15 gennaio 2008

INTOLLERANZA INSPIEGABILE: L’UNIVERSITÀ È STATA LA CASA DI J. RATZINGER (Tarquinio per "Avvenire")


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INTOLLERANZA INSPIEGABILE

L’UNIVERSITÀ È STATA LA CASA DI J. RATZINGER

MARCO TARQUINIO

La Sapienza si prepara a inaugurare il 705° an­no della sua ricca storia accademica. E, per i­niziativa del rettore Renato Guarini e degli orga­nismi universitari, vuole farlo insieme a Benedet­to XVI, rendendo così onore a se stessa e all’ospi­te: papa e accademico, testimone di fede e pen­satore.

Eppure la Sapienza, nonostante la felice at­tesa di tantissimi, da qui a giovedì rischia di ritro­varsi un po’ più povera. Addirittura umiliata, e pri­gioniera delle logiche della gazzarra e della be­stemmia contro l’intelligenza, sciorinate da una tu­multuosa compagnia di professori-censori e di professionisti dell’antagonismo.

Logiche che non dovrebbero avere corso in una Università, e che in­vece – per quanto ampiamente minoritarie – rie­scono a infestarla. Fino al punto di orchestrare u­na insulsa e insultante campagna contro la presa di parola di un papa nell’Ateneo romano che da un Papa, nel 1303, venne fondato.
E sì, la Sapienza rischia di essere un po’ più pove­ra. Anzi, lo è già adesso.

Adesso che un manipolo di giovani (non tutti suoi frequentatori) si è dato il compito di preparare un 'assedio sonoro' all’in­tervento di papa Benedetto e si gloria di aver pro­posto all’Italia e al mondo una smemorata e in­concepibile idea di Università: luogo di non-pa­rola e di non-ascolto, di non-coraggio e di non-li­bertà.

Adesso che una ses­santina dei suoi 4.500 inse­gnanti si sono autoprocla­mati giudici in un somma­rio processo a un sommo pontefice che si chiama Jo­seph Ratzinger, ed è uno degli intellettuali più im­portanti generati dalla cul­tura europea del nostro tempo, e si ritrovano irri­mediabilmente segnati dal marchio del fanatismo. Marchio che non risparmia di certo gruppuscoli di stu­denti (o presunti tali) dal pregiudizio e dall’intolle­ranza facili, ma che grava assai di più su di loro: docenti e ricercatori che dovrebbero parlare a ra­gion veduta e mossi, sempre, da uno sconfinato amore per la chiarezza e per la profondità.

E che, invece, hanno preso a sentenziare ostracismi ap­pendendosi al chiodo esile e traditore di una cita­zione monca e adulterata.

Sprezzanti della verità – al pari dei cronisti fretto­losi e dei propagandisti in malafede che distorse­ro la splendida 'lectio magistralis' di Ratisbona per ridurla ad argomentazione anti-islamica – han­no tuonato contro il Papa che, da cardinale, a­vrebbe ri-condannato Galileo.

Lo hanno fatto – come s’addice non a studiosi ma a ignoranti – ri­cordando poco e male il ruolo svolto dall’allora prefetto della Congregazione per la dottrina della fede al fianco di Giovanni Paolo II nella piena e solenne 'resa di giustizia' nei confronti del gran­de scienziato cattolico.

E addirittura imputando­gli di aver fatto proprie opinioni sulla 'giustezza' e 'ragionevolezza' del processo contro Galileo che, in realtà, in un testo del 1990, aveva ricorda­to solo per definire 'assurdo' il loro uso.

Si voleva un pretesto per alzare la voce e, soprattutto, un polverone intimidatorio. E lo si è sfrontatamente creato. Facendo tornare a cigolare vecchi catenac­ci ideologici e pretendendo di imporre i lucchetti dell’anticlericalismo. Nell’illusione, si direbbe, di poter erigere una barriera conformista attorno al­l’Accademia e di appostare sui camion di guardia 'vopos' che sparano ondate di suoni contro chi viene, invitato, per incontrare e parlare. Contro il Papa che crede e dimostra, indicando la via del rin­novato incontro tra fede cristiana e ragione, che la città degli uomini – il nostro mondo – va vissuto e amato come casa comune, luogo della costruzio­ne del bene comune secondo una legge comune ra­dicata nella natura e nella coscienza.

Forse è davvero un maldestro sessantottismo di ri­torno. Ma più che al caldo ’68 delle scomode e ir­riverenti curiosità culturali ed esistenziali, la rab­biosa frenesia censoria e antagonista manifesta­tasi in un ben determinato settore della Sapienza e del movimentismo romano contro papa Rat­zinger fa pensare al cupo ’61 di Berlino, ai giorni della vorticosa e raggelante costruzione del padre di tutti i muri, segno incancellabile dell’illibertà e dell’intolleranza.

C’è, lo sappiamo bene, chi oggi si batte strenuamente per alzare reticolati d’in­conciliabilità tra fede e ragione, tra natura e scien­za, tra doveri morali e diritti di libertà. E sogna di far tacere Benedetto XVI, che chiama a riconcilia­re e a ricentrare in Cristo e nell’uomo cultura e so­cietà. Ma la voce del Papa – l’integrità del suo mes­saggio – non si può spezzare. Né, in ogni caso, chiudere di là da un muro.

© Copyright Avvenire, 15 gennaio 2008

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