15 luglio 2007
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Gli ultimi documenti di Benedetto XVI rinnovano il valore del Concilio Vaticano II: ai nostri microfoni, l’arcivescovo di Chieti-Vasto, Bruno Forte, commenta il Motu proprio del Papa e il testo sulla dottrina della Chiesa
Un testo che non presenta alcuna difficoltà ecumenica: è quanto sottolinea l’arcivescovo di Chieti-Vasto, Bruno Forte, a proposito del documento sulla Chiesa cattolica, pubblicato dalla Congregazione per la Dottrina della Fede martedì scorso. In questa intervista di Alessandro Gisotti, mons. Bruno Forte mette l’accento sul forte richiamo del documento al Concilio Vaticano II:
R. - Questo documento ribadisce esattamente ciò che dice il Vaticano II, che parla - distinguendo - di Chiese e di comunità ecclesiali in riferimento alle comunità di cristiani non cattolici. Questo uso era fondato nell’intenzione del Vaticano II di distinguere quelle comunità che hanno mantenuto la natura della Chiesa secondo l’idea cattolica e, dunque, hanno mantenuto il sacerdozio nella successione apostolica e nell’Eucaristia e quelle comunità che, invece, non avendo mantenuto questa stessa natura non possono essere allo stesso titolo considerate Chiese. Questa distinzione intende aiutare l’ecumenismo a costruirsi sempre nel rispetto dell’altro. In altre parole, la diversa idea di Chiesa che hanno le comunità uscite dalla Riforma, fa sì che - esse stesse - nei loro documenti sottolineino questa diversità nei confronti della Chiesa cattolica romana. E’ dunque giusto rispettare questa diversa autocoscienza ed esprimerla anche in un diverso linguaggio.
D. - Fin dall’inizio del suo Pontificato, Benedetto XVI ha invocato un dialogo ecumenico che camminasse sul doppio binario della verità e della carità. Questo documento si inserisce appieno in questa cornice?
R. - Si inserisce nel dialogo della verità proprio perché richiama una fondamentale distinzione relativa al concetto di Chiesa che non bisogna assolutamente ignorare, pena la trasformazione dell’ecumenismo in un irenismo facile, che non serve a nessuno. Richiama anche il valore del dialogo della carità, perché riprendendo l’idea della Lumen Gentium - 8 - ovvero che la Chiesa Una, Santa, Cattolica, Apostolica sussiste nella Chiesa cattolica, sotto la guida del Successore di Pietro e dei vescovi in comunione con lui - usando quel “subsistit in”, quel sussiste, e riprendendone il valore, questa chiarificazione dottrinale intende ricordarci le ragioni per cui il Concilio Vaticano II preferì alla semplice affermazione “est”, alla semplice copula, il verbo “subsistit in”. Se si fosse detto che la Chiesa Una, Santa, Cattolica ed Apostolica "è" la Chiesa cattolica guidata dal Successore di Pietro e dai vescovi in comunione con lui si sarebbe semplicemente affermata una identità che escludeva al di fuori della comunione cattolica ogni grado di comunione, ogni presenza reale dei mezzi di grazia.
D. - Eccellenza, lei sottolinea quanto il Papa si richiami al Concilio Vaticano II, tuttavia - come è noto - alcune critiche espresse proprio ultimamente anche pensando al Motu proprio Summorum Pontificum parlano di un Benedetto XVI che vuole tornare indietro rispetto al Concilio Vaticano II. Eppure, per esempio nella Lettera ai cattolici di Cina, il Papa non cita mai documenti anteriori al Concilio. Dunque, si tratta di giudizi superficiali?
R. - Io sono convinto sulla base delle affermazioni che fa Papa Benedetto fin dall’inizio del suo Pontificato che tutto l’orientamento di fondo del suo messaggio alle Chiese e al mondo è nella linea del Concilio Vaticano II. In questo senso, il Papa lo ha ribadito anche in questi recenti documenti. Anche nel documento relativo all’uso della Messa in latino secondo il Messale di Pio V, Papa Benedetto sottolinea con grande chiarezza il valore irrinunciabile del Concilio Vaticano II e della Liturgia rinnovata da esso, e considera questa la formula ordinaria della Liturgia della Chiesa. Io non vedo in questo documento alcuna forma di tradimento del Concilio e chi interpretasse questo testo nel senso di una contrapposizione o di una rottura con il Concilio non renderebbe ragione alla verità e soprattutto cadrebbe nello stesso errore che hanno commesso i discepoli di mons. Lefevre quando hanno inteso più volte dichiaratamente rifiutare l’autenticità dottrinale del Concilio Vaticano II.
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1 commento:
no comment... (sarei troppo di parte: mons. forte è uno dei vescovi italiani che stimo di più)
francesco
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