21 agosto 2008

Il coinvolgente insegnamento del Papa: "Il mondo dei santi ha i «colori» dei nostri giorni. E di Dio" (Sequeri)


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IL COINVOLGENTE INSEGNAMENTO DEL PAPA

Il mondo dei santi ha i «colori» dei nostri giorni. E di Dio

PIERANGELO SEQUERI

I santi non sono tutti uguali. Non solo nel carattere e nella personalità, nelle azioni e nella vita. Anche nella santità non sono uguali.
Non è una questione di gerarchia, quella che il Papa ha sollevato nella sua catechesi di ieri. È una questione di polifonia, di cromatismo, di bellezza delle differenze.
La santità non è quella luce bianca, purissima e monotona, alla quale abbiamo talora consegnato i santi, nel pensiero di uno stereotipo apparentemente devoto, in realtà estraniato ed esangue.
Biancore luminoso, certo, ma anche un po’ lattiginoso e accecante, che abbiamo finito per confondere con la nebbia dell’indistinto in cui il mondo si perde. (Questi edifici-chiesa tutti luce, bianco, e grigiori riflettenti! L’ho detto). La santità è a colori.
Citando il grande pensatore e scrittore Jean Guitton, il Papa enfatizza l’immagine: i santi sono «come i colori dello spettro in rapporto alla luce». Il cristiano autentico, il santo, in altre parole (è il Concilio Vaticano II ad aver proclamato la santità come «universale vocazione» e non «privilegio per pochi») è immagine del Signore al modo dell’icona. Anche la più semplice e povera rende accessibile l’evento originario della manifestazione di Dio, generando infinite varianti cromatiche e figurali. Non è uno stampino per replicanti di serie.
È un tema musicale per variazioni audaci e creative.
Nella società degli umani, la santità inventa contrappunti ingegnosi e felici, che sconfiggono l’informe e l’uniforme della massificazione più ottusa.
La santità cristiana abita con tenace fervore la grazia offerta al mondo della vita, e persino alle bassezze della vita quotidiana: senza fanatismi, senza risentimenti. Pietro e la Maddalena vi si lasciano includere entrambi, per essersi fatti trovare al crocevia del Figlio, in cui la santità di Dio si dispone all’abbraccio della creatura.
Sono cose della santità evangelica, che una religione puritana o gnostica, come anche una ragione ideologica, di lotta o di governo che sia, non può comprendere. Sono cose della santità evangelica, che una cultura anaffettiva e utilitaristica, intenta a selezionare replicanti bio­compatibili con la sua omologazione, mette in conto perdite. Di fatto, però, la comunità umana deve la sua sopravvivenza – come «comunità» e come «umana», in tutte le forme – a questa incessante rifrazione della santità evangelica nel quotidiano dell’esistenza, dove gli uomini e le donne (e i bambini!) di questo pianeta sanno bene che cosa fa la differenza, che ti trattiene dalla disperazione.
Moltissimi – la maggior parte, verosimilmente – sono uomini e donne «i cui nomi sono noti soltanto a Dio, perché sulla terra hanno condotto un’esistenza apparentemente normalissima». Ebbene, «proprio questi santi normali sono i santi abitualmente voluti da Dio», dice Benedetto XVI. Forse in ogni chiesa ci dovrebbe essere, insieme con quella delle simpatiche e variopinte devozioni locali, l’immagine – molto 'colorata' – del 'santo anonimo' che ci tiene in vita.
Il quadrato bianco su bianco di Malevic non è il mondo perfetto di Dio. Al più, la tela vergine, nuova di zecca – libero estro di un invenzione pura, dal nulla – sul quale raccontare di Lui e lasciar raccontare di noi.
Nell’invenzione del colore è il divino. Il mondo che siamo destinati ad avere in comune, noi e Dio, è a colori, non in bianco e nero. Ed è già abitatissimo, grazie a Dio.

© Copyright Avvenire, 21 agosto 2008

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