21 ottobre 2008

Esce oggi il libro-intervista «Perché credo»: Andrea Tornielli a colloquio con Vittorio Messori (Brambilla e Sacchi)


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«Perché credo»

Tutti i particolari di una conversione maturata in età adulta. Una conversione che ha ispirato una ricerca religiosa lunga e fruttuosa: Vittorio Messori, uno dei più noti scrittori cattolici, racconta la sua scelta di vivere secondo i principi del Vangelo nel libro-intervista con Andrea Tornielli «Perché credo» (Piemme, pagg. 430, euro 20; in libreria da oggi).
Una storia insolita, in fondo drammatica, quella della sua conversione, che Messori descrive per la prima volta, svelandone i particolari. Il libro costituisce, tra l’altro, una replica ai pamphlet che accusano di ignoranza o scarsa intelligenza chi abbia ancora il coraggio di dirsi credente.

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«Dopo 40 anni vi racconto l’incontro soprannaturale

di Michele Brambilla

Da oggi è in libreria «Perché credo», la lunga intervista che Andrea Tornielli ha fatto a Vittorio Messori.
I due autori del volume sono noti anzi arcinoti. Tornielli è il nostro vaticanista e ha pubblicato un’infinità di libri (una mole di lavoro che ha ormai convinto tutti noi, qui in redazione, dell’esistenza di più Tornielli, creati in serie con una sorta di clonazione ante litteram) di libri, dicevo, che in alcuni casi hanno riaperto il dibattito sulla storia della Chiesa. Tanto per fare un esempio: nei giorni scorsi nientemeno che Benedetto XVI, e nientemeno che durante una messa, ha citato un libro di Andrea su Pio XII.
Quanto a Vittorio Messori, per lui parlano le milioni di copie vendute in tutto il mondo, a partire da Ipotesi su Gesù, uscito alla metà degli anni Settanta. Messori, se stabilisce un record, s’incarica poi anche di batterlo: fino a tre anni fa era l’unico giornalista della storia ad aver scritto un libro-intervista con un Papa (Wojtyla); poi nel 2005 è diventato Papa Ratzinger, e siccome Messori aveva fatto un libro-intervista anche con lui una ventina di anni prima, è diventato di colpo l’unico ad aver scritto due libri-intervista con due papi. Un primato che probabilmente resisterà fino alla fine dei tempi.
Da un binomio del genere, Tornielli-Messori, non poteva che uscire un grande libro, quale in effetti Perché credo è. Sono più di quattrocento pagine nelle quali Messori offre una specie di summa degli studi e dell’esperienza di tutta una vita, la sua: una vita spesa a rendere «ragione della fede», come è scritto nel sottotitolo. Questa è stata la principale grandezza di Messori: far capire a un mondo ormai dominato dal razionalismo che credere nel Vangelo è tutt’altro che irragionevole, anzi.
Mi rendo conto di aver scritto «è stata» come se Messori non ci fosse più. Per fortuna è ancora fra noi, in salute e con tante altre cose da dire. Se ne ho parlato al passato è perché sono condizionato da quanto lui stesso mi ha detto presentandomi questo libro: «È una sorta di testamento. Ho tirato le somme». E forse proprio perché la considera «definitiva», Messori ha inserito in quest’opera la rivelazione di un suo segreto. Anzi, del suo segreto.
C’è uno scoop, dunque, in queste pagine. Arrivato a 67 anni, Messori racconta per la prima volta che cosa c’è all’origine della sua conversione, avvenuta quando di anni ne aveva ventitrè. Non un ragionamento, non una convinzione intellettuale, non la somma di studi e neppure un atto di generosità. C’è stata, invece, un’esperienza mistica. Non so quanti conoscano il libro Dio esiste, io l’ho incontrato di André Frossard (credo parecchi, almeno fra i cattolici): ecco, si tratta di una cosa molto simile.
Frossard (1915-1999) era figlio del segretario del Partito comunista francese. Famiglia ultra-atea. E non solo ateo, ma anche del tutto spensierato era il giovane André, nel cui orizzonte trovavano spazio solo il giornalismo e le ragazze. L’8 luglio del 1935 il ventenne Frossard aveva un appuntamento con un amico a Parigi. Questi tardava. Per ingannare il tempo, Frossard entrò nell’unico locale nei paraggi: una minuscola cappella. Quel che accadde è difficilmente descrivibile a parole perché trascende i nostri sensi. Sta di fatto che da quella cappella in cui era entrato ateo, Frossard uscì, pochi minuti dopo, con una fede d’acciaio, che non lo avrebbe mai più abbandonato, neanche nei momenti della prova più dura: «Per due volte», raccontò ormai anziano, «ho dovuto accompagnare un figlio al cimitero. Ma non avrei potuto ribellarmi, sapendo che non avrei potuto dubitare». Solo passata la sessantina, Frossard svelò il mistero di quell’Incontro: ormai era affermato e famoso, non aveva bisogno di pubblicità; e aveva accumulato sufficienti anni di vita «normale» per non passar per matto.
Messori ha fatto lo stesso. Ha aspettato di essere il più famoso scrittore cattolico italiano (e forse del mondo) e di essere ormai al sicuro da sospetti di follia o più semplicemente di creduloneria. Quindi ha raccontato quel che gli accadde l’estate del 1964, a Torino, al tempo in cui era, di giorno, studente universitario e, di notte, centralinista alla Stipel. Anni intensi di studio e lavoro, ma anche e soprattutto anni beati, di spensieratezza, di libertinaggio, di grandi progetti per il futuro.
Figlio di genitori atei o perlomeno anti-clericali, il giovane Messori non aveva mai sentito parlare, in casa, di parrocchie di Madonne e di santi. Men che meno ne aveva sentito parlare dai suoi laicissimi professori universitari, i Bobbio, i Galante Garrone. «Gramsci-Gobetti», questo era il suo Pantheon.
Fu quindi per un puro, imprevedibile caso che un giorno d’estate di quel 1964 prese in mano un Vangelo. E fu in quel momento che il mistero gli si manifestò come si era manifestato a Frossard: la stessa sensazione, anzi la stessa certezza, che Dio c’è, e che c’è un altro mondo, retto da un ordine supremo, un mondo reale, così reale che il nostro al confronto appare per quello che è, un’ombra destinata a dissolversi.
Anche qui le parole non bastano, e poi non voglio togliere al lettore il gusto della scoperta. La rivelazione del segreto di Messori è diluita nel libro in più punti, ogni tanto ritorna, riappare, ricrea stupore e speranza in chi legge. Tutta l’opera di questo scrittore si rivela ai suoi fedeli lettori in un’ottica diversa: Messori non è colui che avevamo sempre pensato, cioè uno che crede grazie alla ragione. No, Messori è uno che non ha bisogno né di ragionare né di credere: è uno che sa. La ragione gli è servita per approfondire, per conoscere tutto il contorno di quel mistero: e per comunicare agli altri, in via ordinaria, la Notizia che ha ricevuto in via straordinaria.
Come sempre in questi casi, si può credere o non credere. Per quel che vale la mia testimonianza dico questo: quando ho un dubbio di fede, e ne ho tanti anzi tantissimi, mi attacco a lui. Non ho mai avuto l’impressione che recitasse, fosse pure per il nobile scopo di rasserenare il prossimo. Mi ha sempre detto: «Se mi ordinassero di abiurare puntandomi una pistola alla tempia, non abiurerei. Ma non per eroismo. Semplicemente perché non posso abiurare. Sono inchiodato dall’evidenza».
Dieci anni fa andai a trovarlo prima di un intervento chirurgico nel corso del quale avrebbe potuto lasciare la pelle. Era tranquillo, anzi beato come un bimbo svezzato in braccio a sua madre: «So che se dovessi morire, un istante dopo avrei a che fare con un certo Gesù di Nazareth. Non temo la morte, semmai temo il giudizio». Gli ho risposto: Vittorio, se temi l’inferno tu che da una vita difendi la Causa, non oso immaginare dove finiremo tutti noi. «Ma io non sono un santo e non ho vissuto da santo», mi ha detto. «Della mia fede non ho alcun merito. Mi è stata data una grazia speciale. E a chi tanto ha ricevuto, tanto sarà richiesto. Per questo temo il giudizio. Se Dio ci giudica secondo le nostre opere, siamo fregati caro mio. Dobbiamo confidare nella Sua ingiustizia».

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La folle normalità dei mistici quando la visione di Dio spalanca le porte della Verità

di Matteo Sacchi

La percezione del divino senza mediazioni, improvvisa e sconvolgente. La percezione del divino, come dono dall’alto che non ammette replica, che spesso fa paura a chi la riceve.
Nel cristianesimo sono tante le storie, ma verrebbe da dire avventure, caratterizzate dall’improvviso esplodere nella realtà sensibile di quell’«altro», ineffabile eppure vero. Quell’«altro» così impossibile da descrivere a parole che fa dire a Dante, all’inizio del Paradiso: «Trasumanar significar per verba non si poria...». E il mistico, colui che è toccato da questa esperienza diversa, fatica a raccontarla, a essere capito o accettato. Chi ragiona di fede, chi dice di avere delle convinzioni, delle speranze è sempre accettabile. Chi dice di aver sentito o toccato il trascendente, soprattutto se dopo una vita laica, spaventa. Non è un soggetto mediabile, impone all’attenzione qualcosa di non è riconducibile ai canoni della fisica. È qualcuno che contesta apertamente la solitudine (triste) della materia. Così tra gli estremi clamorosi, tra i santi: Francesco d’Assisi, uomo non riducibile al suo tempo. Lo erano la carità, il diventare frate, persino il dar via i propri averi. Ma dire di sentire la voce di Dio, di sentirla davvero - «Francesco, va’ e ripara la mia casa...» - era qualcosa che scioccava, allora come oggi, che spingeva e spinge a dire, quasi per autodifesa: «Perché proprio tu? Non è vero».
Come nella vita di Paolo di Tarso, il punto di rottura è un’apparizione. Paolo non cambia idea sul perseguitare i cristiani, non legge un libro, non viene convinto da una discussione. Viene fermato dalla voce di Cristo. C’è un momento della sua vita che è “altro” dalla normalità, da qualunque conversione fatta di dialettica. Ma il mistico non è per forza il santo, il Padre della chiesa. Ci sono mistici contemporanei la cui vita è vita “normale” ma animata da una consapevolezza diversa: la consapevolezza di chi non ha dubbi perché sostiene di aver «materialmente» (parola sbagliata che rende l’idea) incontrato qualcuno che non è di questa terra. Come l’André Frossard citato in questa pagina da Michele Brambilla. Quel Frossard che si ricorda travolto da qualcosa che «era una luce spirituale... era quasi la verità allo stato incandescente». Ma i nomi potrebbero essere tanti: il trappista americano Thomas Merton o il discusso gesuita Pierre Teilhard de Chardin... Il mistico, ancora di più nella sua attualità diventa pietra di paragone. La sua «santa follia» costringe a riflettere credenti e non credenti. Perché chi sente di aver messo un piede in questa realtà vera, di norma non contesta i materialisti, li lascia fare, gli sembra che parlino d’ombre. Ma è proprio su questo che si misura anche la laicità, perché chi è laico davvero non ha paura che esista qualcosa d’altro. Quell’altro non lo vede, ma se lo vedesse l’avvicinerebbe con un sorriso.

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2 commenti:

mariateresa ha detto...

buongiorno cara. Vado come un missile a comprare il libro. Voglio bene a Messori e voglio bene a Tornielli.
Oggi sono occupatissima ma trovo il tempo di segnalarti un articolo di Valli sull'omelia del nostro Benedetto su Europa. Io non ho accesso al giornale, ma delle poche righe visibili si capisce che Valli difende il papa.Quindi, piuttosto stupita, te lo segnalo.
Ho sentito da una rassegna stampa radiofonica che alcuni se la prendono con chi se la prende coi giornalisti (sempre dopo Pompei). Scusate se sono vaga, ma nel frattempo facevo tremila altre cose. Ecco questo vittimismo dei giornalisti mi fa venire vari disturbi biliari. Sono sempre lì a difendere l'onor perduto e minacciato come vergini offese.
Per quello che mi riguarda la loro credibilità è molto bassa, prossima allo zero e non solo per l'atteggiamento verso Benedetto , ma per tutto quello che trattano, anche i fatti di cronaca. Sono conformisti e superficiali in un modo che mi dà la nausea.
Buona giornata a tutti .

Luisa ha detto...

Ê vero Mariateresa uscendo dal campo religioso, io che guardo la televisione francese, svizzera e italiana, posso dire che la tv italiana è particolarmente, come dire, particolare. A parte le donne mezze nude dappertutto, i reality show... è impressionante vedere il posto dato ai fatti di cronaca e l`enfasi con i quali sono trattati, mi sono spessa domandata e mi domando a che livello si trova la coscienza del giornalista.
Notate bene che la mancanza di oggettività del giornalista, reporter non è una particolarità italiana, ho ancora in mente i servizi dei nostri cari inviati speciali , francesi e svizzeri, che hanno seguito i viaggi del Papa negli Stati Uniti, in Brasile o in Francia.
Dei capolavori di soggettività, di storia ricostruita attraverso il filtro delle ideologie personali del giornalista.
Dovrei farci il callo (si dice?) ma non ci riesco. Sono ogni volta indignata.
Giornalisti che hanno i loro articoli già precotti, li passano un minutino al forno e ce li servono belli caldi.
Il Papa a Napoli doveva parlare della camorra, così hanno deciso i giornalisti, il loro articolo era già bello e pronto, forse in due versioni, o forse già pronto tout court, se avevano il testo sotto embargo.
E questo è giornalismo.Quello che il Papa ha detto...nesuna importanza...non ha detto quello che doveva dire!
Mah, e i poverini si lamentano anche!