18 settembre 2008
Zio Berlicche scrive a Malacoda: "Per noi diavoli Ratzinger è un guaio" (Tempi)
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Per noi diavoli Ratzinger è un guaio
di Berlicche
Mio caro Malacoda, ovviamente ti sarai perso il discorso di Benedetto XVI al College des Bernardins a Parigi, quello scambiato per una lectio agli intellettuali, mentre era, se lo leggerai attentamente, rivolto soprattutto al popolo di Dio e ai suoi pastori.
Io ti ho detto di marcarlo stretto questo Papa, ma tu non mi dai retta. Cos’ha detto Joseph Ratzinger di così nocivo per noi? Non che l’Europa deve inserire nella sua Costituzione i valori cristiani su cui si è fondata, ma – affermazione molto più pericolosa – che la sua radice è di natura religiosa, tutto discende dal “quaerere Deum” cui si dedicarono i monaci senza «l’intenzione di creare una nuova cultura e nemmeno di conservare una cultura del passato». Non è opera da intellettuali.
Ma è «a causa di questa ricerca» che diventarono importanti le scienze, le lettere e il lavoro, «la ragione e l’erudizione». E se lo sviluppo della ricerca è conseguenza della preghiera (“ora”) ogni presunta opposizione tra Chiesa e scienza va a farsi benedire. Ma c’è di peggio, ed è la vicenda del canto. Dopo quarant’anni in cui la musica era assurta a simbolo del ribellismo o del disimpegno il vecchio teologo pretende di occupare anche questo territorio. Ricordo un prete che per spiegare la creazione diceva: «Dio era molto felice, così felice che si mise a cantare. Il creato è questo suo canto». Credevo fosse una sua fissa, ora dal pulpito più alto sento ribadire che è essenziale per un uomo e per una civiltà «riconoscere attentamente con gli orecchi del cuore le leggi intrinseche della musica della stessa creazione», pena il cadere nella «zona della dissimilitudine», smarrire se stessi. C’è chi individuò il tarlo della società occidentale nella “crisi del cappello” (gli uomini non lo portano più e quindi non salutano più con deferenza – togliendoselo appunto – i loro simili), ma era un sociologo, ben più serio è se un Papa dice che il vulnus del cristianesimo è la crisi del canto.
È la morte del moralismo (e di tutta la rendita che ha significato per noi). Con la fine dell’eticismo imperante, da questo discorso potrebbe discendere anche il tramonto della Parola come idolo. La Parola – dice Ratzinger – è cosa troppo importante per essere ridotta a regola, la Parola di Dio è rapporto, quindi «legame e libertà», «ci raggiunge soltanto attraverso la parola umana… attraverso gli uomini… e la loro storia». Per questo «il cristianesimo non è semplicemente una religione del libro».
Capisco che il professor Schiavone (vedi Repubblica del 15 settembre) si entusiasmi e cerchi di approfittarne: il Papa ha detto che «tutto è storia».
In realtà ha detto che «questa Parola crea la storia», «continua a lavorare nella storia e sulla storia degli uomini» dato che «in Cristo Dio entra come persona nel lavoro faticoso della storia». La conseguenza è quindi che la storia non è più autonoma (se mai lo è stata), non può censurare questo attore che opera al suo interno, perché «il fatto del Logos presente in mezzo a noi, è ragionevole». Infine, visto che di storia si parla, il giudizio storico che stronca le nostre velleità: l’Europa oggi è come il mondo greco-romano ai tempi di san Paolo, nel suo disordinato cammino a tentoni cerca il “Grande Sconosciuto”, nel cuore del suo dimenarsi e del suo bestemmiare «è nascosta e presente la domanda circa il Dio ignoto». Hai presente il guaio per noi se qualcuno si alza nelle accademie, nelle università, nelle chiese e (non come citazione) dicesse: «Io ve lo annuncio»?
Tuo affezionatissimo zio
Berlicche
© Copyright Tempi, 17 settembre 2008
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2 commenti:
Ciao Raffaella,
su Settimo cielo di oggi:
http://magister.blogautore.espresso.repubblica.it/2008/09/17/tema-lo-studente-riassuma-in-venti-righe-la-lezione-del-professor-ratzinger/
Alessia
Grazie Alessia :-)
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