8 settembre 2008

Il Papa conquista e commuove i sardi. La piazza dei Centomila troppo stretta (Aime)


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Il Papa conquista e commuove i sardi

«La vostra fede è forte come una quercia» Poi l’appello: servono nuovi politici cattolici

CAGLIARI. «La vostra fede è forte come una quercia», poi per descrivere la Madonna usa parole in sardo: «Mama, fiza e isposa de su Segnore».
Papa Benedetto XVI nelle 10 ore della visita a Cagliari ha conquistato e commosso i sardi che sono accorsi in 150mila per sentire le sue parole. E nell’omelia a Bonaria ha lanciato un forte appello all’Italia: «Servono nuovi politici cattolici».

© Copyright La Nuova Sardegna, 8 settembre 2008

La piazza dei Centomila troppo stretta

Scalinate invase, assedio ai maxischermi
La messa del Papa seguita anche dal mare


di Umberto Aime

CAGLIARI.

Ecce, Sardinia. Festosa, fedelissima, colorata, forte e fresca nonostante i trentacinque gradi Celsius. Pazienza, santa pazienza: è una domenica speciale.
C’è Sua Santità. Ospite di un’isola musicale, chiassosa, presente, partecipe, multiprovinciale. È stato così dall’alba al tramonto.
La Piazza dei Centomila è stretta, per una delegazione oceanica. Le strade percorse dal corteo lo saranno ancora di più. Eccola, la Sardegna. Nel raso e nell’orbace, indossato con silenziosa sofferenza da chi sulle scalinate impersona le origini di un popolo devoto alla “sposa per eccellenza”, la Madonna di Bonaria.
Ecce, Sardinia, Mater Tua: è l’incisione sulla magnifica Isola d’argento voluta dai Custodi di Maria, i padri mercerdari: sarà il primo dono in terra di Sardegna per Papa Ratzinger. Ecce, Sardinia, questa è l’unica certezza, cerimoniale a parte, imposto con cristiana autorità da coreografi porporati da tre giorni in missione dal Vaticano. Il resto della sceneggiatura è e sarà scritto a braccio, a voce, con gli occhi, con lo sventolio di bandiere multicolori (da brivido l’intreccio tra un Tricolore, il bianco-giallo della Città oltre Tevere e i Quattro Mori), striscioni, cartelli e lenzuola dalla folla in piazza, dalla gente addossata alle transenne, il più vicino possibile alla stupefacente papamobile. Una sceneggiatura spontanea per i fedeli presenti la mattina e nel pomeriggio. Mai comparse, ognuno di quei centocinquantamila volti è e sarà un prim’attore. Dall’alba al tramonto ciascuno avrà parte e ruolo da protagonista nell’anfiteatro naturale ai piedi della Basilica, sfruttato stavolta al contrario. L’altare è nel punto più alto della Scalinata, domina il Golfo degli Angeli e la gente. Tanta, tantissima gente. Seduta, in piedi, inginocchiata sugli scalini, sull’asfalto di viale Diaz, sullo sterrato della pineta e in assedio sotto i maxischermi, appostata sulle terrazze, dovunque.
Persino alla fonda del porticciolo di Su Siccu: censiti a mezzogiorno quattro fuoribordo, due vele e cinque pescherecci. Sui vari ponti brillano le lenti di cannocchiali che passano veloci di mano in mano tra gli equipaggi: è questo lo spettacolo che arriva dal mare.
C’è ordine e confusione allo stesso tempo, ci sono solo posti assegnati e altri improbabili da prevedere prima. Nove pellegrini hanno scelto gli alberi: sono aggrappati, certo spericolati ma per sessanta minuti di sicuro in prima fila. Ogni frammento della Piazza non ha solo colori diversi - in un alternarsi di pennellate gialle, bianche, viola e azzurro, con molte altre tinte forti e tantissime mezze tinte - ma anche suoni opposti. Quelli più musicali arrivano da sotto il gazebo del coro, delle launeddas e dell’organo: note e voci intrecciate nelle ore delle prove, sublimi al momento della celebrazione. Altro vociare, nell’attesa, rimbomba nella Tenda del Dolore, dove angeli custodi straordinari e instancabili spingono carrozzelle e lettighe, sostengono a braccia i sofferenti, respingono decisi ogni emergenza del momento (e sono tante) con sicure catene di solidarietà. È un’immagine comune per chi viaggia da anni alla volta di Lourdes, sempre emozionante quand’è dal vivo: «Questo è il senso della fede», per Marco Angius e altri volontari in maglietta gialla o bianca, le crocerossine, i portantini dell’Oftal, gli organizzatori dei viaggi della speranza e della fede a Lourdes. C’è un lembo del “Regno di Dio” in ogni quadrato del parterre al di là della scalinata: a sinistra dell’altare i Cavalieri di Malta e altri cavalieri dalle croci rosso sangue su fondo nero. Poi le associazioni di preghiera, i rappresentanti delle comunità sociali, che hanno appuntato su fazzolettoni bianchi e gialli, su giacche e abiti un lasciapassare che appare retrò nell’intestazione verdolina: pellegrino. Non è così che va letto, per molti di questi fedeli è stato davvero un pellegrinaggio: sono arrivati di prima mattina a a Cagliari su mille autobus e venti treni straordinari. Partiti da Sassari, dall’Ogliastra, dalla Gallura, dalla Barbagia e dalla più vicina Oristano, eccoli adesso in Piazza.
«Sono gli uomini, le donne e i figli di Sardegna», come dirà l’arcivescovo monsignor Giuseppe Mani al Papa: «Sono qui, Santità, per consegnarvi la fede di chi vive in un Regno disegnato da Nostro Signore con generosità: il cielo dalle volte azzurre, le pareti bianco scintillante delle spiagge, le trasparenze del mare che è il pavimento della casa di Sardegna». E i colori ritornano a mischiarsi sulla scalinata, dove la prima a salire - come impone il cerimoniale - è una famiglia cagliaritana.
È la sintesi di quello che Benedetto XVI vuole dal suo Popolo: il padre ha in braccio il più piccolo di sei figli, la madre tiene a bada, con lo sguardo, gli altri cinque. Davanti al successore di Pietro, s’inchina quella famiglia-quercia che il Papa ha sempre invocato come unica barriera contro i pericoli del disfacimento del nucleo storico del Credo. La “micro-cellula” del Dna della fede avanza forte e compatta nel momento dell’offertorio, per donare il vino. Subito dopo gli operai, caschetto bianco e tuta grigia, con il pane: frutto della fatica e del lavoro, che Benedetto XVI invocherà nell’omelia applaudita per ben ventotto volte a scena aperta. Applaudita senza che fosse necessario un capo-claque: ogni battimani è stato spontaneo, ogni incitamento scandito dai papaboys spinto solo dal cuore e dall’entusiasmo. Su quei volti giovani la solennità del momento è stata sempre forte, ortodossa: tanto che Carmela Cois non ha incertezze nel riprendere, seria e decisa, chi osa fumare a un passo da lei, ritirato sotto un albero defilato del giardino pensile ai piedi della Basilica: «La prego, siamo in cerimonia», con il “peccatore” costretto al pentimento, all’ammenda e alla sigaretta appena accesa schiacciata immediatamente sotto il tacco. Nelle sei ore - dalle sette alle tredici - vissute in Piazza di siparietti come questo è zeppo qualunque Moleskine che si rispetti. Come farsi sfuggire lo sguardo fiero del cappellano della Brigata Sassari, quello che sul sagrato della chiesa di Selargius cantava a gran voce «Dimonios», all’uscita del feretro avvolto nel Tricolore dopo la strage di Nassyria. È stato il cappellano, insieme ad altri due sacerdoti, a chiedere e avere dal Papa la benedizione della prima pietra di due chiese, a Capoterra e Muravera, e una statua da costruire in onore di chi è morto, in Tempi Moderni, con indosso la divisa. È da immortalare anche lo sguardo di un bimbo-scout incantato nel vedere Benedetto XVI spegnere, con un soffio leggero, la pagliuzza-fiammifero che gli è stata passata per accendere il nuovo cero del Centenario nella mano destra della Madonna arrivata dal mare nel 1370 e cent’anni fa proclamata patrona massima della Sardegna. E nell’attimo del soffio tra quel bimbo incantato dal pennacchio accennato del fiammifero spento e Sua Santità sfugge al cerimoniale uno sguardo d’intesa: sincero e affettuoso.

© Copyright La Nuova Sardegna, 8 settembre 2008

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