12 settembre 2007

Avvenire: nel discorso di Ratisbona lo spartiacque della ragione


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Nel discorso di Ratisbona lo spartiacque della ragione

Giacomo Samek Lodovici

Il 12 settembre di anno fa Benedetto XVI pronunciava la sua lectio magistralis a Ratisbona.

Non è qui possibile riassumere per intero questo discorso strepitoso (che ha sollevato polemiche pretestuose, non sempre in buona fede), perciò ci limiteremo a rimarcarne l'insegnamento più importante per l'uomo della strada. Ebbene, la lectio ha messo in luce l'aspetto di Dio come Ragione e va letta in sinergia (lo cominciò a sottolineare da subito Francesco Botturi su questo giornale) con l'enciclica Deus Caritas est, che si è soffermata su Dio come Amore.

Accenniamo soltanto che da questa valorizzazione della ragione discendono la teorizzazione cristiana della laicità (che non è laicismo) e della legge naturale (che immunizza dalla teocrazia e dal totalitarismo), tesori inestimabili che hanno plasmato in meglio la vita dei popoli di identità culturale cristiana.
Ma, soprattutto, è importante rimarcare che se l'uomo è immagine di Dio, che è Amore e Ragione, anche l'uomo deve coniugare insieme questi due aspetti.
Così, l'amore dev'essere ragionevole, cioè guidato dalla ragione. Il che vuol dire sia evitare l'emotivismo, che è la riduzione dell'amore a sentimento (che è pur importante nella vita), visto come unico criterio dell'agire (cfr. il diffuso modo odierno di vivere le relazioni affettive non solo pre, ma anche matrimoniali), sia bandire le forme di falso amore (come l'eutanasia e l'aborto).
Inoltre, la fede cristiana culmina in un rapporto d'amore, ma è inizialmente propiziata dalla ragione. Ciò implica sia il rifiuto dell'imposizione della fede con la violenza, sia la critica al fideismo (che è il divorzio della fede dalla ragione), al razionalismo e allo scientismo (che è il divorzio della ragione dalla fede).
Il fideismo afferma che la ragione non può dire nulla su Dio e sui contenuti della fede, anzi è dannosa. Ma la fede, se non è razionale, diventa un fatto privato non più comunicabile agli altri e rischia di estinguersi.

Viceversa, la ragione può aiutare ad esercitare l'atto di fede in due modi: può dimostrare che Dio esiste; può dimostrare alcuni aspetti del Dio della fede (Dio come Eterno, Onnipotente, Somma Verità, Somma Bontà, ecc). Certo, la fede approfondisce la nostra conoscenza filosofica di Dio e col Dio dei filosofi non c'è un rapporto di comunione interpersonale. Ma la ricerca razionale su Dio è pur sempre un tesoro, per le funzioni appena menzionate. Perciò tralasciarla è come rinunciare ad un tesoro solo perché è meno grande di un altro.

Lo scientismo dice che Dio, l'anima e le grandi domande sono temi irrazionali. Ma se non è possibile rispondere alle grandi domande, il bene e il male diventano una scelta soggettiva ed arbitraria: così lo scientismo porta al relativismo ed alla sua dittatura. Quest'ultima si traduce nella dittatura del desiderio: non è più l'uomo ad adeguarsi alla realtà, ma è la realtà a doversi adeguare all'uomo, a doversi conformare alle sue voglie ed ai suoi desideri.
Il razionalismo nega ciò che non è razionalmente conoscibile. Ma questo è un errore di una ragione presuntuosa, che dimentica di essere finita e di non poter dunque conoscere tutto. Essa, però, di fatto, si sminuisce: se l'uomo non può più interrogarsi razionalmente sulle realtà essenziali della sua vita, sulla sua origine e sul suo fine, sul suo dovere morale e su quanto gli è lecito, sulla vita e sulla morte, ma deve rimettere questi problemi decisivi a un sentimento separato dalla ragione, allora non la innalza, ma la priva del suo onore.

© Copyright Avvenire, 12 agosto 2007

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