2 novembre 2007

Come la Chiesa di Roma risponde alla lettera dei 138 musulmani (di Sandro Magister)


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Come la Chiesa di Roma risponde alla lettera dei 138 musulmani

Per ora parlano solo gli esperti, mentre si studia la risposta ufficiale. Ma intanto un parallelo scambio di messaggi è in corso tra il cardinale Jean-Louis Tauran e il teologo libico Aref Ali Nayed. Eccone i testi integrali

di Sandro Magister

ROMA, 2 novembre 2007 – Hanno cominciato un anno fa in 38 con una lettera aperta a Benedetto XVI, un mese dopo la sua lezione di Ratisbona, e presto sono diventati 100.

Lo scorso 11 ottobre erano 138 e hanno scritto una seconda lettera al papa e ad altri capi delle Chiese cristiane.

Ora sono 144 di 44 nazioni, appartenenti alle diverse correnti e scuole del pensiero musulmano, sunniti, sciiti, ismailiti, jaafariti, ibaditi.
L’ultima firma è arrivata il 26 ottobre ed è quella di Tariq Ramadan, il più controverso pensatore islamico in terra d’Occidente, domiciliato a Ginevra, presidente a Bruxelles dell’European Muslim Network, professore a Oxford, ma anche nipote e discepolo del fondatore dei Fratelli Musulmani, storica fucina del fondamentalismo.
Tra i dotti musulmani che hanno firmato la seconda lettera al papa, Ramadan non è il solo a suscitare allarme. C’è il rettore dell’università di al-Azhar al Cairo, Ahmad Muhammad al-Tayeb, c’è lo shaykh Izz al-Din Ibrahim fondatore dell'Università degli Emirati Arabi Uniti, ve ne sono altri come loro che elevano a “martiri” i terroristi che si fanno esplodere in un mercato, su un autobus, in una scuola.
Il contrasto è stridente, con una lettera che fin dal titolo vuol fare dell’amore di Dio e del prossimo la “parola comune” tra musulmani e cristiani.

Ma ai vertici della Chiesa di Roma la consegna è di guardare alle effettive novità e agli elementi positivi dell’iniziativa musulmana, e di preparare una risposta all’altezza.

Mentre dopo la lettera dei 38 dell’ottobre del 2006 dal Vaticano non venne alcun cenno – con forte delusione dei musulmani che l’avevano scritta – dopo questa successiva lettera dei 138 sono arrivati subito dei segnali di apprezzamento autorevoli.
Il primo è venuto dal cardinale Jean-Louis Tauran, presidente del pontificio consiglio per il dialogo interreligioso.
Il secondo dal cardinale Angelo Scola, patriarca di Venezia e fondatore di un centro studi e di una rivista in più lingue tra cui l’arabo e l’urdu, “Oasis”, dedicati proprio alle Chiese cristiane nei paesi a dominante musulmana.

Tauran ha annunciato dai microfoni della Radio Vaticana che alla lettera “certamente si risponderà”.

In attesa della risposta ufficiale, che arriverà tra qualche mese non da Benedetto XVI in persona ma dall’ufficio vaticano ad hoc presieduto dal cardinale Tauran, sono però già entrati in azione gli esperti.

Il PISAI, Pontificio Istituto di Studi Arabi e di Islamistica, ha messo in cantiere una conferenza con studiosi musulmani, cristiani ed ebrei e ha pubblicato il 25 ottobre un proprio commento alla lettera dei 138, firmato dal preside, padre Miguel Angel Ayuso Guixot, e da quattro professori dell’istituto, i padri Etienne Renaud, Michel Lagarde, Valentino Cottini e Felix Phiri.

Due altri approfonditi commenti alla lettera hanno avuto per autori due islamologi gesuiti molto apprezzati e ascoltati da papa Joseph Ratzinger: l’egiziano Samir Khalil Samir e il tedesco Christian W. Troll.

Sia la nota di padre Troll, sia il commento dei docenti del PISAI hanno evidenziato, tra i pregi e le novità della lettera, il suo rivolgersi benevolmente anche agli ebrei, specie là dove essa scrive che l’amore di Dio è il primo comandamento non solo nel Corano e nel Vangelo cristiano, ma anche “nell’Antico Testamento e nella liturgia ebraica”.

Ma sono soprattutto le novità in campo islamico quelle che più attirano l’attenzione delle autorità della Chiesa. Mai prima d’ora dei musulmani di così diverse tendenze si erano trovati concordi, per di più sul terreno minato del rapporto con i cristiani.

L’iniziativa è partita da Amman, da re Abdullah di Giordania e soprattutto dal principe Ghazi bin Muhammad bin Talal, presidente dell’Aal al-Bayt Institute for Islamic Thought, un dotto musulmano che il gesuita Samir definisce “quanto di meglio oggi esiste nell’islam”, sposato con una induista.
Giordano è anche Sohail Nakhooda, direttore di “Islamica Magazine”, il periodico che va per la maggiore nelle università d’Inghilterra e d’America, tra i docenti di fede musulmana.
Due altri componenti di spicco del brain trust sono lo shaykh Hamza Yusuf Hanson, direttore dello Zaytuna Institute, in California, e il teologo libico Aref Ali Nayed, con cattedra a Cambridge, già docente del Pontificio Istituto di Studi Arabi e di Islamistica.
E poi c’è Yahya Sergio Yahe Pallavicini, l’unico italiano che ha firmato la lettera dei 138, uno studioso che assieme a Nayed fa da tramite con le autorità vaticane.
L’obiettivo iniziale del comitato di Amman era di rafforzare il consenso dottrinale e pratico nel campo musulmano, soprattutto tra sciiti e sunniti. Nel 2004, un documento d’intesa in tre punti fu sottoscritto da più di 500 leader islamici di tendenze anche opposte, compresi il grande ayatollah antikhomeinista al-Sistani, lo shaykh di al-Azhar Tantawi, il leader ideologico dei Fratelli Musulmani al-Qaradawi e persino il presidente iraniano Ahmadinejad.

Poi, il 12 settembre 2006, arrivò Benedetto XVI con la sua folgorante lezione di Ratisbona. E il comitato osò il grande passo di tendere una mano amichevole al papa e alle sue tesi su fede e ragione.

Perse per strada le firme degli intolleranti. Ma con le due lettere dei 38 e dei 138 ha aperto un cammino nuovo ed audace, mai percorso fin qui nella storia, dagli sviluppi imprevedibili.
Un cammino che è anche irto di ostacoli, come mostra la nota qui di seguito.


Primi incidenti di percorso

Domenica 21 ottobre, a pranzo, alla tavola di Benedetto XVI che era in visita a Napoli sedeva uno dei firmatari della lettera dei 138 musulmani al papa, lo shaykh Izz al-Din Ibrahim, degli Emirati Arabi Uniti. Ma c’era anche il rabbino capo di Israele, Yona Metzger. E solo la presenza del papa riportò il sereno tra i due, al primo accenno di scontro.

Ma nel pomeriggio, ripartito Benedetto XVI per Roma, il musulmano e il rabbino ripresero a duellare, questa volta in pubblico, dalla tribuna inaugurale dell’incontro interreligioso organizzato dalla comunità di Sant’Egidio. Il rabbino Metzger accusò di doppiezza coloro che parlano di pace e nello stesso tempo tacciono sulle minacce dell’Iran di cancellare Israele dalla faccia della terra. Lo shaykh Ibrahim ribatté rovesciando l’accusa sui nemici del “pacifico” Iran, in testa “lo stato fantoccio” Israele imbottito di “mezzi di distruzione di massa”.

Dietro le quinte del meeting di Napoli covava però anche un’altra polemica, che andava a mordere le autorità vaticane.

Ad accenderla era stata una frase del cardinale Jean-Louis Tauran, presidente del pontificio consiglio per il dialogo interreligioso, in un intervista del 18 ottobre al quotidiano cattolico francese “La Croix”.

La frase del cardinale era questa: “Con alcune religioni possiamo avere delle discussioni teologiche. Ma con l'islam no, almeno per il momento. I musulmani non accettano che si possa discutere sul Corano, poiché è scritto, dicono, sotto la dettatura di Dio. Con una interpretazione così assoluta, è difficile discutere con loro del contenuto della fede”.

Letta questa frase, alcuni dei firmatari della lettera dei 138 – tra i quali Aref Ali Nayed – prepararono un comunicato in cui criticavano non solo il cardinale Tauran, ma lo stesso Benedetto XVI, dal quale, sottolineavano, “i musulmani stanno ancora aspettando una risposta adeguata”.
E scrivevano: “Il dialogo non è imporre agli altri le proprie concezioni, né decidere in proprio ciò che l’altra parte è capace o no di fare, tanto meno di credere”.
Tuttavia non tutti i musulmani interpellati erano d’accordo nel dare evidenza a un comunicato così polemico. Alcuni obiettarono che avrebbe raggelato sul nascere il dialogo auspicato dalla lettera dei 138. Alla fine il comunicato fu consegnato alla comunità di Sant’Egidio, che lo mise agli atti del meeting di Napoli, senza pubblicizzarlo:

> A Communiqué by Muslim Scholars...

Ma Nayed è tornato di nuovo sull'argomento in un'intervista del 31 ottobre a Cindy Wooden del "Catholic New Service", l'agenzia della conferenza episcopale degli Stati Uniti, intervista pubblicata integralmente in "Islamica Magazine":

> Aref Ali Nayed Interview with CNS

L'intervista include, nella sua parte centrale, un'ampia e dotta spiegazione della interpretazione islamica del Corano e – parallelamente – dell'interpretazione cattolica delle Sacre Scritture. A giudizio di Nayed, la letttura islamica del Corano non solo non contrasta con la moderna esegesi cattolica della Bibbia, ma l'ha preceduta e nutrita. E quindi il dialogo tra musulmani e cristiani non deve limitarsi ai principi dell'etica naturale ma deve essere "teologicamente e spiritualmente fondato".
Sulla possibilità per i musulmani di “discutere sul Corano”, i giudizi al vertice della Chiesa cattolica sono comunque più sfumati di quanto abbia fatto intendere quella frase del cardinale Tauran.
Al meeting di Napoli il cardinale Walter Kasper, in un suo intervento sulle Scritture nelle religioni monoteistiche, ha detto che “un’interpretazione e un adattamento a nuove situazioni storiche e culturali senza che si abbandoni il contenuto essenziale del Corano” è una questione non chiusa ma aperta, in campo musulmano.

Ed è questo anche il pensiero di Benedetto XVI, prima e dopo la sua lezione di Ratisbona.


Promemoria su nomi, fatti, documenti

Volendo ricapitolare, all'origine della prima lettera pubblica scritta a un papa da un insieme di dotti musulmani c'è la lezione di Benedetto XVI a Ratisbona, il 12 settembre 2006.

Il testo della lezione papale:

> Fede, ragione e università. Ricordi e riflessioni.

Mentre la lettera dei 38 dotti musulmani, poi divenuti 100, indirizzata al papa un mese dopo la lezione di Ratisbona, a metà ottobre del 2006, è in questa pagina di www.chiesa:

> Effetto Ratisbona: la lettera aperta di 38 musulmani al papa (18.10.2006)

A questi due testi segue nei mesi successivi un ampio dibattito. Su www.chiesa intervengono più volte, in particolare, il teologo musulmano Aref Ali Nayed, uno dei firmatari della lettera al papa, e il cattolico Alessandro Martinetti, studioso di metafisica:

> Due studiosi musulmani commentano la lezione papale di Ratisbona (4.10.2006)

> Chiesa e islam. A Ratisbona è spuntato un virgulto di dialogo (30.10.2006)

L'11 ottobre del 2007, un anno dopo la lettera dei 38, una seconda lettera è indirizzata a Benedetto XVI e ad altri capi di Chiese cristiane, inizialmente firmata da 138 dotti musulmani e diffusa in inglese, italiano, francese, tedesco, spagnolo e arabo.

Il testo integrale della lettera è nel sito web ad essa dedicato:

> Una parola comune tra noi e voi

Questo è l'elenco dei 138 firmatari, con indicato per ciascuno il ruolo e la nazionalità:

> Signatories

E queste sono le ulteriori firme che la lettera ha raccolto tra i musulmani, dopo la sua pubblicazione:

> New Signatories

Su una di queste firme aggiunte, quella di Tariq Ramadan, vedi in www.chiesa:

> L'islam bifronte di Tariq Ramadan. Terra di conquista, l'occidente (19.1.2004)

Va comunque rimarcato cha lettera dei 138 non nasce solo per impulso della lezione di Benedetto XVI a Ratisbona. Essa ha un precedente non meno importante, tutto interno al mondo musulmano.

Questo precedente è il "messaggio di Amman", promosso nel 2004, nella capitale giordana, dall'Aal al Bayt Institute for Islamic Thought.

La genesi del "messaggio di Amman", i suoi obiettivi, il suo testo integrale e l'elenco delle oltre 500 firme che l'hanno sottoscritto sono nel sito della lettera dei 138:

> The Amman Message

Tornando alla lettera dei 138, sono tre, fino a oggi, i commenti più approfonditi e autorevoli prodotti da studiosi cattolici dell'islam.

Il primo è di Samir Khalil Samir, gesuita egiziano, docente all'Université Saint-Joseph di Beirut. È uscito il 17 ottobre sull'agenzia internazionale "Asia News":

> La Lettera dei 138 dotti musulmani al papa e ai capi cristiani

Il secondo, del 22 ottobre, è di un altro islamologo gesuita, il tedesco Christian W. Troll:

> Towards a common ground between Christians and Muslims?

Il terzo è il commento del Pontificio Istituto di Studi Arabi e d'Islamistica, diffuso il 25 ottobre con le firme del preside, padre Miguel Angel Ayuso Guixot, e di quattro professori dell’istituto:

> Opinione dello staff del Pontificio Istituto di Studi Arabi e d’Islamistica di Roma...

Ma non è tutto. Negli stessi giorni della diffusione della lettera dei 138 c'è stato un altro importante carteggio parallelo, tra la Chiesa cattolica e il mondo musulmano.
È quello descritto qui di seguito.


Ramadan 2007. Il messaggio della Chiesa di Roma e la risposta di Aref Ali Nayed

In coincidenza con la fine del mese di Ramadan non c'è stata soltanto la diffusione della lettera dei 138 musulmani al papa.
C'è stato anche un altro messaggio che ha fatto il percorso inverso, dalla Chiesa di Roma al mondo islamico.
È il messaggio che ogni anno, in occasione della festa di 'Id al-Fitr, il pontificio consiglio per il dialogo interreligioso indirizza ai musulmani.
Quest'anno il messaggio, firmato dal cardinale Jean-Louis Tauran, è stato diffuso in ben 22 lingue. E contiene espressioni forti circa il dovere di assicurare la libertà religiosa e di condannare senza riserve il terrorismo.

Il testo integrale è nel sito del Vaticano:

> Cari amici musulmani...

A questo messaggio ha risposto uno degli ideatori e firrnatari della lettera dei 138, Aref Ali Nayed.

Nato in Libia e dirigente di un’azienda tecnologica con sede negli Emirati Arabi Uniti, Nayed ha studiato filosofia della scienza ed ermeneutica negli Stati Uniti e in Canada, ha seguito corsi alla Pontificia Università Gregoriana di Roma e ha tenuto lezioni al Pontificio Istituto di Studi Arabi e d’Islamistica. È consulente all’Interfaith Program dell’università di Cambridge. È musulmano sunnita osservante e si qualifica “di scuola Asharita in teologia, Malikita in giurisprudenza e Shadhilita-Rifai nell’orientamento spirituale”.
Nell'ultimo anno, Nayed è stato uno dei più impegnati commentatori della lezione di Benedetto XVI a Ratisbona, pubblicando i suoi testi proprio su www.chiesa.
E a questo sito ha affidato anche la sua risposta al messaggio della Chiesa di Roma per la fine del Ramadan.
È una risposta di eccezionale interesse. Nayed riconosce che "il vero insegnamento" del Corano è stato offuscato anche da "una decadenza e stagnazione interna" al mondo musulmano, che ha prodotto "l'avvento di legalistiche, ultrapolticizzate e spiritualmente vuote distorsioni dell'islam".
Tra queste distorsioni c'è l'attuale scatenamento del terrorismo in nome della religione, che "ciascuno di noi ha il dovere teologico e morale di condannare e ripudiare".
In positivo, Nayed rivendica il pieno rispetto della libertà religiosa e della libertà di coscienza: una libertà che definisce "divinamente ordinata".
E quanto al dialogo con uomini di altre fedi o non credenti, il musulmano Nayed scrive:
"C’è un urgente bisogno, per tutti noi, di riconciliare le affermazioni dei diritti e dei doveri fondate sulla Rivelazione con le più recenti ma diffuse affermazioni che provengono dai concetti e dal linguaggio della rivoluzione francese e del pensiero liberale anglosassone.
“Siamo davvero tutti chiamati a ripristinare, rafforzare, riarticolare i veri insegnamenti di compassione delle nostre tradizioni, riguardanti il valore divinamente ordinato della persona umana e dei diritti, doveri e libertà ad essa associati. Abbiamo il bisogno di lavorare su questi temi non solo assieme ad altre personalità religiose, ma anche con filosofi e giuristi che postulano un fondamento ‘naturale’ per la persona e i suoi diritti. L’islam ha la consapevolezza di un’alleanza primordiale e di un’originaria impronta (fitra) che può sostenere queste riflessioni, così come quelle della legge naturale e del liberalismo”.

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