9 ottobre 2008

La riflessione del card. Martino sul Messaggio del Papa per la Giornata mondiale del migrante e del rifugiato (Radio Vaticana)


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La riflessione del cardinale Martino sul Messaggio del Papa per la Giornata mondiale del migrante e del rifugiato

Ha suscitato commenti in tutto il mondo il Messaggio di Benedetto XVI per la prossima Giornata mondiale del migrante e del rifugiato, presentato ieri nella Sala Stampa vaticana. Il Papa ha auspicato che questo appuntamento, che si celebrerà il 18 gennaio 2009 sul tema “San Paolo migrante, ‘Apostolo delle genti’”, “sia per tutti uno stimolo a vivere in pienezza l'amore fraterno senza distinzioni di sorta e senza discriminazioni, nella convinzione che è nostro prossimo chiunque ha bisogno di noi e noi possiamo aiutarlo”. Ma sul rapporto tra Chiesa e migrazioni ascoltiamo, al microfono di Francesca Sabatinelli, la riflessione del cardinale Renato Raffaele Martino, presidente del Pontificio Consiglio della pastorale per i migranti e gli itineranti:

R. – La Chiesa è fatta di migranti. E questo lo vediamo in tutto il mondo e in tutte le epoche. Adesso ci sono le frontiere che mettono degli sbarramenti alla continua migrazione che c’era prima. La Chiesa ha sempre tenuto conto di questo fenomeno a cominciare da San Paolo migrante. Nei tempi moderni dobbiamo però dire che Pio XII è stato quello che ha richiamato e rimesso l’attenzione al fenomeno dei migranti con il famoso documento “Exul familia”.

D. – Eminenza, nel messaggio del Papa si ribadisce come per l'universo dei migranti si intendano studenti fuori sede, immigrati, rifugiati, profughi, sfollati, vittime delle schiavitù moderne e il Papa invita tutti a tenere conto delle loro diversità culturali...

R. – Naturalmente chi arriva in un altro Paese trova delle difficoltà di lingua, di lavoro, di inserimento e questo perché chi arriva ha una cultura, una tradizione e forse anche una religione diversa da quelle che professa nel luogo da dove arriva. Tutti questi fattori devono, quindi, essere presi in considerazione dal Paese ricevente. Per questo c’è questa accoglienza che la Chiesa dà in maniera attenta e generosa.

D. – Nel messaggio si sottolinea anche come ci debba essere una accoglienza vicendevole…

R. – Certamente, perché questo è un problema di reciprocità: io ti accolgo e tu devi accogliere la cultura che trovi nel Paese dove arrivi e non cercare di creare dei ghetti. Questo avviene, invece, in varie città di Europa. Naturalmente questa deve però essere anche una questione di educazione e di formazione della gente che arriva.

D. – Questa missione della Chiesa oggi si confronta con delle difficoltà, che dipendono dagli Stati o da una certa rigidità che si è manifestata nel tempo anche dal punto di vista delle leggi…

R. – Naturalmente uno Stato per avere sicurezza deve controllare i clandestini, ma osservando anche la situazione dell’Europa, questi Paesi per mantenere il loro livello di sviluppo e di ricchezza hanno bisogno di braccia e queste braccia arrivano, ma vanno rispettate le regole. Bisogna poi tener conto che dietro queste braccia c’è una persona umana, una persona con una tradizione, una cultura, una religione diversa ed insieme a questa persona c’è poi la famiglia. Tutto questo deve essere preso in considerazione.

D. - Quindi occorre amalgamare le politiche di accoglienza con le politiche della sicurezza ma senza far prevalere l'una sull'altra...

R. - Certamente. E' quella celebrazione dell'accoglienza, come ci dice il Papa, questa Agape, questo amore per gli altri, la carità, e questo è importante perché siamo tutti esseri umani con la stessa dignità, gli stessi diritti e quindi è questa convivialità che bisogna instaurare. Naturalmente con amore e seguendo le regole.

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