7 ottobre 2008

Aldo Schiavone: "Se il Papa dice: i soldi sono nulla" (Repubblica)


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Su segnalazione di Alessia leggiamo:

SE IL PAPA DICE: I SOLDI SONO NULLA

ALDO SCHIAVONE

La voce suggestiva e autorevole del Papa, piena di echi e di risonanze, ci invita oggi a riflettere sulle miserie del capitalismo.
Il Pontefice ha appena inaugurato una lettura pubblica della Bibbia che si protrarrà ininterrottamente per sei giorni e sette notti, e ha egli stesso recitato domenica il testo scarno e maestoso dell´incipit della Genesi: "In principio Dio?".
Quale occasione migliore, di fronte alla crisi che sta sconvolgendo l´ordine capitalistico del mondo - almeno nella forma che ha accompagnato la grande rivoluzione tecnologica di fine secolo - per rivendicare che mentre il denaro "scompare" ed è "niente", l´unica a durare veramente "è la parola di Dio", che "cambia il nostro concetto di realismo: realista è chi riconosce la realtà nella parola di Dio".
Non si può che essere lieti di questa presa di posizione. Mai come in questo momento, l´Occidente ha bisogno di fare i conti con se stesso - con i propri miti e i propri autoinganni - in modo aspro e severo, e ha bisogno di una completa revisione dei propri punti di riferimento, a cominciare dalla sua etica pubblica.
A considerare bene, l´ammonimento del Papa può essere interpretato in un duplice senso. Il primo, lo definirei radicale e profetico: il riferimento al denaro può essere inteso come una metafora di tutto ciò che è mondano, terreno. Come se ci fosse stato detto: abbandonate le cose del mondo, e correte solo verso Dio. E del resto, il celeberrimo testo evangelico sul dare a Cesare quel che è di Cesare, e a Dio quel che è di Dio, può anche essere capito così (e lo è stato a volte, nella storia); non come la definizione di un confine, ma come l´indicazione di una meta: lasciate perdere le cose di Cesare, rendetele pure tutte a lui, e d´ora in poi concentratevi solo nelle cose di Dio. Questa strada - che può anche sedurre per il suo estremismo - conduce però dritta a una critica generale della modernità in nome di un ascetismo con tonalità medievali che non mi pare in verità nell´orizzonte intellettuale del Papa, e quindi non la seguirei.
L´altra possibilità di intendere il messaggio del Pontefice si inserisce invece in un filone ormai abbastanza nutrito di critica cattolica alle distorsioni indotte dall´economia capitalistica: qualcosa di meno genericamente profetico e di molto più storicamente determinato, ed è senza dubbio a questa visione che credo debba andare la nostra preferenza.
C´è denaro e denaro. Vi è un aspetto della crisi che stiamo attraversando sul quale non abbiamo ancora riflettuto abbastanza: ed è che essa ci richiama in modo drammatico al rapporto fra profitto e lavoro, e dunque fra denaro e lavoro. Sarebbe bello che a questo avesse pensato il papa, quando ha pronunciato le sue parole.
Nell´ubriacatura da ipermodernizzazione che abbiamo attraversato, sembrava che questa relazione fosse ormai solo qualcosa di arcaico, un paradigma senza più valore né economico né etico, che non misurasse insomma più nulla di reale, e che tutta l´economia del pianeta dovesse sbilanciarsi definitivamente dal lato di un´ingegneria finanziaria senza confini e senza regole e di una leggerezza speculativa priva di basi e di ancoraggi, che parevano in grado di produrre ricchezza dal nulla, e fossero perciò le sole capaci di star dietro al ritmo frenetico delle innovazioni tecnologiche e al loro continuo bisogno di nuove risorse, in un circuito autoalimentato di cui stiamo appena cominciando a valutare tutta la rischiosa perversità.
Il denaro che è stato così creato era cattivo denaro: cattivo economicamente ed eticamente, perché annientava il nesso fra profitto e lavoro, immetteva continuamente nel corpo sociale elementi di autentica degenerazione morale, e annientava potenzialmente anche il rapporto fra innovazione e profitti, che è l´anima della rivoluzione che stiamo vivendo. A questo denaro calza davvero perfettamente quell´incalzante "niente" usato dal Papa.
Oggi il mondo non ci appare diversamente che stretto nell´intreccio fra tecnica e mercato. Questo significa che tutte le straordinarie potenzialità di emancipazione e di libertà offerte dalla tecnica non ci appaiano altro che sotto forma di merce. E poiché la tecnica cattura sempre di più le nostre esistenze, è la vita stessa che rischia di presentarsi a noi non altro che in forma di merce e di danaro (che della merce è la sua rappresentazione universale). Se questo circolo si chiude, noi siamo perduti. Per spezzarlo, dobbiamo saper sottrarre alla merce e al denaro spazi e potenzialità di vita, e saper dar loro nuove forme, consegnarle ad altre potenze. Per farlo, abbiamo bisogno di politica, di diritto, di etica, di spiritualità religiosa - e di chi ci ricorda, dall´alto del suo seggio, che il denaro può essere "niente", senza con questo togliere nulla alla modernità, che vive anche di denaro, e al lato positivo di quell´intreccio fra tecnica e mercato che è anche il più efficace creatore di opportunità e di occasioni di libertà che la specie umana abbia mai inventato. Il punto sta nell´equilibrio, e nella capacità di far crescere una nuova dimensione dell´umano.

© Copyright Repubblica, 7 ottobre 2008 consultabile online anche qui.

1 commento:

Anonimo ha detto...

Bellissimo questo articolo di Aldo Schiavone, che interpreta correttamente la dichiarazione di Papa Benedetto sulla precarietà delle fortune costruite su basi non solide, e con un elevato deficit di etica, di norme morali, ovvero del Bene per eccellenza . E infatti non a caso a monte di questa crisi finanziaria c'è la crisi dei mutui subprime, esempio di un'economia in fondo malata e amorale: erogazione di prestiti a tassi elevati a creditori ad alta probabilità di insolvenza. Oltre alla merce e al denaro, osserva giustamnte Schiavone "abbiamo bisogno di politica, di diritto, di etica, di spiritualità religiosa". Ciao Carla