2 aprile 2008

La signoria del Risorto. Il cristiano è uomo di un altro mondo (Osservatore Romano)


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La signoria del Risorto

Il cristiano è uomo di un altro mondo

di Inos Biffi

"Fu concepito di Spirito Santo, nacque da Maria vergine, patì sotto Ponzio Pilato, fu crocifisso, morì e fu sepolto; discese agli inferi; il terzo giorno risuscitò da morte; salì al cielo, siede alla destra di Dio Padre onnipotente": lo professiamo nel Simbolo apostolico, come sintesi, chiara ed essenziale, degli eventi che il Figlio di Dio fatto uomo ha vissuto. Nessuno di essi si stempera nella metafora, ma tutti si presentano col realismo e la consistenza della storia.
Al loro vertice e compimento - e come loro conferma e segno di riuscita - si pone la Risurrezione che di tutti i precedenti misteri è conferma e riuscita, e che, al pari di essi, è un fatto storicamente avvenuto.

Se Gesù di Nazaret non fosse risorto, la sua concezione e natività, la sua passione, morte e sepoltura avrebbero perduto significato e valore; sarebbero rimaste sospese e incomprensibili, quasi disorientate e dissipate. Il Figlio di Dio sarebbe nato vanamente, inutilmente avrebbe patito e sarebbe sterilmente morto.

Senza dubbio, Gesù risorto è in una condizione radicalmente diversa rispetto a quella in cui si trovava nella precedente vita terrena: non è più visibile e attingibile come lo era quando si trovava nel tempo; come si dice: con la risurrezione egli non torna alla vita di prima, ma entra nello stato "escatologico"; ma non per questo la risurrezione è una "parabola", il frutto o la creazione soggettiva della fede; al contrario, è un avvenimento oggettivo, che la pura esperienza sensibile non è in grado di avvertire, ma della cui realtà storica la fede ha fondatamente la certezza.
E proprio perché questa fede fosse stabilita sulla realtà e sottratta al mondo soggettivo del desiderio o dell'allegoria, Gesù risuscitato - come afferma il libro degli Atti - si è "mostrato vivo agli apostoli dopo la sua passione, con molte prove convincenti, apparendo per quaranta giorni" (Atti, 1, 3).
Da un lato, si avverte chiaramente che il Risorto, con la sua rinnovata corporeità, si trova in uno stato incomparabile e di radicale divario rispetto a quello della sua esistenza precedente, e che solo per la sua iniziativa di mostrarsi può essere percepito come risorto.
Ma, dall'altro lato, con non minore evidenza, si assiste a tutto un "piano" di Gesù risuscitato che, con le sue ripetute apparizioni e sparizioni, le sue sorprendenti partecipazioni conviviali e l'invito esplicito a non considerarlo, avendo "carne e ossa", una specie di fantasma, mirava a edificare la fede dei discepoli e a liberarli dai dubbi, dagli abbagli delle illusioni o dagli ingannevoli giuochi della fantasia.
Del resto, proprio gli apostoli e i discepoli, per i quali la figura di Gesù non era più sperimentabile e documentabile come in precedenza, dopo la costatazione dei "segni" della risurrezione, fanno di essa la sostanza della predicazione e l'evidente riprova della validità del Vangelo.
"Morì, fu sepolto e fu risuscitato, e apparve" (1 Corinzi, 15, 3-5), scrive Paolo, per il quale predicazione e fede sarebbero "vuote", se non fosse vero, e quindi storico, che "Cristo è stato risuscitato dai morti" (1 Corinzi, 15, 20).
La monotona e vecchia affermazione che, essendo la risurrezione di Gesù oggetto della fede, è, in conclusione, sprovveduta del suo supporto e della sua conferma storica, è totalmente inconsistente, così come lo è la separazione tra il Gesù storico e il Cristo della fede.

In sedicenti teologi, che rifriggono malamente eresie antiche, queste asserzioni non stupiscono; dovrebbero invece evitare una certa deleteria fumosità i teologi ancora credenti. Ma oggi si ha l'impressione che non pochi di essi non siano soddisfatti se non fanno affermazioni sensazionali, ed eccoli parlare della sofferenza nell'intimo della Trinità, o dell'oscurità della fede di Gesù, o di Dio che spera nella riuscita del suo disegno. Si direbbe che non perdonano a Dio di essere Dio, per cui si impegnano puntigliosamente a ricrearlo a immagine dell'uomo.

In realtà, la consolazione della fede e la gioia della teologia in tempo pasquale è specialmente quella di contemplare e di ammirare Gesù risorto come l'eternamente predestinato.
Infatti, secondo il disegno divino attestato nelle Scritture, è Gesù risorto il fine della creazione, la ragione che unicamente giustifica il mondo, il motivo per cui Dio ha chiamato gli esseri all'esistenza.
Dall'eternità Dio ha concepito e voluto anzitutto il Crocifisso glorioso, che "esiste prima di tutte le cose", mentre "tutte hanno consistenza in lui" (Colossesi, 1, 17).
"Il Signore" è la "forma" di tutto quanto sorga nell'universo: "Tutti gli esseri nei cieli e sulla terra, i visibili e gli invisibili sono stati creati in lui", esistono grazie alla sua mediazione e in lui ritrovano la causa finale: "Tutte le cose sono state create per mezzo di lui e in vista di lui" (Colossesi, 1, 16); egli è il "Principio e Primogenito dei risuscitati, così da primeggiare in tutto" (Colossesi, 1, 18).
Da sempre e per definizione Gesù è "il Primeggiante".
E fin che la teologia non riparta programmaticamente da lui e dalla sua predestinazione, non potrà che rimanere insignificante e monotona, e indugiare negli sterili propositi di animare la cultura.
L'umanità glorificata del Figlio di Dio si rivela, così, la scelta trinitaria prima e assoluta; in essa il Padre trova la sua immensa compiacenza e la sua esauriente soddisfazione. Ciò che alla Trinità "preme" eternamente è che ci sia Gesù di Nazaret.
Tutto il resto - a qualsiasi natura appartenga, angelica o umana - è riconoscibile e apprezzabile nella misura in cui vi si rinvengano la "grazia" e la bellezza del Risorto e ne sia il riflesso. Le altre opere di Dio partono tutte da quella intenzione divina originaria e tutte vanno comprese risalendo a essa.
Ne consegue che non esiste, né mai è esistito, briciolo di tempo o frammento di spazio che possa essere stornato dal rapporto con Gesù o essere sottratto alla sua signoria.
In nessun momento il Signore è stato distante dalla storia; egli è stato sempre imminente ad essa, rappresentandone l'intima e insopprimibile "attrattiva". La prima Lettera di Pietro insegna che già "nei profeti era presente lo Spirito di Cristo" (1 Pietro, 1, 11).
Se poi, in particolare, ci soffermiamo sull'uomo - che di tutti gli esseri è quello più caro a Dio, visto che il Figlio suo si è fatto uomo -, possiamo affermare che ogni uomo, dal primo che aprì gli occhi su questa terra, fino all'ultimo che la abiterà, porta dentro di sé, "nativamente" e rigorosamente, il medesimo destino del Signore e la vocazione a portare in sé la sua immagine. E questo, non in base a una esigenza "naturale" dell'uomo stesso, né in virtù di una sua deliberazione, ma a causa della misteriosa elezione di Dio, che da sempre, per pura e segreta sua grazia, ha voluto l'intera umanità plasmata su quella del Figlio morto in croce, risorto e assiso alla destra del Padre.
Fin dalla concezione, prima ancora che ne sia cosciente e a prescindere dalla sua volontà, ogni uomo si ritrova collocato nell'"area" di Gesù e sotto l'influsso del suo amore, che lo ha legato all'uomo dall'eternità; nessuno nasce escluso dalla sua predestinata gratificazione.
Gesù sulla croce salva l'uomo non per una determinazione divina "subentrata" o "successiva", ma perché il Crocifisso glorioso è stato scelto come fondamento del destino dell'uomo, quale sua "necessità" e quale suo "recapito".
Sant'Ambrogio parla dei cristiani che "hanno avuto inizio nella predestinazione".
La stessa redenzione dal peccato va compresa in questo disegno cristico, che rigorosamente impronta di sé tutti gli uomini.
Se, a motivo della colpa originale, l'uomo viene al mondo segnato dall'"assenza di giustizia" - cioè difforme da Gesù risorto, unico e di fatto necessario modello dell'uomo -, con la redenzione quell'assenza viene colmata e l'uomo riceve la grazia della conformità al Signore. Ancora nella prima Lettera di Pietro leggiamo che il riscatto è avvenuto "col sangue prezioso di Cristo, sacrificato come Agnello puro e senza macchia, previsto prima della fondazione del mondo" (1 Pietro, 1, 19-20).
Per quali vie Dio abbia sempre soccorso - e sempre soccorra - della grazia di Gesù tutti gli uomini - a meno che espressamente la rifiutino - lo ignoriamo; ma "le vie di Dio son molte", e noi non possiamo dubitarne, per due ragioni. La prima è la seguente: quando ancora non si svolgeva il tempo e l'uomo non era ancora sorto, Gesù risuscitato era stato stabilito come il Primogenito salvatore dell'uomo. Ed ecco la seconda ragione: assolutamente, non c'è mai stato né mai ci sarà un uomo "trascurato da Dio" o a lui "indifferente", un uomo, che non sia intimamente avvolto dallo stesso affetto con cui Dio ama il suo Figlio Crocifisso risuscitato.
L'opera salvifica di Gesù è in atto ancor prima che egli storicamente muoia sul Calvario e risorga il terzo giorno. Lo dimostra il caso emblematico della Vergine Maria: la grazia nella quale essa viene concepita è già frutto dei previsti meriti di Cristo, e quindi è già una grazia che proviene dalla Croce e dalla Risurrezione, secondo il principio che Tommaso d'Aquino enunzia in questi termini: "Nessuno si può santificare, se non per la mediazione di Cristo"; "la causa della santificazione umana è una sola: il sangue di Cristo" (Summa Theologica, III, 61, 3, c; 60, 3. ob. 3).
Com'è detto nella Lettera agli Ebrei: "Gesù è lo stesso, ieri, oggi, e nei secoli" (13, 8).
Ora però siamo nel tempo in cui Gesù è storicamente risuscitato, ed è in atto il suo glorioso e "attraente" innalzamento, non più solo nella forma della previsione e dell'efficace profezia, ma nella forma dell'avvenimento compiuto. Egli aveva annunziato: "Quando sarò innalzato da terra" - e lo fu sulla croce e per sempre lo sarà nella gloria alla destra del Padre - "attirerò tutti", o "tutte le cose", "a me".
Ma prima consideriamo in se stesso Gesù risorto, costituito "Signore" e "Giudice dei vivi e dei morti", con una signoria unica e liberante, che, sciogliendo da qualsiasi schiavitù, ci pone tutti ugualmente al suo servizio e ci sottrae a qualsiasi giudizio che non sia il suo. Nella sua umanità gloriosa egli è il principio del mondo nuovo, la riuscita del disegno eterno, il segno che il progetto divino si è avverato.
Per questo il Risorto da morte è motivo di infinita gioia per la Trinità e di indubitabile e beata speranza per l'umanità, che ravvisa in lui la Primizia dei risorti (1 Corinzi, 15, 23) e l'inizio della propria risurrezione. Ormai, per quante vicissitudini possano accadere nella storia, non intaccheranno mai Gesù risuscitato, né potranno intralciare e compromettere la sua regalità, e la forza che avvicina e unisce a lui.
Anzi, secondo Paolo, il cristiano, avendo nel lavacro condiviso la morte di Cristo, con la nuova vita partecipa già ora misteriosamente della sua risurrezione e della gloria del Padre. Egli è già un "vivente per Dio in Cristo Gesù" (Romani, 6, 11), un "risorto con Cristo", tutto occupato alla ricerca delle "cose di lassù, dove è il Cristo, assiso alla destra di Dio" (Colossesi, 3, 1-2). Anzi, in certa misura, il battezzato non appartiene già più a questo mondo corruttibile e transitorio. La sua vita è "nascosta con Cristo in Dio", e quindi è già da adesso partecipe dell'escatologia, in attesa di assumere pienamente l'"affinità" col Risorto e di apparire con lui rivestito di gloria (Colossesi, 3, 4).
Tutta questa "attrattiva" al Risorto e questa comunione con lui è iniziata e incessantemente prosegue in virtù della continua effusione dello Spirito Santo, meritato dalla sua morte ed elargito in sovrabbondanza dalla destra del Padre. Tutta l'opera di Gesù mirava a ottenere all'umanità il dono escatologico dello Spirito, che a Pentecoste iniziò la sua presenza nell'umanità e nell'universo con la creazione della Chiesa, che è il sacramento di Cristo e del suo Spirito, il quale attinge alla ricchezza salvifica del Signore e ce ne rende partecipi.
Ora Gesù esercita nel mondo la sua signoria celeste o la sua "potestà" attraverso l'azione dello Spirito Santo. Grazie allo Spirito i cuori sono aperti alla Parola e ha successo l'annunzio del Vangelo; per sua virtù è conferita validità ai sacramenti; per lui i credenti ricevono la vita nuova del Risorto e la loro esistenza diviene un cammino nello Spirito, dal quale alla fine saranno compiutamente trasformati a immagine del Crocifisso risuscitato.
In particolare è il caso di sottolineare l'energia "spirituale" nei gesti sacramentali. I sacramenti sono azioni regali del Signore, che, sovrastando i limiti del tempo e dello spazio, ci inserisce nel mistero della sua passione e della sua morte, pegni della risurrezione. Vale specialmente nell'Eucaristia, in cui non cessano di essere ritrovati il Corpo dato e il Sangue sparso; ma si avvera in tutti i sacramenti, che sono come una "porzione" di Eucaristia.
Certo, il mondo di Gesù risorto, la sua attrattiva, l'azione del suo Spirito che trasforma il credente, la grazia che lo rinnova sono realtà sottratte all'esperienza sensibile, ma le sole assolutamente vere, di fronte alla precarietà di quelle visibili, fatte di ombre e di immagini. Il cristiano è un uomo dell'altro mondo - quello autentico - che tuttavia ancora vive in questo mondo, destinato a passare come una scena nel teatro; nel tempo fuggevole della storia egli annuncia, nella speranza, l'escatologia; ancora attraversato dalla passione e dalla morte è il testimone della risurrezione.
In questo senso è "alienato", come lo è Gesù risorto.
Per tornare alla teologia: essa è una "scienza" tutta diversa dalle altre, con un suo linguaggio proprio; è Parola di Dio o "Sapienza che viene dall'alto", che discende dal cielo, come Gesù Cristo; è per sua natura "regale" e non sarà a suo agio nel concerto delle "arti", per usare categorie medievali, né proverà troppo gusto a occuparsene, anche perché si accorgerà presto del tanto tempo che vi perde.
La vocazione originale della "sacra dottrina" è quella di esplorare il disegno divino, e quindi di intrattenere i credenti a contemplare e ammirare Cristo risorto, a esultare nel suo Spirito, a godere della sua grazia. Il suo discorso è supremamente interessante; solo che, per prendervi gusto, bisogna essere dei credenti, cioè discepoli del Signore, persuasi - come diceva sant'Ambrogio - che le "opere invisibili" del Signore "sono più numerose" di quelle che si vedono, e più avvincenti e stabili.
D'altra parte la teologia è generata dalla fede, e la fede non è una facoltà dagli occhi spenti. Al contrario: essa è dotata di visione. Fin dai tempi di Tertulliano si usa l'espressione: fides oculata.

(©L'Osservatore Romano - 3 aprile 2008)

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