7 novembre 2007
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Luigi Accattoli
CITTÀ DEL VATICANO — Il mantello bianco e oro sulla tunica blu rendeva quasi familiare allo stile vaticano l'immagine di re Abdallah dell'Arabia Saudita che ieri entrava nella biblioteca privata del Papa poco dopo mezzogiorno, eppure era un evento del tutto straordinario: mai un re saudita era stato ricevuto da un Papa e le posizioni tra le due autorità — su tanti argomenti — non potrebbero essere tuttora più diverse.
L'incontro va letto nella sua straordinarietà protocollare e nel contesto della missione europea di re Abdallah che è già stato a Londra (accolto con molte polemiche) e a Ginevra e che ha in programma la Germania e la Turchia per sostenere i diritti dei palestinesi in vista della conferenza di Annapolis convocata dal presidente Bush. Visto in quella straordinarietà e in questo contesto acquistano pregnanza le sobrie affermazioni del comunicato vaticano, che auspica «una giusta soluzione» al conflitto fra israeliani e palestinesi e accenna alla «presenza positiva e operosa dei cristiani» in Arabia Saudita, dopo aver dato il massimo rilievo al «valore della collaborazione tra cristiani, musulmani ed ebrei».
Il colloquio è durato 30 minuti. Abdallah, che ha 84 anni, aveva già incontrato Giovanni Paolo in Vaticano nel maggio del 1999, ma allora era solo viceministro della Difesa e comandante della Guardia nazionale, oltre che principe ereditario. L'incontro del Papa con il massimo responsabile di un paese che più volte le autorità vaticane hanno additato come prototipo di intolleranza religiosa era stato preparato dalla visita il 6 settembre scorso del ministro degli Esteri principe Saud Al Faisal, che già era stato ricevuto in tre occasioni da papa Wojtyla.
Il comunicato vaticano informa che «i colloqui» con il Papa e successivamente con il cardinale segretario di Stato Tarcisio Bertone «si sono svolti in un clima di cordialità » e in essi «si sono ribaditi l'impegno in favore del dialogo interculturale ed interreligioso, finalizzato alla pacifica e fruttuosa convivenza tra uomini e popoli, e il valore della collaborazione tra cristiani, musulmani ed ebrei per la promozione della pace, della giustizia e dei valori spirituali e morali, specialmente a sostegno della famiglia».
E' evidente la prudenza del linguaggio che sembra collocare l'incontro in una sfera interreligiosa più che politica. Prudentissimo è poi l'accenno alla condizione di totale illibertà in cui si trova la minoranza cristiana in Arabia Saudita: «Nell'augurio di prosperità a tutti gli abitanti del Paese da parte delle autorità vaticane, si è fatto menzione della presenza positiva e operosa dei cristiani».
Sembra un cedimento e invece è già qualcosa — spiegano in Vaticano — che si sia potuto fare questo accenno in occasione dell'incontro con il massimo esponente del più teocratico degli Stati islamici dove non è possibile costruire neanche una cappella privata e dove non si può introdurre una Bibbia.
Appena più concreto — nel comunicato — risulta lo «scambio di idee» sul Medio Oriente e sulla «necessità di trovare una giusta soluzione ai conflitti che travagliano la regione, in particolare quello israeliano-palestinese». Eppure sul Medio Oriente la posizione vaticana e quella saudita sono vicine. Ma quello di ieri doveva restare come un primo incontro, qualcosa come un gesto di vicendevole apertura che trova in se stesso la sua giustificazione. Un commento di «soddisfazione» per l'incontro è venuto dal portavoce del segretario generale dell'Onu Ban Ki-moon, che— da New York — ne ha posto in luce l'«importanza come momento di confronto tra Cristianesimo e Islam».
© Copyright Corriere della sera, 7 novembre 2007
I DONI
Spada, palma, cammello
ROMA — I simboli della vita (la palma e il cammello) e della forza morale (la spada). E' questo il significato, nell'Islam e nella cultura mediorientale, dei doni consegnati a Benedetto XVI da re Abdallah. Spiega Yahya Palavicini, iman e vicepresidente della Coreis, la comunità religiosa islamica: «L'uomo nel deserto sopravvive grazie alla palma e al cammello, anzi la palma è l'albero sacro per eccellenza».
Secondo l'esponente della Coreis, «la spada è insieme il simbolo di uno strumento di forza e di bellezza, non è usata per compiere violenza».
© Copyright Corriere della sera, 7 novembre 2007
RUSSO SPENA
«Ma in Arabia lo stato di diritto non esiste Quella della sinistra è distrazione colpevole»
Maurizio Caprara
ROMA — «Siamo stati colpevolmente distratti», dice Giovanni Russo Spena, capogruppo dei senatori di Rifondazione comunista, quando gli si domanda come mai il re Abdallah dell'Arabia Saudita è stato contestato la settimana scorsa a Londra da quanti ritengono che il suo regime neghi libertà agli abitanti e ed è stato accolto a Roma con tappeti rossi. «Siamo stati colpevolmente distratti da altri scenari che, ovviamente, ci si sono squadernati davanti in maniera più naturale. Parlo del conflitto israelo-palestinese, del-l'Iraq, dell'Iran», sostiene l'ex segretario di Democrazia proletaria, un pacifista al di sopra di ogni sospetto di cercare scontri di civiltà con l'Islam.
In Arabia Saudita, giorni fa, nel nome della legge è stata mozzata una mano a un egiziano accusato di borseggio. Tra le pene, è prevista la fustigazione. Secondo il rapporto annuale di Amnesty International, persone che avevano criticato il governo «sono state sottoposte a detenzioni prolungate».
Nel centro-sinistra italiano questo rapporto non è stato letto? O l'andamento dell'interscambio sconsiglia di dar peso alle denunce?
«Massima, e lo dico in senso autocritico, è stata la nostra disattenzione. Ho letto quel rapporto e mi sembrano dati agghiaccianti».
Sul regno saudita, basilare per gli equilibri del Medio Oriente, la sinistra italiana ha un giudizio diverso da quello dei liberaldemocratici britannici che hanno evitato contatti con il re?
«No, io non do un giudizio diverso. Lo stato di diritto lì non esiste. Basta guardare come stanno le donne, i lavoratori. C'è una condizione di vera schiavitù della forza di lavoro immigrata, i diritti sindacali sono negati. C'è pure la pena di morte».
Però a Roma non ci sono state manifestazioni.
«Penso che nelle relazioni internazionali la tutela dei diritti umani debba essere un paradigma fondativo. Non deve essere offuscata da ragioni commerciali e militari. Sappiamo quanto conta l'import-export, quali sono gli investimenti sauditi nelle banche occidentali, è noto il tentativo di penetrazione commerciale di imprese europee e americane nella zona. E all'Arabia Saudita è stato affidato un compito militare».
Quale compito?
«Di gendarme dell'area. Gli Usa e altri Paesi occidentali hanno attaccato l'Iraq, il quale, certo, sul piano dei diritti era un regime, ma non molto diverso dall'Arabia Saudita e da altri Stati arabi amici degli Usa».
Se è così, che andrebbe fatto?
«Non ritengo che la questione dei diritti umani vada posta come occasione di caduta dei rapporti diplomatici. Però una pressione diplomatica che possa incidere sulla povera gente il governo italiano la dovrebbe esercitare».
La esercita?
«In altri casi sì. A quanto mi risulta, non mi pare che in questo caso l'abbia esercitata a sufficienza».
© Copyright Corriere della sera, 7 novembre 2007
Ah, caro Russo Spena, in Arabia manca anche la liberta' religiosa...come mai non ne parla?
R.
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