9 ottobre 2008

Sinodo: Mentre a Roma si discute, il Québec è già stato espugnato (Magister)


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SINODO DEI VESCOVI SULLA PAROLA DI DIO (5-26 OTTOBRE 2008): LO SPECIALE DEL BLOG

OMELIE, DISCORSI E MEDITAZIONI IN OCCASIONE DEL SINODO DEI VESCOVI 2008

Mentre a Roma si discute, il Québec è già stato espugnato

Era la regione più cattolica del Nordamerica, oggi è la più secolarizzata. Viene da lì il cardinale Ouellet, relatore generale al sinodo dei vescovi sulla Parola di Dio. E anche a lì Benedetto XVI guarda, come a una nuova terra di missione

di Sandro Magister

ROMA, 8 ottobre 2008

Nell'omelia della messa con cui domenica scorsa ha aperto il sinodo dei vescovi dedicato alle Sacre Scritture, Benedetto XVI ha ricordato che dal primo annuncio del Vangelo "scaturirono comunità cristiane inizialmente fiorenti, che sono poi scomparse e sono oggi ricordate solo nei libri di storia".

Ed ha aggiunto:

"Non potrebbe avvenire la stessa cosa in questa nostra epoca? Nazioni un tempo ricche di fede e di vocazioni ora vanno smarrendo la propria identità, sotto l’influenza deleteria e distruttiva di una certa cultura moderna".

Si può indovinare che, tra queste nazioni un tempo rigogliosamente cristiane e oggi non più, papa Joseph Ratzinger pensi al Canada, e per l'esattezza al Québec.

Benedetto XVI ha affidato proprio all'arcivescovo di Québec, il cardinale Marc Ouellet, il compito di introdurre e chiudere i lavori del sinodo con due relazioni generali. E il cardinale Ouellet è testimone tra i più consapevoli e critici della metamorfosi che in pochi decenni ha riportato il cattolicissimo Québec a essere terra di missione.
Il Québec, con la citrtà di Montréal, è la provincia più estesa del Canada, grande cinque volte l'Italia ma con meno di 8 milioni di abitanti. Parla francese e conservava fino alla metà del secolo scorso una forte impronta cattolica. I suoi fiumi e villaggi portano nomi di santi, le chiese sono numerosissime, le scuole e gli ospedali sono quasi tutti sorti per iniziativa religiosa. Fiorenti erano anche le vocazioni.
Ma a partire dagli anni Sessanta il crollo è stato verticale. Senza clamori, una "quiet revolution" ha trasformato il Québec in punta avanzata della secolarizzazione. Oggi meno del 5 per cento dei cattolici vanno a messa la domenica. I matrimoni religiosi sono pochi, i funerali sono in gran parte civili, i battesimi sempre più rari.
E le leggi codificano questo stato di cose in nome di un fondamentalismo laicista che è arrivato, quest'anno, a imporre in tutte le scuole statali e private del Québec – primo caso al mondo – un corso obbligatorio di "etica e cultura delle religioni" con docenti cui è vietato presentarsi come credenti e appartenenti a una comunità di fede. Nel corso si danno informazioni sulle principali religioni del mondo e si discute dei temi controversi, come l'aborto e l'eutanasia, con l'obbligo di non prendere posizione in un senso o in un altro.
"È la dittatura del relativismo applicata a partire dalle scuole materne", ha denunciato il cardinale Ouellet. Ma la sua è una voce isolata. L'80 per cento delle famiglie continua a richiedere l'insegnamento della religione cattolica, ma una sola scuola, la Loyola High School di Montréal, ha fatto ricorso alla corte suprema contro il corso obbligatorio ora imposto per legge.

Georges Leroux, il filosofo dell'Università di Montréal che ha progettato il nuovo corso, sostiene che "è ormai tempo di pensare alla trasmissione della cultura religiosa non più come fede ma come storia, come patrimonio universale dell'umanità".

Va notato che le leggi più lontane dalla dottrina della Chiesa sono state varate in Québec da maggioranze non radicali ma moderate. Anche la legge sull'insegnamento obbligatorio di "etica e cultura delle religioni" è stata approvata da un governo conservatore, del quale fanno parte dei cattolici.
Inoltre, la rivoluzione culturale che ha cambiato la faccia del Québec, da "quiet" che era, si è fatta ultimamente più ostile e sprezzante, contro chi le resiste. Ha detto il cardinale Ouellet in un'intervista ad "Avvenire" del 3 ottobre:

"Ho avuto una prova di questa avversione quando recentemente ho scritto una lettera aperta ai media, in cui tra l'altro chiedevo perdono a nome della Chiesa canadese, per ciò che in passato abbiamo sbagliato. Quella lettera ha suscitato una reazione di una vistosa ostilità".

Il cardinale Ouellet ha descritto e analizzato l'emblematico caso del Québec in un articolo sull'ultimo numero di "Vita e Pensiero", la rivista dell'Università Cattolica di Milano: articolo tanto più interessante in quanto uscito alla vigilia di un sinodo dei vescovi dedicato proprio a "come rendere sempre più efficace l’annuncio del Vangelo in questo nostro tempo".

Eccolo:

Dove va il Québec? A proposito di fede e laicità

di Marc Ouellet

Da subito dichiaro la mia convinzione che la crisi dei valori e la ricerca di significati sono così profonde e urgenti in Québec da avere delle ripercussioni gravi anche sulla salute pubblica, e questo genera costi enormi per il sistema sanitario. La società del Québec si poggia da quattrocento anni su due pilastri, la cultura francese e la religione cattolica, che formano l'armatura di base che ha permesso di integrare le altre componenti della sua attuale identità pluralista. Tuttavia, questa armatura è resa fragile dall'indebolimento dell'identità religiosa della maggioranza francofona.
Il dibattito attuale tocca direttamente la religione e le relazioni tra le comunità culturali, ma il vero problema non riguarda l'integrazione degli immigrati, resa più difficile dalle loro richieste di carattere religioso. Le statistiche rivelano che le richieste di accoglienza per motivi religiosi sono minime, il che significa che la ragione delle tensioni attuali è da ricercarsi altrove. Che non si addossi dunque la responsabilità della crisi profonda della società del Québec a coloro che vi sono arrivati alla ricerca di un rifugio o alla loro religione giudicata invasiva. I rifugiati e gli immigrati ci portano spesso la ricchezza della loro testimonianza e dei loro valori culturali, che si aggiungono ai valori propri della società del Québec. L'accoglienza, la condivisione e la solidarietà devono dunque rimanere atteggiamenti di base nei confronti degli immigrati e dei loro bisogni umani e religiosi.

Il vero problema, per riprendere l'espressione piuttosto vaga che incoraggia la diffusione dello slogan di moda "La religione nel privato o in chiesa ma non in pubblico", non è più quello del "posto che la religione occupa nello spazio pubblico". Che cos'è poi lo spazio pubblico? La strada, il parco, i media, la scuola, il comune, il parlamento nazionale? Bisogna forse far sparire dallo spazio pubblico il monumento dedicato a monsignor François de Laval e quello dedicato al cardinale Taschereau? Occorre bandire l'augurio "Buon Natale" dai seggi parlamentari e sostituirlo con "Buone Feste", per essere più corretti? I simboli religiosi caratteristici della nostra storia e quindi costitutivi della nostra identità collettiva sono diventati dei fastidi e dei brutti ricordi da mettere in un cassetto? Bisogna eliminarli dallo spazio comune per soddisfare una minoranza laicista radicale che è la sola a lamentarsene, in nome dell'uguaglianza assoluta dei cittadini e delle cittadine?

I credenti e i non credenti portano con sé il loro credo o il loro non credo in tutti gli spazi che frequentano. Sono chiamati a vivere insieme, ad accettarsi e a rispettarsi a vicenda, a non imporre il loro credo o non credo, né in privato né in pubblico. Togliere ogni segno religioso da un luogo pubblico identificato culturalmente secondo una tradizione ben definita con la sua dimensione religiosa non equivale forse a promuovere l'assenza di credo come unico valore avente diritto di affermazione? La presenza del crocifisso nel parlamento nazionale, al municipio e all'incrocio delle strade non è il segno di una qualsiasi religione di Stato. È un segno identificativo e culturale legato alla storia concreta di una popolazione che ha diritto alla continuità delle sue istituzioni e dei suoi simboli. Questo simbolo non è in primo luogo un segno confessionale, ma la testimonianza dell'eredità culturale di tutta una società marcata dalla sua vocazione storica di culla dell'evangelizzazione nell'America del Nord. Il governo della provincia canadese del Québec ha proprio di recente respinto una proposta per rimuovere il crocifisso dall'aula del parlamento.

Il vero problema del Québec non è dunque la presenza di segni religiosi o l'apparizione di nuovi segni religiosi invasivi dello spazio pubblico. Il vero problema del Québec è il vuoto spirituale creato da una rottura religiosa e culturale, dalla perdita sostanziale di memoria, che conduce alla crisi della famiglia e dell'educazione, che lascia le cittadine e i cittadini disorientati, demotivati, soggetti all'instabilità e attirati da valori passeggeri e superficiali. Questo vuoto spirituale e simbolico mina dall'interno la cultura del Québec, disperde le sue energie vitali e genera l'insicurezza e la mancanza di radicamento e di continuità con i valori evangelici e sacramentali che l'hanno nutrita sin dalle sue origini.
Un popolo la cui identità si è fortemente configurata durante i secoli sulla fede cattolica non può dall'oggi al domani svuotarsi della sua essenza, senza che vi siano degli esiti gravi a tutti i livelli. Da qui lo smarrimento dei giovani, la caduta vertiginosa dei matrimoni, l'infimo tasso di natalità e il numero spaventoso di aborti e suicidi, per non parlare che di alcune delle conseguenze che si aggiungono alle condizioni precarie degli anziani e della salute pubblica. Per finire, questo vuoto spirituale e culturale è mantenuto da una retorica anticattolica infarcita di cliché, che sfortunatamente si ritrova troppo spesso nei media.
Ciò favorisce una vera cultura del disprezzo e della vergogna nei riguardi della nostra eredità religiosa e distrugge l'anima del Québec. È giunta l'ora di domandarsi: "Québec, che ne hai fatto del tuo battesimo?". E giunta l'ora di frenare il fondamentalismo laicista imposto per mezzo dei fondi pubblici e ritrovare un equilibrio migliore fra tradizione e innovazione creatrice al servizio del bene comune. Si deve imparare di nuovo il rispetto della religione che ha forgiato l'identità della popolazione e il rispetto di tutte le religioni, senza cedere alla pressione degli integralisti laici che reclamano l'esclusione della religione dallo spazio pubblico.

Il Québec è maturo per una nuova evangelizzazione profonda, che si disegna in certi ambiti attraverso iniziative catechistiche importanti, come anche attraverso sforzi comunitari di ritorno alle fonti della nostra storia. Un rinnovamento spirituale e culturale è possibile se il dialogo tra Stato, società e Chiesa riprende il suo corso, costruttivo e rispettoso della nostra identità collettiva ormai pluralista.

* * *

Nel quadro di un dibattito sui "compromessi ragionevoli", non si può ignorare il cambiamento radicale che lo Stato del Québec ha appena introdotto a riguardo del posto della religione nelle scuole.
Questo cambiamento provoca lo smarrimento e la collera di molti genitori che si vedono privati, nel nome di un'ultima riforma e della modernizzazione del sistema scolastico del Québec, di un loro diritto acquisito. Senza tener conto del primato del diritto dei genitori e della loro volontà chiaramente espressa di mantenere la libertà di scelta tra un insegnamento confessionale e uno morale, lo Stato sopprime l'insegnamento confessionale e impone un corso obbligatorio di etica e di cultura religiosa nelle scuole sia pubbliche sia private.
Nessuna nazione europea ha mai adottato un orientamento così radicale che rivoluziona le convinzioni e la libertà religiosa dei cittadini. Da qui deriva il malessere profondo e il sentimento d'impotenza che molte famiglie provano nei confronti di uno Stato onnipotente che sembra non temere l'influenza della Chiesa e che può dunque imporre la sua legge senza condizionamenti superiori. La sorte più scandalosa è quella riservata alle scuole cattoliche private che si vedono costrette dal gioco delle sovvenzioni governative a marginalizzare il proprio insegnamento confessionale a vantaggio del corso imposto dallo Stato dovunque e a tutti i livelli.
L'operazione di rifocalizzazione della formazione etica e religiosa del cittadino per mezzo di questo corso obbligatorio riuscirà a salvare un minimo di punti di riferimento per assicurare una vita comune armoniosa? Ne dubito e sono anzi convinto del contrario, poiché quest'operazione si fa a spese della libertà religiosa del cittadino, soprattutto di quella della maggioranza cattolica. Inoltre essa si fonda esclusivamente su una "conoscenza" delle credenze e dei riti di sei o sette religioni. Dubito che degli insegnanti veramente poco preparati a raccogliere questa sfida possano insegnare con completa neutralità e in modo critico delle nozioni che sono per loro ancor meno comprensibili della loro stessa religione. Occorre molta ingenuità per credere che questo miracolo di insegnamento culturale delle religioni fabbricherà un nuovo piccolo abitante del Québec, un pluralista, un esperto in relazioni interreligiose e un critico verso tutte le fedi. Il meno che si possa dire è che la sete di valori spirituali sarà ben lungi dall'essere appagata e che una dittatura del relativismo rischia di rendere ancor più difficile la trasmissione della nostra eredità religiosa.
La cultura rurale del Québec espone una croce un po' dovunque all'incrocio delle strade. Questa "croce del cammino" invita a pregare e a riflettere sul senso della vita. Quale scelta s'impone ora alla nostra società perché lo Stato prenda delle decisioni illuminate e veramente rispettose della coscienza religiosa degli individui, dei gruppi e delle Chiese? Malgrado certe devianze dovute agli stimoli ricorrenti ma limitati del fanatismo, la religione rimane una fonte d'ispirazione e una forza di pace nel mondo e nella nostra società, a patto che non sia manipolata da interessi politici o perseguitata nelle sue aspirazioni legittime.
La riforma impone che la legge sottometta le religioni al controllo e agli interessi dello Stato, mettendo fine alle libertà religiose acquisite da generazioni. Questa legge non serve il bene comune e non potrà essere imposta senza che sia percepita come una violazione della libertà religiosa dei cittadini e delle cittadine. Non sarebbe ragionevole mantenerla com'è stata emanata, poiché instaurerebbe un legalismo laicista ristretto che esclude la religione dallo spazio pubblico. I due pilastri della nostra identità culturale nazionale, la lingua e la religione, sono chiamati storicamente e sociologicamente a spalleggiarsi o a crollare insieme. Non è giunto il momento in cui una nuova alleanza tra la fede cattolica e la cultura emergente ridia alla società del Québec più sicurezza e fiducia nell'avvenire?
Il Québec vive da sempre dell'eredità di una tradizione religiosa forte e positiva, esente da grandi conflitti e caratterizzata dalla condivisione, dall'accoglienza dello straniero e dalla compassione verso i più bisognosi. Bisogna proteggere e coltivare questa eredità religiosa fondata sull'amore, che è una forza di integrazione sociale molto più efficace della conoscenza astratta di qualche nozione superficiale di sei o sette religioni. È importante soprattutto, in questo momento, che la maggioranza cattolica si svegli, che riconosca i suoi veri bisogni spirituali e si riallacci alle sue pratiche tradizionali per essere all'altezza della missione che le è propria sin dalle sue origini.
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La rivista dell'Università Cattolica di Milano su cui è uscito l'articolo:

> Vita e Pensiero
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Al caso del Québec ha dedicato un grande reportage in due puntate, il 2 e il 3 ottobre 2008, "Avvenire", il quotidiano della conferenza episcopale italiana. Autrice del reportage, con un'intervista al cardinale Ouellet, Marina Corradi:

> Avvenire
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L'omelia di Benedetto XVI del 5 ottobre 2008, nella messa d'apertura del sinodo dei vescovi su "La parola di Dio nella vita e nella missione della Chiesa":

> "Venerati fratelli nell’episcopato..."
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La documentazione del sinodo, nel sito del Vaticano:

> Sinodo dei Vescovi - Bollettino

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1 commento:

Luisa ha detto...

Il Quebec è "figlio" della Francia, fiero di parlare il francese,della sua particolarità.
A parte le conseguenze della rivoluzione sessantottina, il card. Ouellet ha anche parlato delle conseguenze del CV II, con l`emorragia del clero, sacerdoti che che hanno abbandonato la loro missione, tempesta postconciliare portata alle sue estreme conseguenze.
La rivoluzione in seno ala Chiesa dopo il Concilio, unita alla rivoluzione sociale, etica, morale, ha portato il Quebec là dove si trova oggi.
E allo stesso tempo, è dal Quebec che vengono in Europa, i più conosciuti "terapeuti" che lavorano con gli...angeli !