9 luglio 2008
Dialogo tra le religioni per la cura dei malati anziani. La visione ebraica, quella indù e quella buddista (Osservatore Romano)
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Dialogo tra le religioni per la cura dei malati anziani
di Abramo Alberto Piattelli
Rabbino, Roma
Affrontare le varie problematiche legate alla condizione dell'anziano, soprattutto nell'epoca in cui ci troviamo, significa anche per un Rabbino trovarsi di fronte a una complessità di problemi, ognuno dei quali meriterebbe una trattazione a parte.
Abbiamo infatti problemi che concernono la psicologia dell'invecchiamento come pure la tendenza prevalente a emarginare l'anziano dal tessuto sociale, disprezzando l'esperienza, la saggezza e le possibilità lavorative delle persone in età avanzata. Appena raggiunta l'età della pensione si offre al pensionato qualche regalo per i servizi prestati e agli offerenti del dono non interessa più altro.
La solitudine, la possibilità di riempire la giornata con incontri con altre persone o trovare qualche cosa da fare diventa un'angoscia per l'anziano che in questo modo invecchia ogni giorno di più.
Anche la comunità ebraica, nell'attività assistenziale verso i suoi membri, si trova a confrontarsi con questi problemi. Piena di attualità risulta l'invocazione del salmista: "Non abbandonarmi ora che sono vecchio, non lasciarmi ora che le mie forze vengono meno".
Ci resta comunque da seguire le linee fondamentali della tradizione affinché da quelle si rilevino comportamenti e soprattutto motivazione.
Nella tradizione ebraica, il rapporto con le persone anziane si sviluppa su due direttrici: da una parte viene rivolta l'attenzione al rispetto che si deve alle persone anziane, dall'altra le forme di assistenza che si è chiamati a dispensare a questi individui. La fonte biblica fondamentale da cui si rileva come ogni persona è tenuta a rispettare la persona anziana è costituita dal testo che si ritrova nel famoso capitolo della santità del Levitico. "Alzati di fronte alla canizie - si afferma - e tributa onore alla persona anziana" (19.32). E aggiunge a mo' di sigillo: "Avrai timore del tuo Dio, Io sono l'Eterno".
È interessante notare come il personaggio di cui si parla nel testo biblico venga pure identificato con il saggio, il sapiente. Mediante un'esegesi anagrammatica, il zaken - l'anziano - diventa ze shekanà chochmà, ovvero colui che ha acquisito la saggezza. Insomma, l'anziano viene identificato con la persona saggia e viceversa. La sevà - la canizie - un'onorevole età avanzata, secondo i Proverbi (16.31) "si rinviene nella via della giustizia", si tratta cioè di quella maturità della saggezza che viene acquisita attraverso lo studio e l'esperienza di vita. A queste persone noi siamo tenuti a tributare onore e rispetto.
Il difetto più comune che si riscontra nella persona anziana è l'amnesia. Nell'etica ebraica si insiste con un forte richiamo a non ridicolizzare il maestro che per caso non ricordasse qualcosa del suo studio e ricerca. Si ricorda, infatti, come dentro la famosa Arca Santa, di biblica memoria, si trovassero tanto le Tavole della Legge quanto i frammenti delle prime Tavole ricevute da Mosè dalle mani di Dio sul monte Sinai. La stima e l'onore riservato all'anziano-sapiente debbono essere accompagnate dallo sforzo di non emarginare il vecchio il quale, anzi, deve continuare a essere considerato come parte integrante sia della famiglia sia del tessuto sociale.
In un brano dell'Ecclesiaste in cui viene in qualche modo esaltata la vecchiaia si dice: "Tutte queste cose osservai prestando attenzione a ogni atto che si compie sotto il sole" (8.9). Queste parole stanno a dire come la saggezza acquisita attraverso l'esperienza della vita viene beneficamente riversata sulle generazioni successive. Ma la vecchiaia purtroppo non sempre è una condizione allettante. Il più delle volte è sintomo di debolezza, di malattia e di decadimento fisico e psichico. Ricordiamoci la descrizione che della vecchiaia fa l'Ecclesiaste:
"Ricordati del tuo Creatore nei giorni della tua giovinezza, prima che vengano i giorni cattivi e giungano gli anni dei quali dirai: non mi piacciono affatto; prima che si oscurino il sole, la luce, la luna e le stelle e ritornino le nuvole dopo la pioggia; nel giorno in cui tremeranno i custodi della casa e si incurveranno i forti, e saranno inutili le macine, perché sono diventate poche, e si oscureranno le luci delle finestre, e si chiuderanno le porte sulla strada, mentre diminuirà l'eco del mulino e l'uomo si alzerà al canto del gallo e taceranno tutte le coriste, ed egli temerà le alture e gli inciampi nella strada, e il mandorlo fiorirà e il grillo sarà di peso ed il cappero non farà più alcun effetto" (12, 1-5).
Ma grande e tenace è la fiducia rivolta verso la persona anziana se R. Simeone f. di Eleazar ripeteva che se un vecchio ti dice "distruggi", mentre un giovane ti dice "costruisci", distruggi pure, in quanto la distruzione dell'anziano è sempre una costruzione e viceversa per l'inesperto giovane.
Secondo la Scrittura, il servizio dei leviti nel Tabernacolo era limitato dall'età: fino a cinquanta anni quelli svolgevano la loro attività, dopo di che venivano riassorbiti dalle incombenze familiari (vedi Numeri 8, 25).
Nella società ebraica, sin dai tempi più antichi, l'anziano era circondato da particolare cura e preoccupazione. Un posto di rilievo gli veniva assegnato sia all'interno della famiglia sia nella società. Quel "consiglio di anziani" che numerose volte ricorre sia nel testo biblico quanto nelle tradizione successive non doveva certamente costituire solo un consenso coreografico e onorifico. Come pure la collocazione all'interno della famiglia era assimilabile in tutto e per tutto al rapporto tenuto con i genitori.
L'organizzazione comunitaria ebraica si è sempre fatta carico delle necessità dell'anziano; a questa figura sono state estese quelle forme di solidarietà previste sin dai tempi biblici per la vedova, per l'orfano e per il bisognoso in generale.
È interessante rilevare come a partire dall'alto medioevo si ritrovano delle decisioni prese dagli organi comunitari tendenti ad aiutare le persone anziane. Le particolari condizioni diasporiche degli ebrei facevano sì che le frequenti persecuzioni portavano al dissolvimento del nucleo familiare, sicché i primi a soffrirne erano proprio le persone anziane, le più disposte alla sofferenza e al disagio. Si trattava di assicurare all'anziano bisognoso di aiuto l'assistenza e soprattutto la sicurezza di poter continuare l'osservanza religiosa, di rispettare ogni forma di vita ebraica e soprattutto di non correre il rischio di essere subdolamente sottratto alla fedeltà alla fede dei padri. E così che, soprattutto a partire dal XVIII secolo, noi vediamo sorgere strutture ben definite atte a dare ospitalità e assistenza agli anziani in varie comunità d'Europa.
In un'epoca come la nostra in cui l'invecchiamento generazionale è diventato un importante problema di attualità, in un'epoca in cui l'emarginazione di ogni individuo debole e dell'anziano in particolare costituisce una realtà visibile da tutti, l'attenzione per l'anziano è un problema che riguarda ciascun membro della società, e non solo perché ciascuno, grazie alla volontà di Dio, è destinato a passare per questa età. Allora le parole bibliche secondo cui "Alzati di fronte alla canizie" impongono il dovere non solo morale di avere cura per l'anziano e di organizzare ogni intervento in suo favore.
(©L'Osservatore Romano - 9 luglio 2008)
Il soccorso del dolore nell'ethos indù
di Sukla Deb Kanango
Dicastero del Lavoro Sociale Visva Barati, Santiniketan, India
Per capire il luogo e lo spazio che un anziano occupa nella società Indù si deve capire la vita della famiglia Indù che è il secondo stadio Garhasthya, invece di Vanaprastha che è lo stadio quando uno è considerato anziano e dovrebbe ritirarsi dalla vita attiva. Manusamhitta estesamente e precisamente ha impostato le responsabilità di un capofamiglia (Garhasthya)(...) Il culto e lo studio regolare dei Veda, guadagnare il sostentamento con mezzi onesti, generare e far crescere bambini, onorare gli ospiti con una ospitalità appropriata, rispettare gli anziani, e prendersi cura dei genitori e di altri parenti che vivono con lui, sono tra i molti doveri che un capofamiglia deve adempiere. Infatti, in nessuna parte della legge di Manu (Manusamhita) vi si trova alcuna menzione specifica riguardo l'assistenza dei genitori, eccetto un riferimento a fare doni ("dana") ai genitori. La scrittura dà dei dettagli su chi è una persona idonea a ricevere regali e chi no. I genitori sono posti come i primi tra di loro, i doni ai genitori porta a delle ricompense. Questa ricompensa implica anche l'ultimo, il passaggio al cielo (...) L'assistenza delle persone anziane è diventata un problema oggi perché molti e molti genitori anziani sono senza l'assistenza e il sostegno della famiglia, poiché la famiglia che i figli si sono formati ha abbandonato la famiglia nucleare e ciò influisce su molte sfere vitali perché diminuisce l'organico numerico della famiglia e i mezzi che mantengono e sostengono la famiglia. Le risorse del potenziale umano, materiale e finanziario che sono essenziali per donare amore e assistenza sono in esaurimento. Molti anziani sono abbandonati dalla loro prole e perfino quando rimangono nell'ambito familiare, le risorse della famiglia non sono abbastanza per assistere i genitori anziani. Perciò la società si preoccupa (...) La questione dell'assistenza agli anziani, la maggioranza dei quali sviluppa qualche tipo di invalidità o altro quando l'età avanza, turba la società. Tuttavia, le organizzazioni religiose indù non possono non considerarlo ancora come responsabilità di nessun altro se non della famiglia per assistere gli anziani, curare i malati e prendere le necessarie misure per loro. Sostegni esterni in termine di provvedimenti per l'assistenza sanitaria (inclusa la cura) e l'assistenza finanziaria alle famiglie in tempi di necessità sono tuttavia benvenuti. Ospedali, cliniche, dispensari caritatevoli sono aspetti tipici di molte organizzazioni religiose indù oggigiorno. I malati anziani sono un crescente interesse della società indù e si fa un grande sforzo per soddisfare il loro bisogno nello scenario economico attuale dove da una parte vi è abbondanza di denaro e dall'altra parte vi è mancanza di denaro. In aggiunta a questo vi è l'indebolimento del tessuto sociale poiché le famiglie sono limitate in molti modi e quindi non possono assistere gli anziani, particolarmente quelli che sono malati, adeguatamente e come esse lo desidererebbero.
(©L'Osservatore Romano - 9 luglio 2008)
Nella prospettiva buddista il nirvana come massima cura
di Cheng, Chen-huang
Presidente della Associazione Amala, Taiwan
Il Buddha Sakyamuni, fondatore del Buddismo, è considerato il Grande Re della Medicina. Egli Buddha disse ai suoi discepoli che prendersi cura delle persone malate equivale a prendersi cura del Buddha stesso. Nel Buddismo ci sono tre grandi gioielli: il Buddha come medico, il Dharma come medicina, e la sangha come infermiere. Esiste persino un testo al riguardo, che si chiama "Sutra of Buddha's Medical Science" (La scienza medica del Buddha). Da ciò, si potrebbe arguire che il Buddismo è la religione della scienza medica, sebbene la sua preoccupazione principale sia la terapia per i disturbi psicologici che sono le cause principali delle malattie fisiche. Nel suo primo discorso di insegnamento, dopo aver raggiunto l'illuminazione, il Buddha dichiarò le Quattro Nobili Verità. Nella prima nobile verità sulle sofferenze della vita, il Buddha asseriva che le sofferenze sono insite inevitabili nella vita di ogni essere umano. Esse sono comunemente otto: nascita, vecchiaia, malattia, morte, separazione da chi o da ciò che si ama, contatto con chi o con ciò che non si ama, incapacità di ottenere ciò che si cerca, e squilibrio psico-fisico. Per la seconda nobile verità sulle sofferenze, il Buddha osservò che le principali cause della sofferenze sono l'ignoranza e il karma, cioè l'azione, la parola e il pensiero. Nel caso della terza nobile verità, il Buddha segnalò come obiettivo finale il Nirvana. Nella quarta nobile verità, il Buddha specificò il percorso da intraprendere per emanciparsi dalla sofferenza esistenziale (il Nobile Ottuplice Sentiero): il retto intendimento, la retta risoluzione, la retta parola, la retta azione, la retta condotta di vita, il retto sforzo, la retta consapevolezza, la retta pratica della meditazione (...) (...) La malattia fisica e la morte sono inevitabili per tutti. Ma la malattia psicologica può essere curata alla fine attraverso la pratica, e certamente non ci sarà nessuna morte laddove non vi è nessuna nascita. Il Nirvana è l'unica risposta nel Buddhismo. Il Nirvana non è nichilismo ma la completa cessazione delle sofferenze, che dipendono dalla eterna pace della mente (...) Quando una persona ha la mente vuota, allora accetterà tutte le condizioni, incurante della malattia e persino della morte.
(©L'Osservatore Romano - 9 luglio 2008)
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