14 novembre 2007

Padre Justo Lacunza Balda parla a "L'Occidentale" dell'incontro di Papa Benedetto con il Re saudita


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"Islam e Cristianesimo non possono incontrarsi, ma musulmani e cristiani sì"

Intervista a Justo Lacunza Balda di Emiliano Stornelli

L’incontro che si è svolto ieri tra Benedetto XVI e il re saudita Abdullah è certo un avvenimento di portata storica. Abdullah era già stato accolto in Vaticano nel 1999, nelle vesti di erede al trono, e altri incontri al vertice si sono tenuti in passato; ma è la prima volta che un sovrano saudita, custode dei luoghi sacri dell’Islam - la Mecca e Medina -, si reca in visita al capo della Chiesa cattolica.
Tra la Santa Sede e Riyad non intercorrono relazioni diplomatiche; i rapporti sono sempre stati difficili per via della mancanza di libertà religiosa che in Arabia Saudita affligge le minoranze di confessione diversa dal wahhabismo, la radicale e intollerante versione dell’Islam imperante nella sfera politica saudita. La vita dei musulmani non wahhabiti (sciiti e sufi) e dei milioni di lavoratori stranieri cristiani, induisti e buddisti, è costantemente minacciata dalle angherie della temibile Mutawwa’in, la polizia religiosa del Dipartimento per la Prevenzione del Vizio e la Promozione della Virtù. La legge consente ai non wahhabiti di praticare la propria fede in privato, ma di frequente gli uomini della polizia religiosa puniscono l’esercizio di tale libertà, procedendo ad arresti arbitrari con accuse vaghe e pretestuose, una mera scusa per sequestrare pubblicazioni, icone e altro materiale di natura religiosa e per distruggere i luoghi di culto di altre confessioni sorti clandestinamente.

Ecco perché Benedetto XVI ha posto al centro del suo colloquio con re Abdullah il dialogo interreligioso e le sorti della numerosa comunità cristiana residente in Arabia Saudita, composta in larga parte da cattolici (oltre un milione) provenienti soprattutto dal sud-est asiatico. Delle ragioni di questo storico incontro e dell’importanza del dialogo interreligioso ci parla Padre Justo Lacunza Balda, massimo conoscitore del mondo islamico, già docente al Pontificio Istituto di Studi Arabi e d’Islamistica (Pisai).

Che significato va attribuito all’incontro di ieri tra Benedetto XVI e il re saudita Abdullah?

La visita segna anzitutto l’inizio di nuovi rapporti tra il Vaticano e l’Arabia Saudita. Si tratta di un importante avvicinamento anche se i due stati ancora non stabiliscono relazioni diplomatiche ufficiali.

Cosa ha detto il Papa al sovrano saudita?

Benedetto XVI ha posto sul tavolo soprattutto il problema della libertà religiosa in Arabia Saudita. Milioni sono infatti gli stranieri - cristiani, cattolici, ma anche di altre religioni - che vivono in Arabia Saudita e contribuiscono al benessere, allo sviluppo e alla storia di questo paese, ma non possono praticare liberamente il proprio culto.

Dopo questo incontro le condizioni di vita dei cristiani in Arabia Saudita miglioreranno?

E’ evidente che non si possono risolvere in un batter d’occhio problemi così delicati come quello della libertà religiosa e di culto in Arabia Saudita. A volte manchiamo di pazienza e siamo presi dalla smania di voler risolvere i problemi in poco tempo. Ma già che la stampa ne abbia iniziato a parlare e che sull’argomento si sia svolto un incontro di tale portata storica è già un grande passo in avanti. Oggi, contrariamente al passato, si può parlare apertamente della mancanza di libertà religiosa nel mondo, ma affrontare la questione non spetta solo alla Chiesa. Gli stati dovrebbero domandarsi cosa fanno concretamente per difendere i diritti fondamentali, come quello di professare liberamente il proprio culto. Sull’argomento s’incontra troppo spesso ignoranza, apatia e odio verso le istituzioni religiose.

E’ possibile un incontro tra Islam e Cristianesimo?

Islam e Cristianesimo non possono incontrarsi, ma musulmani e cristiani sì. Il dialogo si fa tra uomini e donne che sono disposti ad ascoltare e a imparare, ad approfondire la propria identità, la propria religione e quella altrui. L’ostacolo principale al dialogo è proprio l’ignoranza dell’Islam da parte dei cristiani e viceversa.

Il dialogo interreligioso e interculturale su quale terreno devono essere posto?

Il dialogo deve basarsi sui problemi reali, su cose concrete, non sulle ideologie che i problemi non li risolvono. Da questo punto di vista, penso che in tutti i paesi musulmani il dialogo continui a essere una realtà, Arabia Saudita inclusa. Pertanto, è positivo che nella nota congiunta alla fine dell’incontro sia stata sottolineata l’esigenza di proseguire lungo la strada del dialogo interreligioso e interculturale. Questo rappresenta un nuovo sviluppo, un elemento di progresso perché indica che è arrivato finalmente il momento di affrontare, in maniera aperta e con franchezza, i problemi tra cristiani, ebrei e musulmani, che non sono solo di natura culturale, ma vanno a incidere profondamente sui rapporti internazionali.

Come giudica la lettera dei 138 saggi musulmani a Benedetto XVI?

E’ già un segno di buona volontà che 138 intellettuali, docenti e capi religiosi musulmani abbiano messo la loro firma su un documento. E’ vero che la lettera non affronta molti problemi, come appunto quello della libertà religiosa, dei diritti delle minoranze e delle sofferenze patite dalle comunità cristiane nei paesi musulmani. Rappresenta comunque un grande passo in avanti che apre due strade di fronte a noi: quella della ricerca di fondamenta comuni (Giovanni Paolo II parlava di “orizzonte comune del Dio vivente) e quella che, attraverso il dialogo interculturale e interreligioso, deve portare l’uomo e la società a un cambiamento interiore.

© Copyright L'Occidentale, 7 novembre 2007

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