10 settembre 2007

«Questo Papa è fatto così: parla per dieci minuti e tu, dopo, passi due ore, o magari tre, d'incanto!»


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«Questo Papa è fatto così. Che lui parla per dieci minuti e tu, dopo, passi due ore – o magari tre – d'incanto, perso nelle profondità del mare che la sua memoria innamorata fa affiorare alla limpida superficie delle parole che hanno avuto il privilegio di esser pronunciate. E i giorni successivi te ne vai leggero sulla loro eco, aspettando un nuovo appuntamento. E fortuna che c'è internet, così puoi rileggertele quante volte vuoi».

Non volevo iniziare così. Non è professionale. Avevo scelto un altro esordio, questo: «L'età e il mondo di un uomo si rivelano nelle sue reazioni alle sigle e alle date. Chiedi al primo che passa cosa significhi l'11 settembre, e quasi tutti ti risponderanno: l'attacco alle Torri Gemelle. Bisogna essere un poco avanti negli anni per ricordare che, prima, quel giorno era il giorno oggi dimenticato del golpe di Pinochet. Ed è necessario esser cattolici per legare questi residui giorni d'estate alla gloriosa resistenza di Vienna contro l'esercito ottomano nel 1863. Il 12 settembre, quello della battaglia conclusiva, ricorre la festa del Nome di Maria perché così decretò papa Innocenzo XI a ricordo e ringraziamento della protezione che la Vergine assicurò ai suoi fedeli, accorsi da tutta Europa. Da quel momento l'immagine della Madonna campeggiò su tutte le bandiere militari dell'impero asburgico fino a quando, con l'Anschluss, Hitler la fece rimuovere. La campana che – legate tutte le altre – mantenne vivo lo spirito dei difensori (chiamata Angstern, "angoscia") era quella della cattedrale, Santo Stefano, nella quale Papa Benedetto ha celebrato oggi la Messa». Volevo anche inserire un riferimento al beato Marco d'Aviano e al re polacco Giovanni III Sobieskj, perché questo Papa non dimentica il suo amato predecessore neanche quando non lo cita espressamente. Ho però desistito da un simile esordio perché, dopo Ratisbona, i trascorsi coi turchi è meglio evitarli. Ma il largo spazio riservato a Maria durante questa visita non è certo casuale.
Ho allora provato con la questione della domenica, che l'attuale governo austriaco vorrebbe ridurre allo status di giorno comune. Il cardinale Schönborn, arcivescovo di Vienna, grande personalità anche preso da solo, ma per di più grande amico del Papa, deve avergli esposto anche questa preoccupazione nel recente incontro a Castel Gandolfo. L'omelia è stata tutt'altro che evasiva su questo punto: «"Sine dominico non possumus!" Senza il dono del Signore, senza il Giorno del Signore non possiamo vivere».
Chi ha orecchie per intendere, intenda. E le orecchie devono averle soprattutto quei cattolici che – col loro disertare i sacramenti – rendono plausibile l'iniziativa del governo. Ma non mi pareva, questa contrapposizione tra esigenze della fede e progetti dell'esecutivo, una chiave capace di rendere giustizia fino in fondo (ammesso che sia possibile. Ma almeno bisogna provarci) alle parole di papa Benedetto. Che ha certo preso le mosse da questa occasione, ma per trasformarla in una questione di risonanza e profondità ben più ampie: la questione stessa del tempo e del suo significato.
Si tratta di una questione caratteristicamente agostiniana, e troppo noto è il dialogo serrato che il vescovo di Roma mantiene col suo antico collega di Ippona perché se ne parli. Ma è, quella del tempo e del suo significato, anche questione assai moderna, che ha trovato soprattutto nel poeta angloamericano T.S. Eliot formulazioni decisamente accattivanti. «Quindi giunsero, in un momento predeterminato, un momento nel tempo e del tempo,/ Un momento non fuori del tempo, ma nel tempo, in ciò che noi chiamiamo storia: sezionando bisecando il mondo del tempo.../ Un momento nel tempo, ma il tempo fu creato attraverso quel momento: poiché senza significato non c'è tempo, e quel momento di tempo diede il significato"». Avrei potuto iniziare con questi famosi versi da "La Rocca". O meglio, con quelli che terminano la strofe precedente: «Deserto e vuoto. Deserto e vuoto. E la tenebra sulla faccia dell'abisso». Prosegue infatti l'omelia: il contatto col dono di Dio «non è solo un contatto spirituale, interno, soggettivo: l'incontro col Signore si iscrive nel tempo attraverso un giorno preciso. E in questo modo si iscrive nella nostra esistenza concreta, corporea e comunitaria, che è temporalità. Dà al nostro tempo, e quindi alla nostra vita nel suo insieme, un centro, un ordine interiore». Dà al nostro tempo un centro, perché fuori da quell'incontro c'è solo deserto e vuoto. C'è, o minaccia ogni momento di esserci, il nulla.
«Senza Colui che sostiene la nostra vita col suo amore – abbiamo ascoltato poco dopo – la vita stessa è vuota». Così la domenica si iscrive all'alba di ogni settimana come all'alba di ogni giorno risuona nella preghiera delle Lodi l'invocazione: «Dona, Signore, significato al tempo e vera utilità all'agire». La domenica è la cifra, il sigillo impresso sul tempo del vuoto e del nulla incombenti, per trasformarli nel tempo della nuova e definitiva creazione.
Era così, dunque, che avrei voluto iniziare: «Nella cattedrale di Santo Stefano, avvolto dalla inenarrabile bellezza della musica che tanto ama, papa Benedetto ha dato inizio alla battaglia decisiva del nostro tempo, quella contro l'orrore e il niente di cui il potere vorrebbe che fossero fatti i nostri giorni. Non siamo fatti né per le fabbriche fumose ed assordanti, né per le patinate società di servizi, né per soggiacere alle dilaganti illusioni delle notti bianche. Siamo fatti per la bellezza strepitosa del giorno che l'incontro col Signore ci ha resi capaci di riconoscere e sostenere senza fuggire. Così pensavano, a proprio rischio e pericolo i martiri del IV secolo. Così dobbiamo nuovamente imparare a pensare noi, cristiani del III millennio».
Ma nemmeno di questo esordio un po' sopra le righe ero contento. Così l'ho messo alla fine.

© Copyright L'Eco di Bergamo, 10 settembre 2007

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