10 ottobre 2008

Benedetto XVI celebra i 50 anni dalla morte di Papa Pacelli: «Agì in silenzio per salvare il più alto numero di ebrei» (Accornero)


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Benedetto XVI celebra i 50 anni dalla morte di Papa Pacelli: «Agì in silenzio per salvare il più alto numero di ebrei» Nell'omelia il riconoscimento della sua santità ma anche l'invito a pazientare per la firma del decreto sulle virtù eroiche

dall'inviato

Pier Giuseppe Accornero

Città del vaticano

Papa Pacelli agì in silenzio per salvare il più alto numero possibile di ebrei. «Preghiamo perché prosegua felicemente la causa di beatificazione di Pio XII: la santità fu il suo ideale, che propose a tutti».
La conclusione dell'appassionata omelia – nella quale Papa Benedetto ripercorre la vita di Pio XII nel 50° della morte (1958-9 ottobre-2008) esaltandone l'opera a tutela della pace e a difesa di perseguitati ed ebrei – è il riconoscimento della sua santità ed è un invito a pazientare sui tempi. Come spiega il portavoce vaticano Federico Lombardi in una dichiarazione orale: «Con le parole pronunciate sulla causa di beatificazione in corso, il Papa ha inteso manifestare esplicitamente la sua unione spirituale a un auspicio diffuso nel popolo di Dio. Tuttavia non si è espresso sui passi successivi della causa e sui tempi, cioè la firma del decreto di riconoscimento delle virtù eroiche, premessa per introdurre la pratica per il riconoscimento del miracolo».

La riunione del 2007

La nota ricorda che la riunione di cardinali e vescovi «l'8 maggio 2007 si è pronunciata all'unanimità sull'eroicità delle virtù. Tuttavia il Papa non ha ancora firmato il decreto, ritenendo opportuno un tempo di riflessione». Il Papa ha affidato la causa alla Segreteria di Stato per una minuziosa e completa revisione perché non sussista il minimo dubbio e il decreto sia inattaccabile.
Nell'omelia della Messa – concelebrata con i cardinali, presenti i vescovi del Sinodo e molti fedeli – Benedetto XVI rilegge la vicenda di Papa Pacelli e il lungo servizio alla Chiesa – iniziato nel 1901 sotto Leone XIII e proseguito con Pio X, Benedetto XV e Pio XI – in chiave di santità «che rende incrollabile la fede e la speranza, anche nelle fasi più complicate e dure dell'esistenza: Dio fu la sorgente da cui ha attinto coraggio e pazienza nel ministero pontificale durante gli anni travagliati del secondo conflitto mondiale, nel periodo complesso della ricostruzione, nei difficili rapporti internazionali durante la “guerra fredda”».

Gli attacchi storiografici

Ratzinger ribatte punto per punto agli attacchi di una storiografia laicista mistificatoria e all'intollerabile acredine di parte del mondo ebraico. «Abbandonarsi nelle mani misericordiose di Dio» fu il costante atteggiamento «dell'ultimo dei Papi nati a Roma», che manifestò in tutte le tappe: da nunzio a Monaco di Baviera e poi a Berlino fino al 1929 «dove lasciò grata memoria di sé»; da collaboratore di Benedetto XV «nel tentativo di fermare “l'inutile strage” della Grande Guerra»; intuì subito «il pericolo costituito dalla mostruosa ideologia nazionalsocialista con la sua perniciosa radice antisemita e anticattolica».
Cardinale Segretario di Stato dal dicembre 1929, collaborò con Pio XI «in un'epoca di totalitarismi: fascista, nazista, comunista sovietico» condannati dalle encicliche «Non abbiamo bisogno; Mit Brenneder Sorge; Divini Redemptoris» che furono preparate da Pacelli e promulgate da Papa Ratti.

Eletto Pontefice nel 1939

Eletto Pontefice il 2 marzo 1939, «consolò sfollati e perseguitati, dovette asciugare lacrime di dolore e piangere le innumerevoli vittime della guerra, aprì il cuore all'amore che vince l'odio e cercò in tutti i modi di evitare un nuovo conflitto mondiale». Nel radiomessaggio del 24 agosto 1939 esclama: «Imminente è il pericolo, ma è ancora tempo. Nulla è perduto con la pace. Tutto può esserlo con la guerra».
Pio XII fu davvero «defensor civitatis» e a Roma promosse un'intensa opera di carità «in difesa dei perseguitati, senza alcuna distinzione di religione, etnia, nazionalità, appartenenza politica». Invitato a lasciare Roma e a mettersi in salvo, rispose: «Non lascerò Roma e il mio posto, anche dovessi morire». Si privò di cibo, riscaldamento, abiti, comodità «per condividere la condizione della gente duramente provata da bombardamenti e guerra».

«Agì in modo segreto»

Nel radiomessaggio natalizio del 1942, con voce rotta dalla commozione, deplorò la situazione delle «centinaia di migliaia di persone, le quali, senza veruna colpa propria, talora solo per ragione di nazionalità o di stirpe, sono destinate alla morte o a un progressivo deperimento». Aggiunge Ratzinger: «Con un chiaro riferimento alla deportazione e allo sterminio perpetrato contro gli ebrei. Agì spesso in modo segreto e silenzioso perché intuiva che solo in questo modo si poteva evitare il peggio e salvare il più gran numero possibile di ebrei. Per questi suoi interventi, numerosi e unanimi attestati di gratitudine gli furono rivolti alla fine della guerra e dopo la morte, dalle più alte autorità ebraiche». Il ministro degli Esteri d'Israele Golda Meir scrisse: «Quando il martirio più spaventoso ha colpito il nostro popolo, durante il terrore nazista, la voce del Pontefice si levò a favore delle vittime. Noi piangiamo un grande servitore della pace».

© Copyright Eco di Bergamo, 10 ottobre 2008

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