16 ottobre 2008
Trent'anni fa l'elezione di Giovanni Paolo II (Radio Vaticana)
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Trent'anni fa l'elezione di Giovanni Paolo II
Il 1978, l'anno dei tre Papi”, visse il suo ultimo atto il 16 ottobre con l’elezione di Giovanni Paolo II. In tutto il mondo celebrazioni e manifestazioni sono all’ordine del giorno per ricordare quell’avvenimento. Nel pomeriggio, alle 17.30, in Aula Paolo VI, Benedetto XVI assisterà alla proiezione del film “Testimonianza” tratto dal libro “Una vita con Karol” del cardinale arcivescovo di Cracovia, Stanislaw Dziwisz, e dello scrittore Gian Franco Svidercoschi. Lo stesso cardinale Dziwisz - per 27 anni anni segretario di Papa Wojtyla - celebra questa mattina alle 11 una Messa commemorativa nella Basilica di San Pietro. Molto si è detto e si è rievocato delle qualità umane e spirituali che hanno reso amato e indimenticato il Pontefice polacco nel mondo. Ma già negli esordi del suo ministero petrino è possibile rintracciare in germoglio le tematiche portanti del suo magistero. Un magistero intriso di amore verso la Chiesa e verso l’uomo e accompagnato - specie agli inizi - da capacità comunicative non comuni. Su questi aspetti in particolare riflette, nel suo servizio, Alessandro De Carolis:
Ci ha lasciati aggrappato alla croce della sua infermità e in un silenzio svuotato di ogni possibilità di comunicare. Ma c’è stato un tempo in cui la sua voce echeggiava con decisione per annunciare il volto di Cristo e denunciare le facce del male - voce baritonale, capace di misura o di tuono, amichevole o grave - e c’è stato uno spazio che il suo dinamismo ha dominato per intero, perché il suo modo di intendere la propria missione coincideva con i “confini della terra”. Giovanni Paolo II si è spento il 2 aprile di tre anni fa come una piccola fiamma, ma la gente in Piazza San Pietro o davanti al televisore il 16 ottobre di 30 anni fa ebbe subito modo di saggiarne il fuoco che avrebbe contraddistinto a lungo il suo lungo Pontificato.
Un fuoco di voce e di idee, di tonalità e valori, il cui ricordo tende via via a sbiadire nella memoria soppiantato da memorie più recenti, sofferte, atone. Noi vorremmo allora ricordare in questa rievocazione il Karol Wojtyla dei primi mesi al Soglio di Pietro, seguendolo nella straordinaria normalità che caratterizza la giornata di un Papa: nei suoi incontri con la gente, nel suo insegnare il Vangelo ad ogni categoria umana, riascoltando passi di alcuni dei suoi discorsi più ordinari e per questo tralasciati dalle retrospettive biografiche ormai consolidate - e spesso un po’ ripetitive - che lo riguardano.
Era Papa da tre mesi e di lì poco, raggiungendo il Messico e Puebla, avrebbe lasciato nel cronache della Chiesa e del mondo il primo, forte, segno della sua caratura apostolica. Ma già nella saletta dell’aeroporto di Fiumicino, prima della partenza, Giovanni Paolo II, parlando ai cronisti, mostra di aver chiara una sua visione della contingenza storica. La Guerra fredda è ancora lungi dal restare seppellita dalle macerie del Muro, il pianeta diviso in blocchi si muove tra paure e diffidenza. E tuttavia, il giovane Papa sa che c’è un valore più grande delle ideologie o delle convenienze politiche sul quale deve puntare, come lui fa, chi ha veramente a cuore il presente e il futuro dell’umanità. E’ il 25 gennaio 1979:
“Certamente, la situazione globale del mondo contemporaneo, dei diversi continenti, sistemi, non è una situazione facile, è piuttosto complicata. Ma, d’altra parte, io vorrei essere ottimista, perché quello che è buono nella mente umana e nel cuore umano potrà vincere. E’ dovere della Chiesa, è mio dovere, aiutare quello che è buono nella mente umana, nel cuore umano, per vincere il male”.
Quello di Puebla fu un intervento di “tuono”. Ma già prima e dopo il Natale del ’78, il giovane Pontefice aveva dato voce ad altri capitoli centrali del suo magistero imperniato sull’“uomo”. A cominciare dall’uomo non nato e dunque impossibilitato a difendersi in caso di abuso. Il 28 dicembre 1978 si rivolge così a chi, tra le corsie di un ospedale, cerca di coniugare fede e professionalità:
“Il servizio alla vita deve vedere impegnati, con generoso entusiasmo, soprattutto i medici cattolici, i quali nella loro fede in Dio creatore, di cui l’uomo è immagine, e nel mistero del Verbo eterno disceso dal cielo nella fragile carne di un bimbo indifeso, trovano una nuova e più alta ragione di dedizione solerte alla cura amorevole e alla tutela disinteressata di ogni fratello, specialmente se piccolo, povero, inerme, minacciato”.
E’ questa la misura della fede per il Papa “venuto da lontano”. Un uomo e un sacerdote abituato in patria a difendere lottando quei valori che i cristiani al di qua della Cortina vivevano con una naturalezza spesso intrisa di superficialità. Una difesa concreta, lucida, come dimostra parlando di giustizia sociale nell’udienza a un gruppo di lavoratori cristiani. E’ il 9 dicembre 1978 e le considerazioni sono di scottante attualità anche 30 anni dopo:
“Mi appello alla coscienza di tutti, ai datori di lavoro e ai lavoratori. I diritti e i doveri sono da entrambe le parti e, perché la società possa mantenersi nell’equilibrio della pace e del benessere comune, è necessario l’impegno di tutti per combattere e vincere l’egoismo. Impresa certo difficile, ma il cristiano deve farsi uno scrupolo di essere giusto in tutto e con tutti, sia nel remunerare e nel proteggere il lavoro, sia nello spendere le proprie forze. Egli, infatti, dev’essere un testimone di Cristo dappertutto, e perciò anche sul lavoro”.
Il neoleletto Papa aveva un’abitudine durante le sue prime udienze generali. Quella di rivolgersi con un discorso solo ai giovani. Era un momento sempre vivo, pulsante, ai margini del protocollo. Il Papa delle future GMG aveva già trovato una sintonia con le generazioni più verdi della Chiesa, forte di una spontaneità che si accordava istintivamente con quella dei ragazzi che lo attorniavano. Eccone un esempio: siamo nella Basilica Vaticana, è mercoledì 20 dicembre 1978:
“Il Papa, che rappresenta la giovinezza di Cristo e della Chiesa, è sempre lieto d’incontrarsi con coloro che sono l’espressione della giovinezza della vita e dell’umanità! C’è tra noi, dunque, un’affinità di spirito; si afferma quasi un’esigenza di trattenerci come tra veri amici; si ravvisa un gusto di comunicare gioie, speranze, ideali”.
Questa energia aveva una radice e una linfa ben più profonde di una età insolitamente giovane per il ruolo e ancor meglio portata rispetto a quanto certificato dall’anagrafe. La radice di una fede temperata per anni da un contesto sociale e politico - quello polacco - che richiedeva ai cristiani la dote del coraggio, e la linfa di una quotidiana, intensa preghiera. Non è un caso se 13 giorni dopo essere stato eletto Papa, la prima uscita da Roma di Giovanni Paolo II sia verso un Santuario, quello della Mentorella, vicino Tivoli. In 20 mila lo acclamano e lui spiega così il valore della preghiera:
“La Chiesa prega e vuole pregare per rispondere ai bisogni del profondo dell’uomo, che talvolta è così ristretto e limitato dalle condizioni delle contingenze della vita quotidiana, da tutto ciò che è temporaneo, dalla debolezza, dal peccato, dall’abbattimento e da una vita che appare senza senso. La preghiera dà un senso a tutta la vita, in ogni suo momento, in ogni circostanza”.
Come chi la pronunciò, anche questa convinzione arriva da lontano. E risuona, tuttora, nonostante il fuoco di quella voce si sia spento come una piccola fiamma in una sera di aprile, per rimanere eco indimenticata in tanti cuori.
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