santa Chiesa e nell'uomo, che costituivano i grandi valori ai quali Papa Wojtyla volle consegnare la sua esistenza di credente e di pastore. E rimane autentica se cerca sempre di accogliere l'esempio e il magistero da lui offerti tanto generosamente.

Cosa ritiene peculiare nella sua testimonianza?

L'adesione a Cristo. Egli la viveva in compagnia di Maria Santissima, a lode e gloria del Dio dell'amore e per la salvezza di tutti. Questa era la testimonianza che si percepiva soprattutto quando celebrava l'Eucaristia e nella sua devozione al sacramento dell'altare. Era impressionante assistere alla sua preparazione alla messa, e poi alla celebrazione e al ringraziamento. Disarmante e coinvolgente poiché il desiderio di imitare cresceva istintivamente nel cuore. Nella Eucaristia quotidiana trovavano novità e fecondità la sua parola e le sue opere. Nel "perdersi eucaristico" di Cristo servo, nel suo farsi pane e bevanda di salvezza per ogni uomo, nella comunione che rinvigoriva il suo inserimento nel Corpo di Cristo e nel mistero della santa Chiesa, Giovanni Paolo II trovava la capacità di presentare a tutti, soprattutto ai sofferenti nel corpo e nello spirito, ai dubbiosi e agli stanchi sotto il profilo religioso, e con quale impeto ai giovani, il Cristo vivo, il Redentore misericordioso sempre amico dell'uomo. La certezza, poi, che il Signore lo precedeva nel cuore di coloro ai quali come pastore si sentiva inviato rendeva costante e fiducioso il suo lavoro apostolico. Dava coraggio ai ministri della Chiesa, ma anche ai fedeli, questa sua convinzione di fede, dalla quale si avvertiva la verità di quanto dice la scrittura: "La nostra fede vince il mondo". Tanto più eloquente divenne questa testimonianza nella lunga stagione della malattia fino al silenzio dell'addio.

Molti esaltano il suo servizio alla storia umana e la sua missionarietà.

Certo non si possono dimenticare la responsabilità missionaria che lo portò in ogni angolo della terra e la sensibilità ecumenica e interreligiosa. Come del resto la fedeltà alla tradizione e l'apertura alle novità dello Spirito felicemente intrecciate nel suo magistero e governo pastorale. E l'attenzione ai temi sociali; il servizio alla pace, alla giustizia, alla verità quali fondamenta della concordia e solidarietà mondiali. Potremmo continuare a lungo nell'elencare i suoi meriti. Ma la peculiarità rimane il Cristo, amato in compagnia della Madre del Signore. Tutti i santi e i beati che egli nel lungo pontificato ha proclamato attestano questa peculiarità ed esaltano l'attualità della santità cristiana, quale vita pienamente salvata e perciò felicemente realizzata grazie a Cristo Signore.

Può farci dono di qualche "inedito" ricordo personale di Papa Wojtyla?

Abbiamo la responsabilità di non disperdere il suo carisma, ma aggiungo che dobbiamo custodirlo con la riservatezza di chi ama, di chi è riconoscente e di chi cerca di imitare. Certo, sento viva commozione e immensa riconoscenza al Signore e allo stesso Papa Giovanni Paolo II ricordando il compito che mi aveva affidato di prestare la mia voce alla sua parola, allorché sempre più sofferente avvertiva ormai impedita la capacità di comunicare. Rimane indelebile nel mio animo la conclusione di un Angelus domenicale quando impartendo la benedizione a nome del Santo Padre scorgevo lo stesso Pontefice tracciare su di sé a fatica il segno di croce. Era padre e fratello, e, mentre percorreva la personale Via Crucis col suo Signore, voleva riversare su tutti la grazia del salvifico dolore di Cristo.
Ma c'è un altro pensiero per così dire "inedito" che vorrei lasciare e riguarda quella che ritengo una "speciale introduzione all'Oriente cristiano" ricevuta da Giovanni Paolo II. Dalla fine dell'Anno santo ho potuto condividere numerosi viaggi papali e in maggioranza erano compiuti in Paesi orientali. L'accurata preparazione delle tappe di ciascuno di essi e poi il loro svolgimento, con le celebrazioni e gli innumerevoli incontri aperti alle categorie più diverse e qualificate della comunità ecclesiale, ai fratelli di altre Chiese e comunità ecclesiali, di altre religioni, alle autorità civili, ai giovani, mi hanno disposto al servizio che Benedetto XVI mi avrebbe poi affidato come Prefetto della Congregazione per le Chiese Orientali Cattoliche. Il servo di Dio Giovanni Paolo II mi ha personalmente dato prova della sua profonda venerazione per i tesori costituiti dalle tradizioni teologiche, liturgiche e disciplinari dei cattolici orientali e dalla testimonianza dei martiri cristiani antichi e contemporanei figli dell'Oriente. Egli ha allenato anche me al pieno respiro ecclesiale. La Chiesa deve respirare a due polmoni! La Chiesa ha bisogno dell'apporto dell'Oriente e dell'Occidente per continuare a glorificare il nome del Signore e parlare in modo convincente del Redentore misericordioso all'uomo contemporaneo. Papa Wojtyla ne era gioiosamente convinto!

(©L'Osservatore Romano - 2 aprile 2008)

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