7 agosto 2008

Paolo VI nel ricordo dei cardinali Bertone, Re, Tettamanzi e del direttore Vian


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È viva nella Chiesa l'eredità spirituale di Paolo VI

Paolo VI, un uomo profondamente legato alla vita della Chiesa e agli eventi che hanno caratterizzato la seconda metà del XX secolo, primo fra tutti il Concilio Vaticano II: la sua eredità spirituale è ancora presente e viva all'interno della Chiesa e dell'umanità. È il profilo di Papa Montini tracciato dal cardinale Tarcisio Bertone, segretario di Stato, nel corso della celebrazione eucaristica di mercoledì pomeriggio, 6 agosto, nella parrocchia pontificia di san Tommaso da Villanova a Castel Gandolfo. Ricorre, infatti, in questo giorno, il trentesimo anniversario della morte del servo di Dio, avvenuta nel 1978, la sera della festa della Trasfigurazione del Signore, proprio nella residenza estiva sul lago di Albano.
In continuità con le parole di Benedetto XVI all'Angelus di domenica scorsa - quando il Pontefice ha ricordato l'eredità spirituale del suo predecessore e i suoi meriti alla guida del Concilio Vaticano II - il cardinale Bertone ha sottolineato come Paolo VI fu chiamato a raccogliere la non facile eredità di Giovanni XXIII. "Con coraggiosa prudenza, con illuminata sapienza e saldo discernimento - ha detto il porporato - egli seppe guidare la "Barca di Pietro" e dialogò con il mondo contemporaneo senza lasciarsi condizionare da remore conservatrici e né cedere a pericolose e affrettate fughe in avanti".
La bussola di orientamento nelle scelte e nelle decisioni di Paolo vi fu sempre e unicamente l'amore fedele e appassionato per Gesù Cristo, il cui volto - aveva evidenziato domenica Benedetto XVI -"egli ricercò e contemplò incessantemente".
Tracciare un bilancio dell'opera di Paolo VI è sicuramente più facile per noi a distanza di trenta anni che non allora per i suoi contemporanei, anche se il momento della sua morte consentì all'opinione pubblica di "conoscerlo meglio" e di poter "riconoscere l'opera straordinaria da lui compiuta con paziente saggezza e indomita fedeltà al Vangelo".
Anche alcune delle sue scelte, che all'epoca furono osteggiate e contestate, possono oggi essere rivalutate e lette in un'ottica nuova. Un esempio su tutti: la pubblicazione, il 25 luglio 1968, dell'enciclica Humanae vitae, che suscitò reazioni contrarie, al punto che Papa Montini si trovò "quasi isolato, non compreso, persino - ha detto il segretario di Stato - ingiustamente osteggiato". A questo proposito, il cardinale ha citato la catechesi pronunciata da Paolo VI mercoledì 31 luglio 1968, durante la quale egli confidò come un padre ai fedeli che su un tema tanto delicato e importante per la vita della società, qual è appunto "la moralità coniugale in ordine alla sua missione d'amore e di fecondità nella visione integrale dell'uomo" Montini, dopo aver consultato molte persone di alto valore morale, scientifico e pastorale, aveva messo la sua coscienza nella piena e libera disponibilità alla voce della verità". Lo fece "cercando d'interpretare la norma divina che scaturisce dall'intrinseca esigenza dell'autentico amore umano".
"Il servo di Dio - ha poi aggiunto il segretario di Stato - volle ribadire ai fedeli presenti a quell'udienza di aver riflettuto sui valori della dottrina tradizionale e vigente della Chiesa e di aver considerato gli insegnamenti del Concilio da poco concluso, nel prendere la decisione di far pubblicare l'enciclica. Paolo VI era quindi consapevole che una vasta porzione della pubblica opinione - ha detto il cardinale - con ripercussioni anche dentro la comunità ecclesiale, gli era contro, ma non esitò nel decidere: e lo fece illuminato dallo Spirito Santo per il vero bene dell'uomo e della donna".
Ma questa non fu l'unica occasione nella quale il Papa dimostrò quella fermezza e quell'autentica sete di verità e di amore per Dio e per gli uomini, che ne hanno caratterizzato il pontificato. Sempre tenendo nel dovuto conto questi suoi fondamentali principi, infatti, Montini "formulò sempre un chiaro e inequivocabile insegnamento su scottanti temi di dottrina e di morale, allora fortemente in discussione, quali il celibato sacerdotale, il ministero presbiterale, il ruolo della donna nella Chiesa, la morale familiare, la questione sociale".
Il trentesimo anniversario della morte è dunque, nell'auspicio del segretario di Stato, un'occasione per riscoprire l'intero magistero di Paolo VI, a partire dalle sue encicliche, dalle omelie, dalle catechesi, dai discorsi, dalle riflessioni "per cogliere tutta la ricchezza del suo animo di Pastore innamorato di Cristo e della Chiesa, in ascolto e dialogo sincero con la modernità".
Durante la messa nella parrocchia salesiana di Castel Gandolfo il cardinale ha più volte evidenziato la coincidenza del giorno della morte di Paolo VI con la festa della Trasfigurazione del Signore, durante la quale Cristo invita ognuno di noi a prendere la propria croce "a rafforzarci nella via della croce, disponibili ad accettare tutto dalle sue mani, con piena fiducia nelle sue promesse".
Insieme con il cardinale Bertone hanno concelebrato monsignor Marcello Semeraro, vescovo di Albano, don Waldemar Niedziolka, parroco della parrocchia di San Tommaso da Villanova e alcuni sacerdoti di Castel Gandolfo. In serata sul piazzale antistante il Palazzo Pontificio, si è poi tenuto un concerto in memoria di Papa Montini. Musiche di Mendelssohn, Mozart e Ludwig van Beethoven, sono state eseguite dall'orchestra sinfonica dell'Europa unita - Kronstadt Philarmoniker -, diretta dal maestro Gerard Oskamp.

(©L'Osservatore Romano - 7 agosto 2008)

Il prefetto della Congregazione per i Vescovi ricorda Paolo VI

Presentò la verità nella crisi del linguaggio e del pensiero

Nel pomeriggio di mercoledì 6 agosto viene celebrata una messa all'Altare della Cattedra della basilica di San Pietro in suffragio del servo di Dio Papa Paolo VI, nel trentesimo anniversario della morte. Pubblichiamo il testo dell'omelia.

di Giovanni Battista Re

Nella mistica luce della solennità della Trasfigurazione di Nostro Signore di trenta anni fa, il servo di Dio Paolo VI chiudeva la sua vita terrena ed entrava nell'eternità. Il giorno 6 agosto che, all'inizio del suo Pontificato, egli aveva scelto come data per la sua prima enciclica (Ecclesiam suam, 1964), segnò anche la data della sua morte.
Per il mondo quella morte giunse piuttosto inaspettata, perché il mercoledì precedente (2 agosto) il Papa aveva tenuto la regolare udienza generale col consueto stile, il giovedì (3 agosto) aveva ricevuto il presidente Pertini e il venerdì aveva lavorato, scrivendo anche il discorsetto per l'Angelus della domenica 6 agosto.
Per lui, invece, la morte non giunse inaspettata. Da tempo, in incontri privati, confidava di sentire la morte ormai vicina, poi vicinissima, ma lo diceva con grande serenità, manifestando la consapevolezza di chi sente venire meno le proprie forze, ma fino all'ultimo vuole continuare a servire con amore, senza sottrarsi in nulla ai propri impegni. La sua morte è stata una testimonianza di amore e di fedeltà.

La scelta del nome Paolo

Eletto Pontefice, aveva assunto il nome di Paolo perché - come spiegò - era l'apostolo "che supremamente amò Cristo, che in sommo grado desiderò e si sforzò di portare il Vangelo di Cristo a tutte le genti, che per amore di Cristo offrì la sua vita" (Omelia per l'incoronazione, 30 giugno 1963).
Da ormai quattro secoli i Papi non portavano quel nome. La scelta richiamava una certa affinità di ideali del nuovo Papa con l'apostolo che si sentì chiamato a portare il vangelo ai confini della terra, con l'apostolo che aveva presentato Cristo come alfa e omega della creazione, senso e traguardo della storia, e che aveva messo Cristo al centro del suo cuore e di tutta la sua vita.
Sull'esempio dell'apostolo delle genti, Paolo VI fu un appassionato di Cristo. Anzi, possiamo dire che il suo animo fu l'animo dell'apostolo Paolo, che si può sintetizzare in un nome: Gesù Cristo. "Per me vivere è Cristo!" (Filippesi, 1, 21).
Sulla centralità di Cristo, volto di Dio e nostro unico Maestro, il Papa Paolo VI ha avuto parole mirabili, a cominciare da quelle del discorso con cui aprì la seconda sessione del concilio Vaticano II: "Cristo nostro principio! Cristo nostra via e nostra guida! Cristo nostra speranza e nostro termine! (...) Nessun altra luce brilli su questa nostra adunanza che non sia Cristo, luce del mondo; nessun altra verità interessi gli animi nostri, che non siano le parole del Signore, unico nostro Maestro; nessun altra aspirazione ci guidi che non sia il desiderio di essere a lui assolutamente fedeli" (29 settembre 1963).
Questa spiritualità cristocentrica segnò profondamente il suo modo di concepire il servizio petrino. Con profonda convinzione indicò che il segreto per attuare l'aggiornamento voluto dal Concilio consisteva innanzitutto nel mettere interiormente il proprio spirito in attitudine di obbedienza a Cristo (Ecclesiam suam, 53).
Il grande amore a Cristo portò Paolo VI anche a una tenera devozione alla Madre di Cristo e Madre nostra, la Vergine Maria: un amore appreso e coltivato fin da fanciullo, quando frequentava il Santuario della Madonna delle Grazie, a pochi passi da casa sua a Brescia.
All'amore a Cristo e alla Madonna Paolo VI unì sempre l'amore alla Chiesa. Un amore non astratto, ma reale, fatto anche di fatica e di intima sofferenza per quella Chiesa che definiva "madre benigna e ministra di salvezza dell'intera umana società" (Ecclesiam suam, 1); per quella Chiesa che non ha sue parole da dire, ma è fatta per dire la Parola di Dio che è Gesù Cristo, per portare all'uomo l'annuncio del vangelo, annuncio di liberazione, di crescita, di progresso.
Una Chiesa amata fino all'ultimo, come ha testimoniato con la vita e ha espresso in modo commovente nel suo Pensiero alla morte: "La Chiesa (...) potrei dire che da sempre l'ho amata e che per essa, non per altro, mi pare d'aver vissuto".

Magistero profetico

Come Papa, visse e proclamò la fede con instancabile sollecitudine e con coraggio ne difese l'integrità e la purezza. Approfittò di tutte le opportunità per far conoscere la Parola di Dio e il pensiero della Chiesa. Come l'apostolo Paolo, fu evangelizzatore per le vie del mondo. Volle un Sinodo dedicato al tema dell'evangelizzazione e l'esortazione apostolica Evangelii nuntiandi resta un testo particolarmente felice.
Come è noto, in quegli anni la barca della Chiesa ha dovuto navigare contro vento e in un mare agitato da contrasti.
Furono anni difficili per il magistero e per il governo della Chiesa: gli anni della contestazione. E Paolo VI dovette reggere con fermezza il timone della barca e con coraggiosa forza si impegnò nel difendere il depositum fidei.
Nel 1967, in occasione del XIX centenario del martirio dei santi apostoli Pietro e Paolo, indisse l'Anno della Fede, che concluse pronunciando nel 1968 Il Credo del Popolo di Dio, nel quale additò ai teologi e all'intera Chiesa i punti fermi fondamentali dai quali non è lecito allontanarsi e riaffermò solennemente le verità fondamentali del cristianesimo.
Ebbe altissima coscienza del suo compito di custos fidei. Nella crisi che investiva il linguaggio e il pensiero, cercò di presentare agli uomini del suo tempo le verità di Dio nella loro integrità, sforzandosi di renderle intelligibili così che fossero accolte volentieri.
Del magistero di Papa Paolo VI il testo più aspramente criticato e contestato e, in pari tempo, più sofferto, e particolarmente qualificante la grandezza di quel Pontefice, è l'enciclica Humanae vitae, della quale ricorre quest'anno il quarantesimo anniversario della pubblicazione.
Per Paolo VI si trattò di una scelta difficile e sofferta. Era consapevole delle opposizioni che si sarebbero scatenate, ma non sfuggì alle sue responsabilità. Fece studiare e studiò personalmente a fondo, il problema e poi ebbe il coraggio di decidere, ben sapendo di andare contro la cultura dominante e contro l'attesa dell'opinione pubblica. Si trattava di una legge divina, scritta dalla mano creatrice di Dio nella stessa natura della persona umana e il Papa non poteva cambiarla ma soltanto interpretarla.

Dialogo fra la Chiesa e il mondo moderno

Nella storia della Chiesa Paolo VI rimarrà come il Papa del Concilio Vaticano II, perché se fu Papa Giovanni XXIII a indirlo, fu lui a portarlo avanti e a guidarlo con saggezza, prodigandosi poi perché fosse rettamente applicato.
Ma resterà anche come il Papa che ha amato il mondo moderno e ne ha ammirato la ricchezza culturale e scientifica.
Ha apprezzato e amato il mondo di oggi con i suoi progressi, le sue meravigliose scoperte, i vantaggi e le agevolazioni che la scienza e la tecnica offrono, ma anche con i problemi perduranti e sempre irrisolti e con le sue inquietudini e le sue speranze. Al riguardo dirà: "Non si pensi di giovare al mondo assumendone i pensieri, i costumi, i gusti, ma studiandolo, amandolo, servendolo".
La grande ansia di Paolo VI è stata quella di servire l'uomo di oggi, nelle sue miserie e nelle sue grandezze, sostenendolo nel cammino sulla terra e indicandogli al tempo stesso la meta eterna, nella quale soltanto può trovare pienezza di significato e di valore lo sforzo che egli quotidianamente esprime quaggiù.
Egli guardò al nostro mondo moderno con simpatia. Un giorno ebbe a dire: "Se il mondo si sente straniero al cristianesimo, il cristianesimo non si sente straniero al mondo".
Paolo VI, sensibile alle ansie e alle inquietudini dell'uomo moderno, fu un Papa del dialogo, attento a non chiudere mai le porte all'incontro. Diceva: "La Chiesa e il Papa, aprendosi al mondo, vedono tante persone che non credono; da qui lo stile che deve essere attuato: dialogo con tutti, per annunciare a tutti la bontà di Dio e l'amore di Dio per ogni uomo".
Per Paolo VI il dialogo fu l'espressione dello spirito evangelico che cerca di avvicinarsi a tutti, che cerca di capire tutti e di farsi capire da tutti, così da instaurare uno stile di convivenza umana caratterizzato da apertura reciproca e pieno rispetto nella giustizia, nella solidarietà e nell'amore. Dialogo anche con l'errante, al fine di ottenerne il ravvedimento.

Il Papa della civiltà dell'amore

In un mondo povero di amore e solcato da problemi e violenze, egli lavorò per instaurare una civiltà ispirata dall'amore, in cui la solidarietà e l'amore giungessero là dove la giustizia sociale, pur tanto importante, non poteva arrivare.
La civiltà dell'amore da costruire nei cuori e nelle coscienze è stata per Papa Montini più di un'idea e di un progetto; è stata la guida e lo sforzo di tutta la sua vita.
Per questa nuova civiltà Paolo VI si è speso senza misura, pregando e operando, rinnovando le strutture della Chiesa, andando egli stesso incontro a tutti gli uomini di buona volontà e cercando tutte le occasioni per diffondere ovunque una parola di speranza, di pace e di invito a superare gli egoismi e i rancori.
Nell'orizzonte della civiltà dell'amore va compreso il suo alto magistero sociale, nel quale si fece avvocato dei poveri e denunciò le situazioni di ingiustizia che - è un'espressione sua - "gridano verso il cielo".
Fu molto sensibile al problema della fame nel mondo, al grido di angoscia dei poveri, alle gravi disuguaglianze sociali e alle disuguaglianze nell'accesso ai beni della terra.

Alcuni gesti significativi

Il pontificato di Paolo VI fu punteggiato da alcune iniziative e da taluni gesti che meritano ancora oggi apprezzamento.
Alcuni di essi rimangono nella storia e possono essere considerati come una sorta di "primati", perché furono compiuti per la prima volta da un Pontefice. È vero che alcuni furono possibili grazie al progresso di quel suo tempo, ma ciò non annulla il merito di chi li ha compiuti per primo.
Egli fu il primo Papa a tornare in Palestina, da dove san Pietro era venuto. Fu un viaggio di alto valore simbolico, che esprimeva il suo mondo interiore, la sua spiritualità e la sua teologia. Compiendolo appena sei mesi dopo l'elezione al pontificato e mentre era in corso il Concilio, egli volle indicare alla Chiesa la strada per ritrovare pienamente se stessa e orientarsi nella grande transizione in atto nella convivenza umana. La Chiesa, infatti, può essere autentica e compiere la sua missione soltanto se ricalca le orme di Cristo.
Quel viaggio fu il primo di una serie che Papa Giovanni Paolo II ha reso lunga e feconda. Il cardinale Jacques Martin affermò di avere un giorno sentito Paolo VI dire: "Vedrete quanti viaggi farà il mio Successore", perché era convinto che le visite pastorali nel mondo rientravano nei compiti del Papa.
Fu il primo Papa che, con gesto certamente significativo, volle rinunciare alla tiara, togliendosela pubblicamente dal capo il 13 novembre 1964 e donandola ai poveri. Voleva, con questo gesto, far intendere che l'autorità del Papa non va confusa con un potere di tipo politico-umano.
Poche settimane dopo avrebbe compiuto il viaggio apostolico in India, che tanto influenzerà il suo magistero sociale. La rinuncia alla tiara acquistava il valore di un gesto programmatico di umiltà e di condivisione, simbolo di una Chiesa che mette i poveri al centro della sua attenzione e li accosta con rispetto e amore, vedendo in loro il Cristo. Come sapete, la tiara fu poi venduta a un museo degli Stati Uniti e il ricavato fu portato in India e dato per i poveri.
Fu il primo Papa a recarsi all'Onu, dove si presentò come un pellegrino che da 2000 anni aveva un messaggio da consegnare a tutti i popoli, il vangelo dell'amore e della pace, e finalmente poteva incontrare i rappresentanti di tutte le nazioni consegnando loro questo messaggio.
Fu un discorso di grande eco, con alcune frasi rimaste celebri: "Mai più la guerra, mai più l'uno contro l'altro, o l'uno sopra l'altro, ma l'uno per l'altro, l'uno con l'altro".
Paolo VI è anche il Papa che ha abolito la corte pontificia e che ha voluto che il Vaticano avesse uno stile di vita più semplice. E il Papa che ha riformato la Curia, rendendola più efficiente, più pastorale e più internazionale. È il Papa, inoltre, che ha istituito la Giornata mondiale della pace, da celebrare l'1 gennaio, come impegno e augurio, affinché sia la pace e non la guerra a guidare i destini dell'umanità.
A trent'anni da quando Paolo VI ha varcato la misteriosa porta dell'eternità, noi - in questa basilica che custodisce la sua tomba, non lontana da quella dell'apostolo Pietro - lo ricordiamo ringraziando Dio per la luminosa testimonianza lasciata da questo Successore di Pietro.
Vogliamo ringraziare anche il servo di Dio Paolo VI per l'appassionato amore a Cristo, alla Chiesa e al mondo; per l'esempio di vita spirituale, per i suoi insegnamenti e per quanto ha fatto per combattere le ingiustizie e le violenze e per instaurare nel mondo la civiltà dell'amore e la pace.
La Madonna, che Paolo VI amò teneramente e proclamò "Madre della Chiesa", interceda affinché la luce degli insegnamenti e della testimonianza di Paolo VI continui a illuminare il cammino della Chiesa e della società.

(©L'Osservatore Romano - 7 agosto 2008)

Paolo VI: le riflessioni del cardinale arcivescovo di Milano, Dionigi Tettamanzi, e del direttore de L’Osservatore Romano, Giovanni Maria Vian

Sono tante le iniziative che in questi giorni ricordano la figura di Papa Montini e che sottolineano la fecondità del suo magistero. Particolarmente coinvolta nelle celebrazioni è l’arcidiocesi di Milano, di cui Giovanni Battista Montini fu arcivescovo dal 1954 al 1963. Alessandro Gisotti ha raccolto una riflessione su Paolo VI del cardinale arcivescovo di Milano, Dionigi Tettamanzi:

R. – Penso che la sua eredità più preziosa sia personale, e cioè il suo amore appassionato per Gesù Cristo. Il titolo della sua prima Lettera pastorale a Milano è un titolo ambrosiano, preso da Sant’Ambrogio, che suona: “Cristo è tutto per noi”. Davvero la sua vita spirituale e la sua attività pastorale, prima come arcivescovo e poi come Sommo Pontefice, penso sia una manifestazione quotidiana di questo segreto che gli palpitava nel cuore: il suo amore appassionato al Signore Gesù, che inevitabilmente, poi, diventava un amore per la Chiesa, da lui considerata come la Sposa fedele di Cristo. L’amore per Cristo e per la Chiesa erano le sorgenti vivissime di un amore che poi si allargava all’umanità intera. A me piace considerare il grande evento del Concilio Vaticano II come il compendio più vivo e più concreto di questo triplice amore che ha ispirato Paolo VI: l’amore a Cristo, alla Chiesa, all’Uomo.

D. – Coraggioso testimone della verità, Paolo VI ha saputo dialogare anche con la cultura, con mondi lontani ed in tempi difficili. Come valorizzare oggi il suo esempio?

R. – Lui ha dialogato con la cultura in modo semplice ma anche coraggioso, perché con estrema chiarezza ha sempre parlato della fedeltà a Cristo e al suo Vangelo, non come un ostacolo, come un freno ma al contrario come una condizione imprescindibile per valorizzare tutte le diverse forme dell’“humanum”: quindi la forma dell’arte, la forma della ragione ... Tutto lo sforzo di Montini, che penso debba essere ripreso e continuato oggi con chiarezza, con precisione, con forza ma anche con straordinaria fiducia e speranza, sta precisamente nel vedere non una contrapposizione, una distanza ma al contrario, una armonia, un’armonia intima tra Cristo e l’Uomo, tra l’Uomo e Cristo.

D. – Cosa Paolo VI ha lasciato a Milano, la diocesi di cui fu arcivescovo e che portò sempre nel cuore, anche quando fu chiamato dalla Cattedra di Sant’Ambrogio a quella di Pietro?

R. – Ha lasciato tantissimo. Personalmente vorrei accennare al suo amore per i sacerdoti. Di lui qui si ricorda la sua disponibilità ad incontrare personalmente i sacerdoti e comunque a raggiungerli in modo abituale e continuo attraverso lo scritto. E insieme ai preti vorrei ricordare i lontani: l’ansia apostolica per la pecora perduta. Penso anche questa sia un’eredità che connota ancora oggi, grazie al suo impulso, la missionarietà propria della Chiesa ambrosiana.

D. – Lei fu ordinato sacerdote dall’allora cardinale arcivescovo Montini: che ricordo ha dell’uomo, del pastore?

R. – Ne ho tantissimi, di ricordi. In particolare mi porto nel cuore il discorso dell’ordinazione presbiterale e mi risuonano in particolare queste tre parole, dette con la forza tipica di Montini: “Siate testimoni, apostoli, missionari”. Penso che qui ci sia un programma di vita non soltanto per i sacerdoti del ’57, ma per tutti i sacerdoti e – perché no? – per tutti i membri della Chiesa.

“Testimone di Cristo nell’amore al nostro tempo”: si intitola, così, l’editoriale del direttore dell’Osservatore Romano, Giovanni Maria Vian, dedicato alla figura di Paolo VI, nel 30.mo anniversario della morte. Vian, storico del Cristianesimo, definisce quello di Montini “un Pontificato difficile ma decisivo”. Alessandro Gisotti ha chiesto al direttore dell’Osservatore Romano, di indicare una chiave di lettura per interpretare il magistero di Paolo VI:

R. – La capacità di essere testimone di Cristo nell’amore al nostro tempo. Del resto, era una coscienza che Papa Montini aveva molto chiara. In un appunto del 1964, lui scrive interrogandosi sul confronto e la contrapposizione che già veniva fatta tra lui e il suo predecessore, Giovanni XXIII. Paolo VI si chiede quale sia la caratteristica della sua vita, e scrive proprio questo: “Forse la nostra vita non ha altra più chiara nota che la definizione dell’amore al nostro tempo, al nostro mondo, a quante anime abbiamo potuto avvicinare e avvicineremo, ma nella lealtà e nella convinzione che Cristo è necessario e vero”.

D. – Dunque c’è questo binomio – testimone della verità – umile e coraggioso ma anche straordinariamente capace di dialogare con il mondo e con le diverse culture: sappiamo quanto appunto ci fosse una straordinaria propensione per il mondo, anche con l’invenzione moderna, se vogliamo, dei viaggi apostolici internazionali ...

R. – Sì. Nonostante ci si sia poi abituati a vedere, con lo straordinario Pontificato di Giovanni Paolo II, a vedere il Papa, il Vescovo di Roma in tutto il mondo, non bisogna dimenticare che fu proprio Paolo VI il primo Romano Pontefice a visitare, a toccare – sia pure in modo simbolico – tutti i continenti in soli nove viaggi internazionali: viaggi che furono iniziati da quell’itinerario straordinario, preparato con grandissima discrezione e a sorpresa, in Terra Santa, e che si conclusero proprio ai confini del mondo quando il Papa arrivò nell’Estremo Oriente, in Oceania, in Australia e nelle estreme isole del Pacifico.

D. – C’è una profonda continuità, a 30 anni di distanza, evidentemente non solo nel magistero. Anche se può sembrare una curiosità, i tre successori di Paolo VI – Papa Giovanni Paolo I, Giovanni Paolo II e Benedetto XVI – sono stati tutti e tre creati cardinali da Paolo VI…

R. – Sì: non è tanto una curiosità; è un fatto molto interessante e piuttosto straordinario, perché non è comune nella storia delle successioni sulla Sede di Roma, che tre Papi siano stati “creature” – come si dice proprio con un termine tecnico, cioè cardinali creati da un loro stesso predecessore.

D. – Il compimento del Concilio, i viaggi apostolici – l’abbiamo ricordato – l’istituzione della Giornata mondiale della pace, poi tanti documenti straordinari, alcune Encicliche che oggi vengono anche rivalutate e all’epoca furono molto contestate – abbiamo da poco, in fondo, celebrato il 40.mo della Humanae Vitae ... Ecco: qual è l’eredità più fruttuosa lasciata da Paolo VI alla Chiesa e non solo?

R. – Io credo proprio questa predicazione instancabile di Cristo, questa testimonianza a Cristo che è davvero il tratto distintivo della vita di Montini. Nella fedeltà ai predecessori, nella continuità con i predecessori e nella fedeltà al Concilio Vaticano II. Un Concilio – anche questo è bene non dimenticarlo – che alla morte di Giovanni XXIII era appena agli inizi e che – lo ha detto Benedetto XVI – rischiava quasi di svanire. Paolo VI lo riconvoca subito e soprattutto lo guida con grande rispetto della libertà nel dibattito, ma nello stesso tempo con grande fermezza, e lo conclude. E poi governa non senza difficoltà – difficoltà anche dure – il periodo successivo. Praticamente tutto il Pontificato è un’applicazione del Vaticano II. Con Paolo VI, la Chiesa di Roma cambia davvero volto, per molti aspetti. Dalla configurazione del governo centrale, la Curia: alla vigilia viene riformato il Sant’Uffizio, ma poi tante altre cose ... Il progressivo allargamento del Collegio cardinalizio, la riforma della Curia, il nuovo apprezzamento per le altre confessioni cristiane e per le altre religioni, con gesti simbolici che sono nella memoria.

D. – Direttore, lei e la sua famiglia siete stati legati – siete legati – anche da un’amicizia all’uomo Montini. Qual è il tratto umano di Paolo VI che più le piace ricordare?

R. – Ricordo un tratto umano – ma questo lo ricordano tutti quelli che sono stati amici di Montini – l’enorme attenzione che quest’uomo aveva per ogni persona che incontrava.

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