26 ottobre 2008
Sinodo, nella trama della storia la parola è un solco affidabili (Semeraro)
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I VESCOVI CI CONDUCONO NELLA LETTURA DELLA BIBBIA
NELLA TRAMA DELLA STORIA LA PAROLA SOLCO AFFIDABILE
MARCELLO SEMERARO
Il Messaggio del Sinodo che oggi si conclude, pubblicato ieri integralmente su queste pagine, è stato scritto con l’intento di raggiungere « l’immenso orizzonte di tutti coloro che nelle diverse regioni del mondo seguono Cristo come discepoli e continuano ad amarlo con amore incorruttibile ». Si tratta, però, anche di una voce ansiosa d’entrare nella casa di ogni persona per veicolare a favore di ciascuno la Parola di Dio.
Più che di un ' Messaggio' sulla Parola di Dio, intendo dire, il testo ora a nostra disposizione è, in qualche modo, la stessa Parola di Dio che, utilizzando gli strumenti umani e gli stessi mass media, si fa 'messaggio'. A tal punto, infatti, lo compongono le parole della Scrittura, da farne quasi un 'centone', un mosaico di cui la gran parte dei tasselli sono pietre cavate dalla Sacra Scrittura. «Intessuto di Sacra Scrittura, spazia dall’Antico al Nuovo Testamento e ne fa il testamento di Dio al suo popolo»: è infatti il giudizio entusiasta rilasciato dal patriarca greco-melkita d’Antiochia Gregorio III Laham.
A proposito, poi, di tessuti, è lo stesso titolo a suggerire l’immagine quando ricorre al termine 'trama' per dirci il luogo della Parola di Dio: nella trama della storia. Nella linearità, ma pure nella tortuosità del suo svolgersi, la storia è una sorta di trama, che diventa storia di salvezza quando è incontrata dall’ordito, che è la Parola di Dio. 'Parola e storia', un binomio fondamentale. Anzitutto, perché c’è proprio la Parola di Dio, come ricorda il Messaggio, all’origine della storia umana. Dio disse. Non cesserà mai nel cuore credente lo stupore per questa indebita – cioè liberissima – Parola. Non udita da alcuno, ma più efficace di ogni altra. Parola 'prima' ed 'unica', da cui tutte le altre parole - anche le nostre più umili e perfino le più inutili - dipendono e sono giudicate. In questo congiungimento di Parola e storia c’è anche la nostra missionarietà. K. Barth ripeteva spesso che tra Bibbia e giornale dovrebbe come scoccare una scintilla. Ciò che intendeva non è distante da quanto è scritto nel Messaggio riguardo all’omelia, dove «il ministro dovrebbe trasformarsi anche in profeta».
Per distinguerne le sue parti il Messaggio ha scelto di ricorrere a termini fortemente evocativi, a parole-simbolo, ciascuna quasi corrispondente a una ' declinazione della Parola di Dio': la sua voce, il suo volto, la sua casa, le sue strade. 'Voce' e 'volto' alludono alla dinamica del mistero dell’Incarnazione. 'Casa' e 'strada' sono simboli della comunione e della missione. Nel 'terzo pilastro' su cui è edificata la 'casa della Parola' c’è la lectio divina, che è stata come la 'litania' sinodale. Si tratta del simultaneo leggere la Scrittura e ascoltare la Parola di Dio, fondato sul fatto che la Parola di Dio «precede ed eccede la Bibbia». Ma poi la Parola vuole « incontrare il grande pellegrinaggio che popoli della terra hanno intrapreso alla ricerca della verità, della giustizia e della pace».
Il Messaggio ripete ciò che S. Gregorio Magno scrisse nei suoi Moralia in Job (cf. V, XXIV, 16): la vita dei buoni è una pagina biblica vivente. Ed è proprio questa vita honorum che da ultimo – come già ebbe a scrivere Giovanni Paolo II – è comprensibile «anche da chi, deluso dall’inflazione delle parole umane, cerca essenzialità e autenticità nel rapporto con Dio, pronto a cogliere il messaggio emergente da una vita in cui il gusto della bellezza e dell’ordine si coniugano con la sobrietà» (Lettera all’Abate di Subiaco, 7 luglio 1999).
Con il richiamo al silenzio si chiude pure il Messaggio, mentre ci torna alla memoria l’annotazione biografica di Clemente Rebora: «La Parola zittì chiacchiere mie».
© Copyright Avvenire, 26 ottobre 2008
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