4 ottobre 2008

Messaggio del Papa sull'Humanae Vitae: il commento di Casavola


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di FRANCESCO PAOLO CASAVOLA

IL MESSAGGIO di Benedetto XVI in occasione del congresso internazionale per il quarantesimo della enciclica Humanae vitae di Paolo VI non mancherà di suscitare discussioni.
Quando nel Natale del 2005, l’attuale pontefice emanò l’enciclica Deus Caritas est, molti, soprattutto nel mondo laico, si sentirono attratti da quella realistica valorizzazione dell’eros, ed oggi forse registreranno un ritorno indietro ad una concezione dell’amore coniugale rigorosamente finalizzata alla generazione. A ben leggere il primo documento del magistero di Benedetto XVI non c’è nulla che possa apparire diverso dalla dottrina oggi ribadita. Nella concezione cristiana la sessualità umana è naturalmente preordinata alla procreazione nel matrimonio. La vita come dono di Dio si trasmette dai coniugi generando. Se questo fine viene eluso, esercitandosi la sessualità fuori dal matrimonio o nel matrimonio artificiosamente evitando di generare, quel dono è come rifiutato. La dottrina della Chiesa si è svolta per due millenni nella fedeltà a questo schema che coinvolge Dio, l’uomo e la donna. Quanto ne venga nobilitato il sesso nell’essere umano, datore di vita a nuove creature e non solo fonte di naturale godimento individuale, è di solare evidenza. Le società umane, ben prima del cristianesimo, hanno variamente regolato la sessualità conducendola verso la stabilità feconda dell’unione coniugale e della famiglia. In questo il cristianesimo non ha inventato nulla che già non fosse acquisito dall’umanità civilizzata. Ha però dato il significato religioso del nesso tra sessualità e generazione. L’umanità che voglia conservare l’alleanza con Dio, facendosi mediatrice del suo amore per gli uomini attestato con la continuità della vita, ha una ragione in più per proseguire il cammino che natura e storia le avevano finora indicato. La modernità occidentale ha però letto la sessualità come fattore di emancipazione personale dell’uomo e della donna, sia rispetto al legame stabile di coniugio o di convivenza, sia al fine procreativo. La contraccezione meccanica o chimica è lo strumento di una tale emancipazione. La Chiesa consente solo il metodo naturale della continenza coniugale per una procreazione responsabile. Incoraggia invece la scienza a ricerche che prevengano o rimedino le cause della infertilità. Su questo secondo versante la Chiesa incontra due tendenze contraddittorie della società contemporanea, la prima è quella di godere egoisticamente della sessualità negando il dono della vita, la seconda di ottenere con tecniche biomediche prole che naturalmente non si riuscirebbe a generare. Obiezioni già sollevate in questi quaranta anni dalla Humanae vitae, quanto alla contraccezione, che contrasterebbe malattie gravissime come l’Aids, o aiuterebbe a frenare in alcuni paesi in preda alla fame eccessi di crescita demografica, continueranno ad essere opposte alla Chiesa. Ed altri argomenti di diverso tenore nasceranno da un troppo disinvolto ricorso a forme di procreazione medicalmente assistita, quando compromettano l’identità biologica e sociale del nuovo nato, talvolta voluto per un bisogno di affermazione del sé di uno dei genitori, e non per il dono d’amore ad una nuova creatura. Di fronte a tanti conflitti esistenziali forse sarebbe saggio non indugiare in polemiche partendo da premesse così lontane, quale la vita come dono di Dio, o la vita come prodotto disponibile dell’uomo. Piuttosto occorre rendere testimonianza della propria fede, per i credenti e delle persuasioni razionali e dei comportamenti individuali e sociali che ne discendono. Spesso discutiamo come se vivessimo in società omogenee quasi continuando i secoli della cristianità perduta. Dobbiamo imparare a ritornare alle origini, e vivere la nostra vita come segno di evangelica contraddizione.

© Copyright Il Messaggero, 4 ottobre 2008 consultabile online anche qui.

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