16 settembre 2008

Quella cartolina dai Pirenei con il sorriso di Maria (Mazza)


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SALVATORE MAZZA

Benedetto XVI è appena partito, e Lourdes è già tornata alla sua vita di ogni giorno. L’attesa davanti alle piscine, lenta e paziente, scandita dalle decine del rosario. La fila per entrare alla grotta.
Tra poche ore la processione eucaristica e, stasera, quella 'au flambeaux'. Dame, barellieri, ammalati, pellegrini si muovono ai ritmi dell’Esplanade, formicaio ordinato in un posto che sembra fuori dal mondo ma che, invece, è il mondo.
Perché si parla di Lourdes e si pensa a qualcosa di extra rispetto all’ordinario, quando al contrario è del tutto ordinario. Qui si incontrano dolore e, spesso, angoscia, gioia e serenità, amicizia, solidarietà, lealtà, amore. Cose che tutti sappiano esistere, e ogni giorno incontriamo, nella vita di tutti i giorni, ma che non sembrano avere più diritto di cittadinanza nelle città da bere, nelle nostre società disperate che corrono da un brunch a un happy hour, inseguendo modelli patinati quasi il dolore non esistesse, non esistessero i problemi, non esistesse altro che il qui e ora da cogliere al volo. Quasi non esistessero la malattia, la disabilità, la morte. Forse è per questo che è sempre così difficile raccontare Lourdes. E si preferisce farlo per cartoline preconfezionate, le botteghe di ricordini che traboccano sulle strade fino ai limiti dell’Esplanade, i riti, i miracoli, i volontari, le 'superstizioni'. Molto, molto più facile.
A cacciare via i pensieri fastidiosi e incombenti ai quali non vogliamo pensare perché non sappiamo più come affrontare.
Difficile raccontare l’umanità, quando è la nostra stessa umanità a farci paura. Le 'cartoline' parlano del popolo di Lourdes come di un popolo semplice, magari ignorante e credulone. Ma è falso. Il popolo di Lourdes è un popolo di gente 'normale', noi e voi, né marziani né santi. Giovani e anziani, ricchi e poveri, sani e malati. Un condensato di umanità 'normale', che non volge lo sguardo dall’altra parte di fronte alla paura. Perché sa che tanto non serve a niente; o, spesso, perché è costretta, contro la sua volontà, a guardarla negli occhi.

Tra questa gente, in questa realtà, Benedetto XVI s’è calato fino in fondo. Pellegrino tra i pellegrini, padre in mezzo a tanti figli ai quali ha indicato ora e sempre il sorriso materno di Maria, quella «manifestazione molto semplice di tenerezza» attraverso la quale «percepiamo che la nostra unica ricchezza è l’amore che Dio ha per noi». Non ha parlato di miracoli, di guarigioni, di evenienze soprannaturali, pur se anche queste sono nella storia di Lourdes. Uomo tra gli uomini, con parole toccanti, di una delicatezza infinita, ha invece ricordato «a coloro che soffrono e a coloro che lottano e sono tentati di voltare le spalle alla vita» che «nel sorriso della Vergine si trova misteriosamente nascosta la forza per proseguire il combattimento contro la malattia e in favore della vita». E che in quel sorriso «si trova ugualmente la grazia di accettare senza paura né amarezza il congedo da questo mondo, nell’ora voluta da Dio». È questo il messaggio di Lourdes che Papa Ratzinger ha voluto rilanciare, a chiusura di questo 150° anniversario. Un messaggio eterno sulla nostra umanità, e sul dovere che abbiamo di riconoscerla e rispettarla in ogni momento. Umanità che possiamo riconosce nell’umanità e nella sofferenza di Cristo. Così da imparare, finalmente, a non averne più paura.

© Copyright Avvenire, 16 settembre 2008

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