12 settembre 2007
Il Papa in Austria: il commento di Famiglia Cristiana
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CHIESA
LA VISITA DI BENEDETTO XVI IN AUSTRIA
UNA SCOSSA AL CUORE DELL’EUROPA
A Vienna Joseph Ratzinger ha esortato il Paese e tutto il vecchio continente a ritrovare le sue radici cristiane. E a non aver paura della Verità con la "V" maiuscola.
Alberto Bobbio
Vienna
Forse ha troppa considerazione di sé, o forse è il suo orgoglio di vecchia città al crocevia di tutto che ha fatto osservare il Papa con un po’ di indifferenza. Alla Messa nel grandioso duomo gotico di Santo Stefano, domenica, i viennesi hanno dato l’impressione di essere andati più che altro per ascoltare le potenti note della Missa Cellensis, composta da Haydn nel 1782, magnificamente eseguita dall’orchestra e dal coro della cattedrale di Vienna.
Eppure, il Papa ha costretto anche l’Austria a fare i conti con sé stessa, con la sua fede, con i valori della vita e della convivenza e con lo spazio culturale che occupa nel cuore dell’Europa.
Benedetto XVI arriva a Vienna e va subito alla Mariensäule a pregare davanti alla colonna con le diverse immagini della Vergine. In cima al fusto di bronzo, gli angeli armati abbattono i quattro flagelli dell’umanità: la fame, la peste, la guerra e l’eresia. C’è un messaggio in questa scelta? Perché cominciare proprio da lì? Quali sono oggi i flagelli dell’umanità? La fame, la malattia e la guerra sono ancora intatte nel mondo. E l’eresia?
Oggi è la dimenticanza di Dio. Joseph Ratzinger ha trasformato il viaggio in Austria e il pellegrinaggio a Mariazell in una lezione magistrale, esattamente un anno dopo quella di Ratisbona, di cui ha ripreso concetti e ragionamenti.
Scandisce sotto la pioggia di Mariazell, santuario nazionale d’Austria: «Dio non fallisce, Dio ci lascia la nostra libertà». Poi mette al centro la crisi dell’Occidente e della cultura europea e spiega che «il nocciolo della crisi» è la «rassegnazione di fronte alla verità». Il Papa teologo argomenta che tutto ciò «non significa affatto disprezzo delle altre religioni, né assolutizzazione superba del nostro pensiero: se per l’uomo non esiste una verità, egli non può distinguere neppure tra il bene e il male».
È il tema del relativismo, che intreccia la questione dell’onnipotenza della scienza. Il Papa mette in guardia dalle «meravigliose conoscenze della scienza», che «possono diventare ambigue», prospettiva «per il bene e la salvezza dell’uomo», ma anche «terribile minaccia».
Poi il passaggio che più si avvicina a quanto disse un anno fa a Regensburg quando, citando la discussione tra un dotto musulmano e Manuele iI Paleologo, imperatore di Costantinopoli, papa Ratzinger pose il problema della verità e fu accusato di intolleranza: «A motivo della nostra storia abbiamo paura che la fede nella verità comporti intolleranza».
Un ruolo guida nel mondo
Ma è stato anche un viaggio nella città più internazionale d’Europa, la terza sede dell’Onu, dopo New York e Ginevra. A Vienna sono ospitate 25 organizzazioni internazionali e abitano 5.000 funzionari dell’Onu. Sono loro che dovrebbero lottare contro i flagelli moderni dell’umanità. Benedetto XVI da qui benedice l’Europa, esalta il modello sociale delle vecchia Europa, che mette insieme «efficienza economica e giustizia sociale», e la sprona ad assumere un ruolo guida nel mondo e a far valere il suo peso politico in Africa e in Medioriente. Ma deve essere un’Europa che non rinnega le sue radici cristiane, che torna a fare figli, che rifiuta aborto ed eutanasia, che in Austria viene chiamata «attivo aiuto a morire».
È un ragionamento contro gli euroscettici. E farlo in Austria, unico Paese d’Europa cui l’Unione impose sanzioni, quando il supernazionalista xenofobo Heider andò al governo, costringe Vienna a fare altri conti con sé stessa. Così come è accaduto per la brevissima e silenziosa preghiera insieme al rabbino capo della capitale davanti al memoriale delle vittime ebraiche. I nazisti uccisero 65.000 ebrei austriaci. Ma a Vienna nel 1421 il cattolicissimo duca Albrecht V sterminò la comunità degli ebrei, che rifiutavano il battesimo forzato, rase al suolo la sinagoga e la scuola ebraica, la più importante d’Europa nel Medioevo. Solamente nel 2000 l’Austria ha costruito il memoriale sulla Judenplatz, la piazza degli ebrei, dove sei secoli fa sorgeva la sinagoga.
Il Papa ha detto, mentre era in volo per Vienna, che la tappa è stata scelta per testimoniare «tristezza, pentimento e amicizia con i fratelli ebrei». E il cardinale Schoenborn, riferendosi alla memoria tiepida dell’Austria e di Vienna, ha osservato che «fa parte della tragedia di questa città aver dimenticato che proprio qui le sue radici ebraiche sono state negate fino ad arrivare alla decisione di sterminare un popolo, a cui andò il primo amore di Dio».
Insomma, il Papa ha scosso l’Austria e la sua fede, sempre più minoritaria. Lo aveva annunciato durante il volo: «Vado in Austria per confermare la gente nella fede, perché oggi abbiamo bisogno di Dio e una vita senza Dio è senza orientamento».
Il cardinale del dialogo
La fede in Austria ha vissuto momenti difficili e tensioni da cui solo ora sta uscendo. Benedetto XVI è il primo Papa che va a Vienna dopo il dramma delle dimissioni, 10 anni fa, dell’arcivescovo Groer, in seguito allo scandalo sulle molestie sessuali in seminario, che portarono alla crescita della sezione austriaca del movimento "Noi siamo Chiesa", nato qui e in Germania nel 1995, che chiedeva più democrazia nella Chiesa. In Austria quel movimento ha coinvolto parroci, laici, dirigenti delle associazioni e religiosi.
Oggi risulta molto ridimensionato, anche per l’intelligente azione di mediazione pastorale del cardinale Christoph Schoenborn, allievo di Ratzinger, nominato nel 1998 arcivescovo di Vienna.
Tuttavia, i numeri della presenza ecclesiastica ne hanno risentito. Negli ultimi 15 anni la Chiesa austriaca ha perso quasi mille sacerdoti. L’anno scorso le ordinazioni hanno toccato uno dei livelli più bassi della storia con solo 31 nuovi sacerdoti. Dopo gli scandali, la Conferenza episcopale acconsentì di organizzare un incontro annuale di verifica con tutte le componenti ecclesiali. Ma se ne tenne solo uno a Salisburgo nel 1998. Poi il cardinale Schoenborn preferì la strada della discussione capillare nelle diocesi e nelle parrocchie. Lo ha chiamato Dialog für Österreich, "dialogo per l’Austria".
Le tensioni e le controversie in questi anni non sono mancate, ma alla fine ne sono usciti rafforzati la fede e il ruolo della Chiesa. Oggi Schoenborn ammette che «nelle ultime due generazioni i legami tradizionali con la fede cattolica si sono affievoliti ma, dopo anni difficili, c’è di nuovo coraggio a essere presenti nella società». Il risveglio è testimoniato anche dalla Missione urbana di Vienna e nell’elezione avvenuta a maggio di 35 membri dei consigli parrocchiali, base democratica della Chiesa su cui Schoenborn ha puntato molto.
Sul piano sociale la Conferenza episcopale ha promosso l’"Alleanza per la domenica", un’iniziativa per la difesa della domenica come giorno del Signore e come giorno di riposo, partita dalla diocesi di Linz, che ha avuto il consenso e l’appoggio delle organizzazioni sindacali e di alcuni partiti politici, di cui il Papa ha parlato nell’omelia della Messa nella cattedrale di Santo Stefano.
La "vaporizzazione della fede"
Poi c’è il volontariato, una realtà che in Austria supera i confini della Chiesa. Il Papa ha incontrato i volontari alla Wiener Konzerthaus, la splendida sala conosciuta in tutto il mondo per via del Concerto di Capodanno, e li ha incoraggiati a essere «custodi e avvocati dei diritti dell’uomo e della sua dignità».
Ma ancora non basta. È la «vaporizzazione della fede», come l’ha definita il più autorevole quotidiano viennese Die Presse, un cattolicesimo austriaco che rischia di diventare evanescente e poco incisivo, per implosione interna più che per turbolenze esterne, con il rischio che si affermi una fede vaga, un cattolicesimo debole nel pensiero.
Ma Ratzinger non ha lanciato anatemi, né ha fatto riferimento diretto alle questioni polemiche che hanno scosso la Chiesa austriaca. Ai sacerdoti ha chiesto di stare vicino alla gente, di fare un «severo esame di coscienza sulla povertà e sui poveri», di essere casti, nel senso di «vivere un amore disinteressato per gli uomini» e di obbedire a Dio, che nella prassi significa «concretamente un’umile obbedienza alla Chiesa».
© Copyright Famiglia Cristiana n. 37 del 16/9/07
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