8 ottobre 2008

Card. Toppo: "Cristiani in India, forti ma soli" (Sir)


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CRISTIANI IN INDIA - Forti ma soli

Sulle violenze in Orissa parla il card. Toppo, arcivescovo di Ranchi

"La Chiesa indiana è abbastanza forte per affrontare questa situazione ma la comunità internazionale deve intervenire ancora, perché è una grave questione di diritti umani": mentre continuano le sofferenze dei cristiani vittime di persecuzioni e gli episodi di conversioni forzate e martirio in Orissa, è questo l'appello del card. Telesphore Toppo, arcivescovo di Ranchi (già presidente della Conferenza episcopale indiana), nello Stato del Jarkhand (India nord-orientale), che confina a sud con l'Orissa. Ecco cosa ci ha detto al telefono.

Com'è ora la situazione in Orissa? Quali notizie dirette vi giungono?

"Le persone hanno sofferto molto e continuano a soffrire ma hanno bisogno di più aiuto. Non è facile avere informazioni dall'Orissa, perché la situazione non si è ancora normalizzata. Molti cristiani sono rifugiati nelle foreste e alcuni vivono nei campi ma non sono permessi gli aiuti delle agenzie umanitarie. Così mentre la Chiesa cattolica si è potuta muovere ovunque in India in occasione dei terremoti o nelle alluvioni che hanno devastato l'Orissa, ora non ci è permesso di andare lì per lavorare e portare aiuto alle vittime. Lo scorso gennaio, ad esempio, quando sono andato a visitare quelle zone, avevo la scorta della polizia. In dicembre non mi è stato permesso di entrare. L'India è la più grande democrazia del mondo, ma in Orissa non ci sono grossi segni di democrazia".

Come vescovi avete pubblicato, lo scorso 26 settembre, una lettera molto forte per fermare le violenze contro i cristiani in Orissa. Quali reazioni ci sono state?

"Dopo la nostra lettera non ci sono state azioni dirette, ma il governo centrale si sta muovendo. Molte altre organizzazioni e partiti politici stanno agendo o rispondendo. Ad esempio, stanno trattando con i gruppi terroristi. Non è abbastanza perché i cristiani dell'Orissa hanno bisogno di sicurezza, protezione e assistenza. Hanno bisogno di risarcimenti, perché le loro case sono state distrutte e hanno perso tutto".

A livello governativo si parla di possibili risarcimenti alle vittime?

"No. Il governo ancora non ne parla. Ma noi stiamo chiedendo giustizia. Non è sufficiente punire i colpevoli, le persone devono ricostruire le loro esistenze distrutte".

La polizia ha cominciato ad agire?

"Non abbastanza. Sono rimasti a lungo indifferenti ma non so se sono cambiati molto".

Qual è la verità sulle conversioni forzate?

"Non è affatto vero che i cristiani convertivano gli indù, ma è vero che in questi giorni sono in atto delle conversioni forzate dei cristiani in alcune località dell'Orissa, perché questi fondamentalisti vogliono distruggere la Chiesa. C'è una strategia pianificata contro i cristiani della diocesi di Bhubaneswar perché lì la Chiesa stava crescendo, agendo però sempre nel rispetto dei tribali e dei dalit. I tribali ricevevano una educazione, e così si emancipavano socialmente ed economicamente. Ora hanno perso tutto, anche la loro fede".

Ci sono o ci potrebbero essere problemi di questo tipo anche a Ranchi?

"Qui non ci sono problemi effettivi, ma in qualche modo qualcuno fomenta. Stanno provando a creare situazioni simili anche in questa zona. Ma da noi la situazione è politicamente diversa perché qui governa il partito del Congresso".

Secondo lei, le violenze nascono da ragioni politiche o economiche?

"Entrambe le ragioni, politiche ed economiche. Ma è anche dovuto al fatto che se i cristiani continuano a crescere si vede minacciata la stabilità socio-politica dello Stato".

In questa tragedia sono state dette molte menzogne, soprattutto che i cristiani abbiano ucciso lo swami...

"Non è assolutamente vero. I fondamentalisti indù vogliono impedire che la Chiesa cresca. Lo swami non è stato ucciso dai cristiani, perché avrebbero dovuto? I maoisti hanno rivendicato più volte la responsabilità del delitto.

Attualmente - accade anche tra i tribali cristiani nello Jharkhand - se il governo lavora per lo sviluppo va bene. Se lo fa la Chiesa vengono considerate conversioni. Ma se il governo non fa niente per lo sviluppo, la disoccupazione e la crescita economica, si crea una situazione di grande ingiustizia. Così molti giovani vanno a combattere con i maoisti. Tra loro ci potrebbe essere anche qualche cristiano, ma la comunità cristiana non è responsabile dell'omicidio. Il punto è: se qualcuno ha ucciso lo swami è compito della polizia trovare i colpevoli. Non si può giustificare la distruzione e gli incendi di tutte le case e le chiese dei cristiani".

La pressione internazionale è servita a qualcosa?

"Sì, perché gli indiani sono abbastanza sensibili e temono che chiunque possa venire a vedere, e questo problema potrebbe diventare una vergogna nazionale. La pressione internazionale è stata buona, ma potrebbe essere migliore: perché è una questione di giustizia e di diritti umani. Viviamo in un villaggio globale. Quando sono in gioco i diritti umani gli altri Paesi devono intervenire".

I media indiani parlano delle violenze in Orissa?

"Sì ne parlano. Alcuni quotidiani riportano ogni giorno notizie sui fatti e meravigliosi editoriali a sostegno delle minoranze cristiane, sottolineando le questioni della giustizia e della libertà di coscienza".

L'opinione pubblica indiana, in genere, è accanto ai cristiani in questo momento?

"Gli indiani sono persone molto tolleranti e l'India è un buon Paese. Ma essendo la più grande democrazia del mondo è più facile che si creino dei problemi. L'India deve liberarsi internamente. Dico sempre che Gandhi è riuscito a liberare l'India dagli inglesi, ma non ha fatto in tempo a liberarla dai processi interni. Perché prima che potesse fare qualcosa è stato ucciso da queste stesse persone".

Il dialogo tra religioni può essere d'aiuto?

"Sì, il dialogo interreligioso deve continuare ma dipende molto di più dalla volontà politica. Bisogna trovare una soluzione politica. Abbiamo bisogno di un governo che voglia affrontare questi problemi".

Ci saranno altre iniziative da parte dei vescovi indiani?

"Lo spero, ma vediamo cosa succede. Mi chiedo se l'attuale presidente non debba scrivere al primo ministro".

Teme che le violenze si diffonderanno ancora?

"No, non penso. Perché ora il governo centrale e altre organizzazioni sono consapevoli di quanto sta accadendo nell'Orissa".

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