13 dicembre 2007

"Spe salvi", Baget Bozzo: "Tutti i cattolici ascoltano ciò che dice Benedetto XVI, ma molti guardano ciò che pensa Ratzinger"


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Gianni Baget Bozzo

E’ possibile che, per criticare i rapporti tra la Chiesa e la scienza moderna, non ci sia altro che il caso Galileo? E che, per attaccare il liberalismo della Chiesa, non ci sia altro che il Vaticano? Capisco che il dialogo con Piergiorgio Odifreddi Se il Papa ripassasse Galileo», La Stampa, 5 dicembre) sia più difficile per i cattolici di quello con gli imam musulmani.
Ma ai tempi di Galileo nella Chiesa europea, dove pure era avvenuta la Riforma protestante, prevaleva la convinzione che il senso dottrinale della Bibbia fosse solo quello letterale. I cattolici ne conoscevano anche altri e furono più sciolti nell’accettare il dialogo con Galileo. La Chiesa cattolica concedeva la verità delle tesi di Galileo come ipotesi, quindi ammetteva la possibilità d’un senso diverso dalla lettera della Scrittura.
Il principio protestante che fonte della Rivelazione fosse soltanto la Scrittura avrebbe reso impossibile un dialogo di Galileo con la Riforma.
Lo spirito proprio del Cattolicesimo è stato indicato come l’et-et, cioè di un bilanciamento tra due temi: Scrittura e Tradizione, grazia e natura, predica e sacramento, sacerdozio universale dei fedeli, ministero ordinato e così via. Se si guarda le due altre grandi componenti del Cristianesimo, l’Ortodossia e la Riforma, si vede che in ognuna vive uno solo dei principi che il Cattolicesimo unisce. L’Ortodossia è Tradizione e sacramento, la Riforma è Scrittura e predicazione. Già Pascal aveva detto che è proprio dei cattolici sostenere tesi che appaiono contrarie. E questo è il modo della Chiesa cattolica in tutti i tempi.
Negli Anni 60 il Concilio Vaticano II sostenne che la Chiesa, pur rimanendo identica a se stessa, doveva interpretare, i «segni dei tempi», cioè riferirsi alla storia in atto e al suo messaggio. E allora «i segni dei tempi» erano la grande rivoluzione comunista e anticolonialista, i primi aspetti inquietanti dell’emersione della tecnica con l’energia nucleare. Di fronte a queste realtà, i cattolici riconobbero di dover ripensare il loro linguaggio e di adottare le parole comuni alla cultura moderna, cercando di mantenere intatto il senso della Tradizione. I teologi percorsero una strada, i fedeli ne sostennero anche un’altra, temendo che le audacie teologiche disintegrassero l’unità della fede. Furono i Papi, Paolo VI e Giovanni Paolo II, a bilanciare la spinta dei teologi con la stabilità e la continuità della fede del popolo.
Oggi la rivoluzione è finita ed emergono ben altri problemi. Il futuro non è più rischiarato dal sole dell’avvenire ma dai drammi del presente: il clima, la demografia, l’emigrazione dei popoli, l’energia. Uno scenario apocalittico si presenta all’uomo d’oggi. I «segni dei tempi» sono molto mutati. La Chiesa, con al centro il Papato, mantiene le verità contrapposte, non abbandona il linguaggio nato dal Vaticano II.

Ma sente che, dopo aver tanto parlato dell’uomo, è il tempo di parlare di Dio. Benedetto lo fa da teologo tedesco, l’autorevolezza che ha nella Chiesa è dovuta anche al suo carisma personale: quello di aver conservato la Tradizione, pur vivendo quel crogiolo di pensiero che fu la Germania teologica dopo la seconda guerra mondiale.

Tutti i cattolici ascoltano ciò che dice Benedetto XVI, ma molti guardano ciò che pensa Ratzinger. Non parla il linguaggio dei testi pontifici, non si sente in lui traccia della metafisica e dell’aura di San Tommaso, citato solo una volta, quando invece la parte del leone la fanno i Padri della Chiesa, specie sant’Agostino, i pensatori tedeschi dell’Illuminismo e del Novecento. Non è più il tempo in cui i teologi tedeschi dicevano «doctor romanus asinus germanus», la teologia è oggi una fabbrica mondiale. Ma è certo singolare nella Chiesa romana che il linguaggio della propria personale teologia offra autorevolezza al magistero del Papa romano. E la via stretta della teologia tedesca tra la svolta antropologica e la metafisica, compiuta da Ratzinger, diviene il linguaggio del Papa. Aver fatto Papa un teologo tedesco ha messo in cattedra un grande pensiero teologico laterale rispetto al flusso ordinario del linguaggio cattolico. L’et-et si è verificato al massimo livello nella cattedra di Pietro.

© Copyright La Stampa, 13 dicembre 2007

1 commento:

Anonimo ha detto...

"non si sente in lui la traccia della metafisica e di San Tommaso, citato solo una volta"

Ma Baget Bozzo lo legge il Papa o fa come tutti i giornalisti che credono ai titoli dei loro giornali? Peccato perchè l'articolo in generale è buono. Benedetto XVI ha citato San Tommaso un mare di volte in 2 anni e il recupero della metafisica è al centro del suo insegnamento. Semmai il Prof. Joseph Ratzinger è sempre stato ostile - e giustamente - alla neo-scolastica moderna che aveva atrofizzato Tommaso (Schillebeeckx e altri eresiarchi vengono da lì, non a caso...)