5 novembre 2007

Immigrazione, l'appello del Papa all'accoglienza ed alla sicurezza: il commento del Messaggero


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Il Papa: sicurezza e accoglienza nei confronti degli immigrati

di FRANCA GIANSOLDATI

CITTA' DEL VATICANO - «Diritti» agli stranieri ma anche «doveri». Dopo il monito a «tenere alto il profilo della convivenza civile» fatto all'indomani della morte di Giovanna Reggiani, Papa Ratzinger ritorna sul tema legato all'immigrazione, calcando l'accento sulla necessità di coniugare accoglienza e legalità. All'Angelus domenicale, dopo una riflessione sul pubblicano Zaccheo, ha tratteggiato in poche battute la ricetta che permette di realizzare la «vera convivenza». Che, in buona sostanza, ha riferito ai tanti fedeli che lo seguivano in una piazza san Pietro inondata dal sole, costituisce un «incontro tra popoli». Dietro queste tre parole - incontro tra i popoli - è racchiuso un intero mondo fatto di decennali sforzi da parte di uomini di Chiesa per gettare ponti con l'Islam, c'è il difficile cammino verso le diverse culture in un mondo sempre più globalizzato, c'è la volontà a non chiudersi al diverso. E la religione – come aveva intuito Giovanni Paolo II già nel 1979 quando per primo chiamò «fratelli» i musulmani - è un veicolo prezioso per abbattere muri e costruire ponti.
«Ancora una volta il Vangelo ci dice che l’amore, partendo dal cuore di Dio e operando attraverso il cuore dell’uomo, è la forza che rinnova il mondo» ha detto Benedetto XVI.
Senza mai citare esplicitamente l'omicidio della donna aggredita dal romeno a Tor di Quinto, né le polemiche in atto con la Romania per il rischio di xenofobia verso gli immigrati di quella nazione, il Papa ha confidato di essere speranzoso e di assistere alla realizzazione di «relazioni tra popoli migranti e popolazioni locali» secondo lo «spirito di quell'alta civiltà morale frutto dei valori spirituali e culturali di ogni popolo e paese». Allo stesso tempo, però, non ha esitato ad invitare le autorità, soprattutto «chi è preposto alla sicurezza e all'accoglienza» degli stranieri, a «garantire loro i diritti e i doveri che sono alla base di ogni vera convivenza». Il passaggio del dopo Angelus è stato volutamente privato da qualsiasi riferimento al caso italiano dato che situazioni analoghe si riscontrano in tante zone del mondo, spesso a carico dei cristiani che fuggono disperati da situazioni di guerra.
«Quello di Benedetto XVI è stato un discorso di carattere generale. Anche se poco prima aveva ricordato con preoccupazione i problemi emersi tra la Turchia e il Kurdistan iracheno, non si riferiva solo a quella zona del mondo. E’ ovvio che in questa cornice generale rientra anche l'Italia» ha commentato il direttore della Sala Stampa, padre Federico Lombardi, chiamato a dare una interpretazione subito dopo l'Angelus.
La Chiesa di fronte al grande tema dell'immigrazione da tempo - attraverso una vasta pubblicistica, i discorsi papali, i non pochi documenti vaticani - non disgiunge mai l’accoglienza evangelica, ricordando il dramma della Famiglia di Nazareth in fuga dall’Egitto, al necessario rispetto delle leggi vigenti.
Nell'ottobre scorso col nuovo ambasciatore del Belgio Benedetto XVI rifletteva sul dramma dei sans-papier rammentando l'importanza di mettere in campo una politica dell'immigrazione tale da «conciliare gli interessi» dei paesi occidentali col «necessario sviluppo dei paesi svantaggiati», il che vuol dire, aggiungeva, approfondire la conoscenza reciproca rispettando le convinzioni religiose di ciascuno, così come «le legittime esigenze della vita sociale, in conformità con le leggi in vigore». Secondo Papa Ratzinger solo così si neutralizzerebbe la mala pianta del «nazionalismo esacerbato e della xenofobia» e «si potrà sperare in uno sviluppo armonioso delle nostre societa'».
Un recente articolo apparso sulla Civiltà Cattolica a proposito del Dossier statistico della Caritas sull’immigrazione in Italia evocava un cambiamento di mentalità da parte di milioni di italiani. La rivista che rispecchia gli orientamenti della Segreteria di Stato vaticana, ha affidato a padre Michele Simone il compito di denunciare il dilagare di stereotipi e l’equazione immigrato uguale criminale.
«Questo non vuol dire che bisogna cedere al buonismo e negare che esistano anche problemi e difficoltà di vario genere. Ma - annotava il gesuita - essi vanno affrontati a viso aperto, perchè gli immigrati sono e saranno ancora più in futuro una necessaria presenza nella società europea».

© Copyright Il Messaggero, 5 novembre 2007


Don Vinicio Albanesi: «Criminali venuti in Italia certi di trovare una zona franca»

di ANNA MARIA SERSALE

ROMA - Giovanna Reggiani non doveva morire, l’Italia è ancora sgomenta. Ora, dopo l’orrore, siamo di fronte a molti interrogativi. Don Vinicio, dove abbiamo sbagliato?

«Le istituzioni sono troppo ferme, hanno aspettato questa ondata di immigrazione con rassegnazione, prima l’arrivo degli albanesi, poi dei romeni. Sì, ora c’è l’Europa, è vero, ma quell’ondata senza regole va fermata. Invece li abbiamo accolti come se fossero olandesi, francesi, tedeschi, quindi senza fare nulla per l’integrazione. Senza contare che molti non sono abituati alla democrazia, intesa come relazione sociale. Se non prendiamo atto che hanno una cultura diversa, che ha conosciuto le leggi arcaiche della violenza, continueremo a sbagliare. La verità è che bisogna fare una grande opera di mediazione per creare le basi della convivenza, ma non è stato fatto. Finora abbiamo sottovalutato il problema. Ci siamo limitati a dare i documenti e abbiamo chiuso gli occhi sulle situazioni di marginalità estrema. Le donne, le badanti, hanno fatto un’opera straordinaria, ma c’è un’altra faccia della medaglia. Forse alla seconda o terza generazione le cose andranno meglio».

All’intervista risponde don Vinicio Albanesi, fondatore della storica Comunità di Capodarco.

Non si può cedere alla logica della vendetta e alla violenza non si risponde con la violenza, ma c’è anche una esigenza di fermezza con chi non rispetta le regole.

«Vado spesso in Romania, lì, se uno ruba, viene prima caricato di botte, poi lasciato in carcere sette anni. Poi se ne riparla. Chi è venuto qui, invece, ha trovato una specie di terreno molle, morbido. Per molti di loro l’Italia è il Paese con poche regole, con regole che si possono aggirare. Ci sono gruppi che dicono “andiamo a fare i soldi in Italia”. Ci sono criminali che sono venuti qui per delinquere, certi di trovare un terreno fertile. Di questo ci si poteva accorgere in tempo e non guardare rassegnati».

Qual è la sua proposta?

«Occorre trattare con la Romania, con le autorità locali, Loro sanno chi parte. Se da un paese si muove uno, gliene vanno appresso dieci. Bisogna chiedere: vieni in Italia, a fare che? Non si possono solo invocare e difendere i diritti di trasmigrazione. E poi c’è il problema dei Rom. Sono due milioni e mezzo e sono trattati come bestie e tenuti al margine. Anche loro vogliono venire. E’ inevitabile che poi si creino situazioni di degrado, zone franche. Ora non è più tempo di proclami».

© Copyright Il Messaggero, 5 novembre 2007