12 dicembre 2007
La radice della vera pace nel Messaggio di Benedetto XVI (Avvenire)
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C’entra con la pace nel mondo la famiglia naturale fondata sul matrimonio, «culla della vita e dell’amore»? No, se l’idea è limitata a un idilliaco quadretto in cui bravi genitori cercano di dare ai figli un’educazione che li tenga lontani dall’odio. Nessun buonismo di questo tipo ha evitato gli spaventosi conflitti della Storia. Per nulla, nel caso la famiglia sia il luogo privato dei diritti senza doveri, delle libertà senza responsabilità, slegato, si pensa, dalle altre questioni sociali e politiche. Sì, invece, se lo sguardo è più profondo e lungimirante, va alla radice della legge morale che ogni uomo può scoprire ed è chiamato a vivere nelle relazioni con il prossimo.
Il messaggio di Benedetto XVI per la Giornata mondiale della Pace 2008 non teme di sfidare l’incomprensione di coloro che hanno una prospettiva miope; con decisione afferma che «chi anche inconsapevolmente osteggia l’istituto familiare rende fragile la pace nell’intera comunità, nazionale e internazionale, perché indebolisce quella che, di fatto, è la principale 'agenzia' di pace».
E non si tratta solo di un’analogia perché, come ha ricordato l’agenzia «AsiaNews», in Cina (oltre un sesto della popolazione mondiale) i programmi coercitivi di controllo demografico e la proibizione dell’educazione religiosa ai figli fino al diciottesimo anno di età violano i diritti fondamentali della persona e minano la convivenza, facendo crescere il disagio e la devianza, fino ai gravi problemi di criminalità minorile, infine riconosciuti dallo stesso governo di Pechino. Ecco allora che dalla famiglia, «nucleo naturale e fondamentale della società» secondo la stessa Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, diventa possibile svolgere un discorso che riguarda tutta l’umanità e il suo anelito alla pace.
«La famiglia ha bisogno di una casa, di un ambiente a sua misura in cui intessere le proprie relazioni. Per la famiglia umana questa casa è la Terra». E di essa dobbiamo avere cura, esorta il Papa, «senza accelerazioni ideologiche», ma «concertando insieme un modello di sviluppo sostenibile che garantisca il benessere a tutti nel rispetto degli equilibri ecologici». «Prudenza non significa» però «non assumersi le proprie responsabilità e rimandare le decisioni».
Se siamo famiglia, non c’è spazio per «decisioni unilaterali» da parte di nessuno. E un fronte sul quale bisogna quindi «intensificare il dialogo tra le Nazioni è quello della gestione delle risorse energetiche del Pianeta». Più moderazione nei consumi da parte dei Paesi ricchi significa anche meno sfruttamento di quelli poveri. Questi ultimi hanno diritto a un’equa distribuzione della ricchezza all’interno di un’economia che vada incontro alle esigenze del bene comune globale; tuttavia, sono chiamati a un efficiente utilizzo degli aiuti, evitando sprechi in burocrazia.
Una famiglia risulta poi ordinata e giusta se tutti i suoi componenti si assoggettano a una norma comune, una legge che protegga i deboli dall’arbitrio. Tali norme giuridiche per i rapporti tra le Nazioni, scrive Benedetto XVI, «esistono, ma per far sì che siano davvero operanti bisogna risalire alla norma morale naturale», altrimenti la norma giuridica «resta in balia di fragili e provvisori consensi».
Soltanto dopo aver svolto queste considerazioni, e indicato l’ideale cammino della famiglia umana, il Papa rivolge l’appello accorato per trattative in vista dello smantellamento progressivo degli arsenali nucleari. Ma prima ancora va riconosciuta in Dio «la sorgente originaria della propria, come dell’altrui, esistenza». Soltanto così «può essere percepito il valore incondizionato di ogni essere umano ». Senza questo fondamento trascendente, «la società è solo un’aggregazione di vicini». E la pace resta lontana o provvisoria.
Di fronte a coloro che combattono la religione come fonte dei conflitti, Benedetto XVI riafferma, al contrario, che è Dio, nella fede rettamente intesa, la radice della vera pace.
© Copyright Avvenire, 12 dicembre 2007
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