2 aprile 2008

Il gesto di Magdi Allam possibile solo in Europa (Farian Sabahi per "La Stampa")


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CONVERSIONE DI MAGDI CRISTIANO ALLAM: ARTICOLI, INTERVISTE E COMMENTI

Il gesto di Allam possibile solo in Europa

Ha dato forse troppo risalto mediatico alla conversione ma ci ha offerto la possibilità di riflettere su diritti che in Egitto e in altri paesi islamici sarebbero negati

FARIAN SABAHI

Vivere in Europa è un privilegio per i musulmani e per noi seconde generazioni. Me lo fa pensare la conversione di Magdi Allam nei sessant’anni della Dichiarazione universale dei diritti umani che sancisce la libertà religiosa, l’uguaglianza delle donne e la libertà di espressione. I primi due sono legati a filo doppio: il Corano permette al musulmano di sposare una monoteista senza imporle la conversione. Ma alla donna musulmana sono proibite le nozze con un uomo di fede diversa.

Il legame tra la libertà religiosa e i diritti delle donne sembra sfuggire ad Afef, che su queste pagine ha accusato Allam di «incitare all’odio e di ostacolare il dialogo» e ha ricordato come anche il Vaticano abbia preso le distanze dalle parole del giornalista successive al suo battesimo.

Il problema della libertà religiosa non si pone per Afef e per tutte coloro esonerate per status dal prendere certe precauzioni, ma è una realtà per tante musulmane (anche in Europa) che per sposare un «infedele» devono convincerlo a convertirsi.

Si diventa musulmani pronunciando la professione di fede «esiste un solo dio e Maometto è il suo profeta». Senza quest’atto, anche solo formale, le nozze non sono registrate nel Paese d’origine, con ovvi problemi nel caso si decida di tornarvi con i figli che rischiano d’essere considerati frutto d’una relazione illecita. La conversione all’Islam è meno impegnativa di quella all’ebraismo ma il fatto che sia obbligatoria non è rispettoso delle libertà sancite dalla Dichiarazione del 1948. Nel nostro mondo la possibilità di convertirsi o di dichiararsi agnostici e atei deve essere un diritto. Senza temere la pena di morte prevista non dal Corano, alquanto vago giacché prevede «un castigo doloroso in questo mondo e nell’altro», ma da due hadith (detti del Profeta) sbandierati dai radicali.

La costruzione di chiese in Qatar e in altri Paesi del Golfo citati da Afef è un passo importante verso il dialogo interreligioso. Ma la libertà di professare il Cristianesimo non va di pari passo con il diritto di scegliere (e cambiare) la propria fede.

Nel libro I cristiani venuti dall’Islam Giorgio Paolucci e Camille Eid raccontano le peripezie di musulmani che, convertiti al Cristianesimo, rischiano la vita.

Ma quanti hanno abbandonato la Chiesa per scegliere l’Islam, senza che contro di loro fosse scagliata una condanna a morte? Solo in Italia se ne contano diecimila.

Venendo alla libertà religiosa e al suo legame con la libertà di espressione, in un Paese islamico un musulmano non potrebbe pubblicare l’equivalente del saggio del matematico Piergiorgio Odifreddi Perché non possiamo essere cristiani (e meno che mai cattolici): la censura lo bloccherebbe, l’autore rischierebbe la pelle e potrebbe essere divorziato d’ufficio dalla moglie perché un eretico non può essere unito in matrimonio a una musulmana.

Le affermazioni di Allam sono senz’altro discutibili, per esempio quando dimentica che anche l’Islam coniuga fede e ragione: nell’Islam la ragione si chiama ijtihad ed è lo sforzo razionale documentato da Sami A. Aldeeb Abu-Salieh (Il diritto islamico).

Ma i musulmani e noi, seconde generazioni, non dobbiamo sottovalutare il suo messaggio: ha sì sguarnito le file dei musulmani moderati e dato tanto risalto mediatico alla propria conversione. Ma ci ha dato la possibilità di riflettere. Perché il suo gesto è possibile in Europa ma non in Egitto e in tanti altri Stati islamici dove peraltro la legge non coincide con la sharia perché a essa si sovrappongono codici spesso mutuati da quelli europei.

Ricordiamoci che se abbiamo deciso di vivere in Europa è anche perché qui, in virtù della separazione tra autorità spirituale e potere temporale, godiamo di diritti altrove negati. Diritti che rischiamo di dare per scontati.

© Copyright La Stampa, 2 aprile 2008 consultabile online anche qui.

Bellissima testimonianza :-))
Riporto una breve biografia di Farian Sabahi:

Farian Sabahi, figlia di padre iraniano e madre italiana, è nata e cresciuta in Italia. Giornalista e scrittrice, ha studiato a Londra e Bologna, e insegna al master sull'immigrazione della Scuola di Direzione Aziendale dell'Università Bocconi di Milano. È autrice dei volumi Storia dell'Iran, The Literacy Corps in Pahlavi Iran, La pecora e il tappeto: economia tribale in Azerbaigian, Islam: l'identità inquieta dell'Europa. Viaggio tra i musulmani d'occidente; ha pubblicato numerosi saggi, scrive sull'Islam e il Medio Oriente per Il Sole 24 Ore e trasmette su Radio Svizzera, Radio 24 e Radio Popolare.
Insegna alla Facoltà di Lettere dell’Università di Ginevra e ha tenuto corsi all’Università Bocconi di Milano.
Collabora con il quotidiano "La Stampa".

1 commento:

Anonimo ha detto...

Vorrei condividere una testimonianza personale sul tema dell'islam e della conversione.
Un mio collega americano vive in Italia dal 2000. A Roma ha conosciuto una donna palestinese, figlia di un altissimo rappresentante dell'Autorità nazionale palestinese. Lei, pur essendo nata a Gaza è vissuta sempre tra l'Europa e gli Stati Uniti, dunque, almeno in teoria, avrebbe dovuto avere una formazione "laica" eppure, quando lui ha deciso di sposarla ha dovuto convertirsi all'islam. In caso contrario lei non lo avrebbe mai sposato: "I had no choice", è stata la frase, rassegnata, con la quale finito di raccontarmi questi fatti.
Questo è lo scenario, l'islam con il quale dobbiamo confrontarci oggi, anche qui in Europa!
Il resto, le belle parole sul multiculturalismo sono solo chiacchiere, anche se le dice la "bella" afef!!