2 novembre 2007

Le implicazioni della vista di Re Abdullah dal Papa


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Re Abdullah dal Papa Con la benedizione di Bush
I sauditi sono la chiave per la pace in Medio Oriente

di GIORGIO ACQUAVIVA

— CITTÀ DEL VATICANO —

GIORNATA STORICA, martedì prossimo, per la prima visita di un sovrano saudita al Papa.
Re Abdullah II — arrivato in Europa per un tour diplomatico, con 5 jumbo-jet, 50 consiglieri e funzionari, diverse mogli e 100 camerieri — entrerà nei Palazzi Apostolici per stringere la mano a Benedetto XVI e avere con lui un colloquio su temi cruciali, che andranno dalla libertà religiosa alla questione israelo-palestinese.

Arabia Saudita e Santa Sede non hanno rapporti ufficiali, ma dopo che il 31 maggio scorso c’è stato il reciproco riconoscimento fra Vaticano e Emirati Arabi Uniti, si è capito che l’atmosfera cominciava davvero a cambiare. Il lavoro della diplomazia statunitense sui due versanti ha dato evidentemente i suoi frutti e il 6 settembre, a Castel Gandolfo, il ministro degli Esteri di Riad è stato ricevuto dal capo della Chiesa cattolica.

DEL RESTO, IL FATTO che 138 alti esponenti islamici (sciiti e sunniti) abbiano scritto nelle settimane scorse a papa Ratzinger per esprimergli la necessità di «maggiore comprensione» fra le due fedi, è suonato subito come un elemento nuovo e positivo. Evidentemente anche il dibattito interno al campo musulmano dopo il "caso Ratisbona" deve aver fatto il suo cammino, contribuendo a far capire che è arrivato il momento per una scelta di campo verso l’isolamento degli elementi oltranzisti e fondamentalisti (Iran di Ahmadinejad in testa).

La nomina di un cardinale navigato come il francese Jean-Louis Tauran a presidente del Pontificio Consiglio per il Dialogo interreligioso, è stata un’altra tessera importante del nuovo quadro che si va realizzando nell’ambito dei rapporti fra Chiesa e mondo musulmano.

IL RE ABDULLAH si troverà di fronte un Papa-teologo strenuamente impegnato nella difesa della libertà religiosa. E questo sarà certamente un punto arduo del colloquio: l’Arabia Saudita — secondo l’organizzazione internazionale "Open doors" — è seconda solo alla Corea del Nord quanto a negazione di libertà di culto (laggiù non è possibile portare con sé la Bibbia né crocefissi) .

MA OVVIAMENTE ci sarà sul tavolo anche la questione palestinese. Il Paese saudita si è fatto promotore di una proposta di "mano tesa" a Israele secondo la formula "pace in cambio di terra", offrendo il riconoscimento da parte di 22 Paesi arabi in cambio del ritiro ai confini del 1967, di Gerusalemme est capitale del nuovo Stato palestinese, di una "giusta soluzione" per i profughi palestinesi. Un appoggio vaticano a questa ipotesi di soluzione sarebbe di grande importanza per tutte le parti.

© Copyright Quotidiano Nazionale, 2 novembre 2007


L’INTERVISTA PADRE PIERBATTISTA PIZZABALLA, CUSTODE FRANCESCANO A GERUSALEMME

«Ma per ora vince lo scetticismo. E l’esodo dei cristiani dalla Terrasanta continua»

— MILANO —

RIPETE la parola “scetticismo”, padre Pierbattista Pizzaballa ofm, mentre parliamo della situazione in Medio Oriente. Scettici i palestinesi nei confronti del vertice in programma negli Stati Uniti a metà novembre, e nei confronti della cosiddetta ”solidarietà” interaraba. Scettici gli israeliani verso la proposta saudita per la soluzione dell’annoso conflitto. Scettici i cristiani, schiacciati fra l’insorgente fondamentalismo musulmano e una rigidità israeliana che limita i movimenti e, in definitiva, una vita decorosa.
IL CUSTODE francescano di Terra Santa sembra quasi fare violenza al suo naturale ottimismo (o meglio cristiana speranza) e allarga le braccia: «C'è un clima di scetticismo perché la gente ormai non crede alle dichiarazioni a cui non seguono fatti precisi. C'è aria di assuefazione a una situazione che sembra senza vie d'uscita. Sembra che non ci siano volontà e forza per compiere passi avanti. Manca non solo la fiducia nel cambiamento, ma fors'anche la voglia che le cose cambino. C'è stanchezza. Probabilmente davvero mancano leader capaci di imprimere una svolta». Sorride quando gli ricordiamo l’appello lanciato a Napoli, al Meeting di Sant'Egidio sulla pace, dal ministro degli Esteri D'Alema per impedire che il conflitto diventi guerra religiosa: «E' un po' tardi, mi pare, per evitare la deriva. Quella attenzione bisognava porla prima...». Il pensiero corre alla Striscia di Gaza e ad Hamas. E i cristiani? Come vivono in Terra Santa? Si è fermato l'esodo? I dati sono drammmatici (vedi tabella), e per chi volesse saperne di più, c’è un libro appena edito da Ancora: “Fratelli dimenticati”, di Giuseppe Caffulli. Dice Pizzaballa: «La situazione non è cambiata, i problemi sono gli stessi. Tanti vanno via perché non riescono più a vivere dignitosamente».
L'ESODO — favorito anche dalla difficile convivenza con l’Islam laddove è maggioranza schiacciante — si presenta in tanti modi: c'è chi si sposta dai territori a Gerusalemme per evitare di avere a che fare ogni giorno coi check-point lungo il “muro”, c'è chi se ne va all'estero a cercare fortuna (Europa, Stati Uniti, America Latina, Australia...), c'è chi finisce in Paesi dell’area che non hanno rapporti con Israele, e questo complicherà, ovviamente, il loro eventuale ritorno. Si sta acuendo il problema dei visti... «Sì, la situazione è grave e sta creando intralci seri a tutti, alla vita delle chiese, alle scuole...
IN PARTICOLARE i cristiani di Betlehem sono tagliati fuori». Il fatto è che — secondo la denuncia di padre Jeager ofm (il francescano di cittadinanza israeliana esperto legale nelle relazioni fra Chiesa e Stato in Terra Santa) — nell'Accordo fondamentale fra Santa Sede e Israele firmato nel 1993, si riconosceva il «diritto della Chiesa Cattolica a formare, nominare e dispiegare il proprio personale». Ora può capitare che un prete libanese sia costretto a prendere la cittadinanza giordana per poter entrare nei territori palestinesi (il Libano non ha rapporti diplomatici con Israele), ma se poi esce anche per un giorno si pone il problema del “visto”.
g. acq.

© Copyright Quotidiano Nazionale, 2 novembre 2007

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