3 aprile 2008

L'ultimo profeta e l'investitura del suo successore di Giacomo Galeazzi


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Riceviamo e con grande piacere pubblichiamo questo bel commento di Giacomo Galeazzi sul "passaggio di consegne" fra Giovanni Paolo e Benedetto.
Un vivo ringraziamento a Luigi Accattoli, Giacomo Galeazzi, Andrea Tornielli e Marco Tosatti per le riflessioni che ci hanno regalato nei blog e/o sui quotidiani.
In particolare consentitemi di ricambiare con affetto i saluti del signor Accattoli
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Raffaella

L'ultimo profeta e l'investitura del suo successore

di Giacomo Galeazzi*

CITTA' DEL VATICANO - Il terzo anniversario della morte di Karol Wojtyla, per me come per tutti coloro che hanno avuto la grazia di intrecciare la propria formazione o una lunga stagione dell'esistenza con la straordinarietà del suo esempio, è motivo di una riflessione che si tramuta inesorabilmente in intimo diluvio di emozioni e ricordi, pubblici e privati. Piccole vicende personali e circostanze professionali si intrecciano come minuscoli rami all'ombra dell'immenso albero del pontificato di Giovanni Paolo II. Un cammino minore, laterale, sempre con il taccuino in mano, lungo tre lustri trascorsi da umile cronista a seguirlo, ascoltarlo, ammirarlo e riferirne, per quanto fosse nelle mie possibilità, in centinaia di articoli e resoconti per la Rai, il Servizio Informazioni delle Chiese Orientali (Sico) e la Stampa. E anche in un libricino, "L'ultimo profeta", scritto di getto per dare voce al senso di vuoto lasciato dalla scomparsa di Karol il Grande. Un aspetto della sua vita e della sua missione mi ha sempre impressionato: l'estrema lucidità dello sguardo. Una lungimiranza unica che seppe esprimere anche nella scelta dei più stretti collaboratori, a cominciare da quello che poi sarebbe divenuto il suo successore come Vicario di Cristo. "L'amicizia è una virtù o s'accompagna alla virtù", insegna Aristotele.

Per interpretare la gigantesca figura di Giovanni Paolo II considero perciò illuminante il quasi trentennale sodalizio con Joseph Ratzinger. Un lungo rapporto divenuto simbiosi, nato nel primo Conclave del 1978, quello dell'elezione del patriarca di Venezia, Albino Luciani. Un'amicizia granitica, rafforzata dalla straordinaria esperienza in Curia del futuro Benedetto XVI nel ruolo cruciale di Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede. Nessuna commemorazione rende l'idea della grandezza di Giovanni Paolo II quanto le intense parole di colui che ne è stato il braccio destro per oltre un quarto di secolo in Vaticano e poi, provvidenzialmente, il successore sul Soglio di Pietro: "Nel 1978, senza grandi parole, nacque tra noi un'amicizia che veniva proprio dal cuore".
Un ricordo così profondo e toccante da far svanire all'istante ogni menzogna o forzatura sulla discontinuità o addirittura l'antinomia tra i due pontificati. Nel 27esimo anniversario dell'elezione di Karol Wojtyla, rispondendo in italiano alle domande del giornalista polacco Andrzej Majewski, Joseph Ratzinger ha rivelato l'origine del loro connubio ideale e spirituale. Con Karol Wojtyla si conobbero nei due pre-conclavi e Conclavi del 1978: "Avevo sentito molto parlare di lui - racconta Benedetto XVI -; inizialmente ne avevo sentito parlare soprattutto nel contesto della corrispondenza fra vescovi polacchi e tedeschi nel 1965: i cardinali tedeschi mi avevano raccontato come fosse grandissimo il merito e il contributo dell'arcivescovo di Cracovia e di come fosse proprio lui l'anima di questa corrispondenza realmente storica".
Una grande simpatia che diventerà negli anni il grandioso legame di ferro sul quale poggia il Magistero della Chiesa dalla fine degli anni Settanta ad oggi. "Da amici universitari avevo an che sentito della sua filosofia e della grandezza della sua figura di pensatore, ma l'incontro personale, la prima volta, si è realizzato nel Conclave del 1978 - rievoca Joseph Ratzinger -. Dall'inizio, ho sentito una grande simpatia e, grazie a Dio, immeritatamente, il Cardinale di quel tempo mi ha donato, fin dall'inizio, la sua amicizia".
Frase dopo frase, il sommo teologo tedesco traccia un personalissimo ritratto dell'"uomo di Dio", Karol Wojtyla, del quale lo ha colpito soprattutto l'afflato mistico con cui sapeva trasformare la fede in opere.
"Soprattutto vedendolo pregare, ho visto e non solo capito che era un uomo di Dio - afferma Joseph Ratzinger -. Questa era l'impressione fondamentale: un uomo che vive con Dio, anzi in Dio. Mi ha poi impressionato la cordialità, senza pregiudizi, con la quale si è incontrato con me".
Caratteri diversi, ma la stessa determinazione a seguire radicalme nte Cristo e servire il prossimo. Costi quel che costi. "Negli incontri del pre-conclave dei Cardinali, l'arcivescovo Wojtyla aveva preso diverse volte la parola", rivela Benedetto XVI, tornando con il pensiero a quei "momenti importanti", durante i quali "ho avuto anche la possibilità di sentire la statura del pensatore". Un'intesa sbocciata da "poche, semplici parole", ma divenuta la linfa vitale della Chiesa universale per quasi tre decenni.
"Subito dopo la sua elezione, il Papa mi ha chiamato diverse volte a Roma per colloqui e alla fine mi ha nominato Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede», sintetizza il futuro Benedetto XVI. Una nomina-chiave del terzo pontificato più lungo della storia (dopo quelli di San Pietro e Pio IX, beatificato proprio da Karol Wojtyla durante il Giubileo del 2000), accettata da Joseph Ratzinger con qualche titubanza: "Il Santo Padre, che era m olto paterno con me, mi ha dato tempo di riflettere, egli stesso voleva riflettere. E alla fine mi ha convinto, perché questa era la volontà di Dio". Per capire quanto saldo fosse il loro sodalizio e, conseguentemente, quanto naturale il passaggio di testimone tra due colonne del cattolicesimo del XX secolo, è illuminante il racconto forte degli ultimi due incontri: al Policlinico «Gemelli», il 6 febbraio 2005; e il giorno prima della morte di Giovanni Paolo II, nella sua stanza. "Nel primo incontro il Papa soffriva visibilmente, ma era pienamente lucido e molto presente - rievoca commosso Joseph Ratzinger -. Io era andato semplicemente per un incontro di lavoro, perché avevo bisogno di alcune sue decisioni. Il Santo Padre, benchè soffrendo, seguiva con grande attenzione quanto dicevo. Mi comunicò in poche parole le sue decisioni, mi diede la sua benedizione, mi salutò in tedesco, accordandomi tutta la sua fiducia e la sua amicizia". L'ultimissima volta che Karol Wojtyla e il suo successore si sono visti ha invece il sapore struggente di un'investitura spirituale: "E' stato il giorno prima della morte: era ovviamente più sofferente, visibilmente, circondato da medici e amici. Era ancora molto lucido, mi ha dato la sua benedizione. Non poteva più parlare molto. Per me questa sua pazienza nel soffrire è stato un grande insegnamento, soprattutto riuscire a vedere e a sentire come fosse nella mani di Dio e come si abbandonasse alla volontà di Dio: nonostante i dolori visibili, era sereno, perché era nelle mani dell'Amore Divino".

*Vaticanista del quotidiano 'La Stampa'

5 commenti:

Anonimo ha detto...

Meraviglioso articolo, molto commovente. Grazie Raffaella per averlo postato, ora la giornata incomincia davvero bene!!! ch

mariateresa ha detto...

insomma, io non ho ancora capito se questi cappuccini e brioches li devo pagare o no....

Anonimo ha detto...

Si', ma non a Francia :-)

mariateresa ha detto...

non sia mai....

Anonimo ha detto...

Ok, bell'articolo, ma non riesco a perdonargli gli attacchi a Benedetto.
Alessia